E Salvini porta il suo Credo al Meeting di Rimini
28 Agosto 2022 / Nando Piccari
Se un imprevisto non mi avesse impedito di completare l’articolo nei tempi che mi ero inizialmente dato, avrei preso un grosso granchio.
Sulla base di quanto letto e sentito, ero infatti già partito con questo ironico commento riferito alla presunta schizofrenia del Meeting appena concluso: «Ma come? Il martedì portate in trionfo la Sora Meloni, nemica giurata di Draghi; osannate Salvini e tramite Tajani date pure una spruzzatina di applausi a Berlusconi, i due che insieme all’imbranato Conte l’hanno mandato a casa; fischiate e rumoreggiate contro Letta, che di Draghi è stato l’alleato più fedele. Poi all’indomani, anziché con un timido applauso di pura cortesia, prima accogliete Draghi facendo la ola, quindi interrompete il suo ispirato intervento con decine di calorosi applausi e alla fine vi stringete a lui in una bella foto di gruppo. Ma ci siete o ci fate?».
Nel frattempo un caro amico, molto addentro alle cose di Comunione e Liberazione, mi ha spiegato che invece non era andata come banalizzato da certe cronache superficiali di giornali e TV.
Vale a dire che il Meeting aveva manifestato il suo vero “sentire” mercoledì, quando una platea pressoché composta di soli “Ciellini prenotanti” ha accolto trionfalmente Draghi.
Mentre invece una larga parte dei 3000 occupanti la sala il giorno prima costituiva la sommatoria delle claques dei partiti chiamati a quel confronto politico, dal momento che gli organizzatori avevano giustamente consentito vi si potesse accedere liberamente. Cosicché Meloni e Salvini, al contrario del poco avveduto Letta, avevano convogliato una gran quantità di rumorosi sostenitori, “costringendo” una moltitudine di ragazzi di CL a seguire necessariamente il dibattito dai teleschermi posti all’esterno.
Ai fans di centrodestra venuti da fuori s’è naturalmente aggiunta anche una minoranza di abituali frequentatori del Meeting sui quali stanno oggi facendo breccia il cincischiare in romanesco della Meloni e la pachidermica tronfiaggine di Salvini, perché come si sa i tempi cambiano, purtroppo non sempre in meglio.
Fino a qualche tempo fa, per esempio, se un genitore ciellino avesse anche solo sospettato che il figlio nutrisse simpatie leghiste, l’avrebbe magari portato a Lourdes o a Medjugorje, a chiedere la grazia di fargliele passare. Invece può oggi succedere che quello stesso padre se ne compiaccia, gli procuri una candidatura sotto il segno di Salvini e gli organizzi un’efficiente campagna elettorale.
Sarà forse perché anche fra i cattolici non manca una componente “beccona”, affascinata dal Salvini sbaciacchiatore seriale di rosari e madonnine, che si finge del tutto redento dal passato Salvini de «la Lega ce l’ha duro», che ironizzava sui «Vescovoni con i loro crocioni d’oro di otto chili» e che, alle accorate esortazioni del Papa a tenar conto del dramma degli immigrati, rispondeva piccato: «Noi non abbiamo bisogno di essere perdonati. Quanti rifugiati ha il Vaticano e cosa fa con le sue enorme ricchezze per gli immigrati?»
Ma ora tutto è cambiato, come testimonia quel “Credo” che funge da specchietto per le allodole. In realtà il Sen. Pillon, Prefetto della Santa Inquisizione Leghista, gli aveva prospettato la possibilità di scegliere l’indicativo presente di tre verbi: pregare, predicare, credere.
Lui ci ha pensato un po’ e alla fine ha scelto “Credo”, per evidenti ragioni di opportunità. Uscirsene infatti con “Prego per la pace” sarebbe apparsa una sleale concorrenza al Papa (pardon, al Santo Padre), che a ragione avrebbe anche potuto aversene a male. A usare “Predico” vi era invece il rischio di un equivoco, poiché qualcuno avrebbe potuto interpretarlo come la coniugazione non di “predicare” ma di “predire”, cosa che gli avrebbe creato imbarazzo nei confronti di Giucas Casella e del Divino Otelma.
Anche se c’è da dire che pure “credo” presenta qualche problemino quanto ad efficacia comunicativa. Un sovranista decisionista va per le spicce e detesta le sottigliezze, per cui fatica a capire che la lingua italiana si nutra forse più di sfumature che di perentorietà.
Ecco così che “Credo” ha sì il significato fideistico che Salvini intende dargli, ma di frequente se ne fa pure un uso dubitativo:
«C’è Carlo?» «Non ne sono sicuro, ma credo sia andato a pranzo».
«Non posso dirlo con certezza, ma credo di ricordare che lui avesse una Fiat 500».
«Cos’era quel frastuono per le scale?» «Non ho sentito bene, ma credo fossero i figli del vicino».
Bisogna comunque riconoscere che il Salvini visto quest’anno al Meeting è parso insolitamente sobrio, addirittura mellifluo. Con quella camiciola sbottonata quanto bastava a mostrare il Tau francescano sul petto villoso e con ai piedi due graziose “ballerine estate”. Col medesimo abbigliamento si è poi presentato al “toccata e fuga” di sostegno elettorale al suo gregario Morrone. Dove di fuga non ce n’è stata molta, ma di “toccata” invece più d’una.
A partire da quella di Morrone stesso quando il suo capo gli si è rivolto scandendo «sento profumo di vittoria». Lo si è visto mettersi a sfrucugliare con le mani in tasca, ricordando che la stessa premonizione Salvini la manifestò l’anno scorso in Piazza Cavour, quando venne a sostenere la candidatura di Ceccarelli a Sindaco di Rimini.
Nando Piccari
Post Scriptum
I catto-putiniani
Certamente anche un personaggio torbido, saltato in aria in luogo del padre neonazista, può ricevere umana compassione (e volendo esagerare perfino quella papale). Così pure una messa in suffragio, tanto più in un Paese dove non mancano funzioni religiose perfino in memoria di mafiosi e camorristi, quando non addirittura sacre processioni che rendono a costoro omaggio. Ci sarebbe dunque potuto stare che una combriccola di adoratori riminesi del criminale che va massacrando anziani e bambini in Ucraina, avesse dedicato a Daryna Dugina una Messa, annunciandola però con la compostezza che si confà ad un evento religioso, per poi parteciparvi in meditativo raccoglimento.
Invece quella messa è solo il pretesto usato dei suoi promotori per inserire nel manifesto funebre la frase «Assassinata dall’odio anti russo», a rendere inequivocabile la complicità politico-ideale con il repellente dittatore russo dalle mani sporche di sangue.
Con l’aggiunta di un tocco di comicità, laddove il loro capobranco se n’è uscito a dire «…lo facciamo senza alcun intento polemico, senza schierarci a livello politico, senza per questo essere accusati di essere “fascisti” come ci hanno scritto in giro per la città, su qualche manifesto per la messa».
Sarebbe stata la stessa cosa se chi ha scritto su quei manifesti, anziché il termine “fascisti”, avesse avesse usato quello di “putiniani”.
Post post scriptum
Quando Riccione fa rima con coglione
«Riccione è diventata Marsiglia. Dopo le 18 devi avere paura a farti una passeggiata sul lungomare».
Non bastavano gli sproloqui di uno di quei personaggi caricaturali che, deturpati da ridicoli tatuaggi, ragliano stronzate con sottofondo di macabri gemiti pseudo musicali.
No, ci volevano anche le farneticazioni intrise di volgarità di una dei più irritanti e indisponenti figli di papà divenuti “mezze cartucce” che bazzicano il mondo dello spettacolo.
Per lui «Riccione non è più quella di una volta, che faceva il c*lo a Ibiza» «Col c*zzo!» «non ci porterei i miei figli».
Tutto questo perché «La Riccione di Cecchetto non esiste più».
Ma allora se è per così poco….