Tradotto alla lettera dice: il figlio del povero asciugamano. La frase vuole indicare una persona inconsistente, senza carattere, senza arte né parte. Quello che oggi verrebbe definito “uno sfigato” (qui l’etimologia non potrebbe essere più chiara: uscito da lì… per caso).
Ma secondo il nostro punto di vista, questa frase idiomatica è più circostanziata, si riferisce ad un preciso rituale sessuale. Prima che la scienza dotasse l’umanità di pillola anticoncezionale, quando la figliolanza raggiungeva il nome di battesimo di Settimio, Ottavia, addirittura di Decimo, la principale forma di controllo delle nascite era il repentino Coitus interruptus. Di questo grossolano metodo era appunto alleato l’asciugamano, destinato alla raccolta e alla neutralizzazione del focoso seme contadino che già aveva ampiamente garantito la prosecuzione della specie umana. Poteva allora accadere, nelle oscure alcove di povere case rurali, che l’asciugamano venisse impropriamente usato dalla donna e che ne derivasse una (ulteriore) indesiderata gravidanza.
E’ su quell’”indesiderata” che si è concentrata l’ironia della lingua dialettale. Colui che nasce per caso o per errore, per tutta la vita sarà “e’ fiòl de pòri sugamen”. Ovviamente, come per il moderno “sfigato”, l’uso della frase si allarga ben oltre il caso specifico, diventa appunto idiomatico.
Va detto però che il Quondamatteo usa la maiuscola per Sugamen poiché la riferisce ad una persona fisica. Sarebbe dunque esistito un Sugamen in carne ed ossa, in grado di produrre figli privi di carattere.
Beppe & Paolo
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(In apertura: Giacomo Antonio Melchiorre Ceruti, detto il Pitocchetto: “Due mendicanti”, 1730-34)