“Ciao Bruno. Ciao Titta. Non ti dimenticheremo”: è il saluto del sindaco di Rimini Jamil Sadegholvaad a Bruno Zanin, morto oggi a 73 anni. Aveva interpretato il personaggio di Titta Benzi nell’Anarcord di Federico Fellini e oltre ad attore è stato giornalista e scrittore. Nel 2020 si era rivolto ai riminesi per chiedere un aiuto da fornire a una associazione di volontariato in Bosnia, dove era stato anni prima come inviato di guerra, non senza una nota polemica per non essere stato invitato in occasionedel centenario di Federico Fellini.
Nato a Vigonovo, da piccolo frequenta i salesiani, che convincono i suoi genitori a mandarlo a studiare da prete in un collegio di Novi Ligure dapprima e di Canelli poi, dove rimarrà fino alla terza media. Durante quel periodo, quando Bruno ha 13 anni, un missionario abusa di lui: ciò gli provoca un forte trauma e lo convince a non tornare più in collegio a continuare gli studi per diventare sacerdote. Lasciato il collegio, Zanin sperimenta anche il carcere minorile e subito dopo l’ospedale psichiatrico di Brusegana (Padova) per un tentativo di suicidio.
Nel 1967 diventa amico di Edward Melcarth, pittore e scultore statunitense ebreo di origine russa che lo prende a vivere a casa sua e per il quale poserà come modello per diverse opere. «Morto povero in un ospedale pubblico di Venezia, il primo adulto che mi ha rispettato, che non mi ha mai messo le mani addosso, che mi ha sfamato, consigliato, portato in giro per l’Italia senza pretendere nulla in cambio». Attraverso Melcarth conosce la mecenate americana Peggy Guggenheim che lo assume come dog-sitter e gli dà una stanzetta nel suo famoso Palazzo Venier dei Leoni che anni dopo diventerà uno dei più celebri musei d’Italia per l’arte europea ed americana del XX secolo.
Capitato a Cinecittà nel 1973, Zanin viene notato casualmente da Federico Fellini che lo scrittura per interpretare il Titta di Amarcord, film che nel 1975 vincerà l’Oscar quale migliore opera straniera. Dopo quell’esperienza, pur non avendo mai recitato in vita sua, Zanin lascia Lipari e si trasferisce a Roma a tentare l’avventura cinematografica. Nel 1987 viene scelto da Marco Sciaccaluga, per la stagione 1986/87 del Teatro Stabile di Genova, per recitare il giovane innamorato protagonista in La putta onorata e La buona moglie, due commedie di Carlo Goldoni.
L’anno successivo è convocato al Piccolo Teatro di Milano da Giorgio Strehler per interpretare Zorzeto ne Il Campiello, sempre una commedia di Goldoni. Lo spettacolo è un grande successo e gira per tutta l’Europa invitato ai festival più importanti, nei teatri più prestigiosi tra i quali l’Odeon di Parigi dove Zanin viene notato da Jean-Louis Barrault che lo convince a recitare in francese al Théâtre de la Ville di Parigi in due commedie di Eugène Ionesco: Jacques ou la soumission e L’avenir est dans les œufs per la regia del suo allievo, il regista rumeno Lucian Pintilie.
Tra cinema e teatro ha preso parte ad altri film, recitato in commedie teatrali e diversi sceneggiati televisivi con registi italiani e stranieri come: Giuseppe Ferrara, Marco Tullio Giordana e Giuliano Montaldo. Con la commedia di Carlo Goldoni, I pettegolezzi delle donne, regia di Sandro Sequi, è stato al Festival dei Due Mondi di Charleston nel 1982. Inizia a fare il giornalista radiofonico per Radio Due girando per l’Italia a intervistare personaggi celebri e sconosciuti con la medesima matrice e caratteristica: l’attaccamento alla terra, alle tradizioni, ai lavori manuali e all’auto-sufficienza.
Nel 1992 Zanin lascia il mondo del cinema e del teatro per seguire altre strade. Per tre anni è in Bosnia ed Erzegovina, collabora per Radio Vaticana come corrispondente di guerra, contemporaneamente come responsabile della ONG Emmaus International dell’Abbé Pierre porta aiuti umanitari nella città di Gradačac. Gira reportage, scrive articoli per il Corriere della Sera, Famiglia Cristiana, Der Spiegel. Ritornato in Italia al termine del conflitto è colpito da una grave depressione post-traumatica da stress (DPTS); inizia quindi a scrivere.
Nel 2007 Zanin pubblica il suo primo romanzo in parte autobiografico Nessuno dovrà saperlo per Tullio Pironti Editore; opera che nel 2007 ottiene la menzione speciale al premio letterario città di Latisana per il Nord-Est. Ha vissuto fino alla sua morte in una baita tra i boschi a Vanzone con San Carlo.
La dichiarazione dell’assessore alla cultura del comune di Rimini, Michele Lari:
“All’anagrafe era Bruno Zanin, ma per tutto il mondo e ancor più per Rimini resterà per sempre Titta. Non un personaggio qualunque. Ma l’alterego di Federico Fellini, colui a cui il Maestro decise di affidare lo sguardo attraverso il quale raccontare il suo Amarcord, tanto da attribuirgli quel nome che richiamava l’amico di infanzia, l’avvocato Titta Benzi. La storia di Bruno Zanin è la storia di come un attore scelto per caso, dopo un provino improvvisato e fortuito, finisce per diventare il protagonista di un film capolavoro, premio Oscar, che ha segnato la cinematografia mondiale. Ed è anche la storia di un uomo – con una difficile infanzia alle spalle, uno spirito ribelle e una vita tumultuosa, diventati poi anche un romanzo autobiografico – che nell’esperienza sul set di Fellini trova la svolta di una vita, pur finendo legato indissolubilmente ad un personaggio che col passare degli anni era diventata una gabbia a volte un po’ troppo stretta, da cui ha tentato di fuggire, pur non dimenticando mai di sottolineare la gratitudine nei confronti di Fellini, a cui restò sempre legato. E così Rimini e chiunque ami Fellini ed Amarcord, non potrà che provare gratitudine pensando a Zanin e a quel suo personaggio a cui siamo sentimentalmente così profondamente legati e che sicuramente non dimenticheremo”.