Scherza con i santi e lascia stare Dante, verrebbe da dire, di fronte a casi di cronaca come quello avvenuto in una scuola media di Treviso, dove due studenti sono stati dispensati dallo studio della Commedia in quanto offende la religione musulmana. Non ho messo fra virgolette “offende” perché c’è poco da fare, è proprio così: nel canto ventottesimo dell’Inferno, fra gli scismatici sbudellati dal mento all’inguine, troviamo Maometto, il fondatore dell’Islam, e suo cugino Alì, responsabile della divisione fra sciiti e sunniti – uno scisma è sempre uno scisma, anche se in un’altra religione.
L’esonero dantesco non nasce come pretesa dei ragazzi musulmani o delle loro famiglie. L’iniziativa si deve al professore di Italiano, persona scrupolosa e rispettosa delle diverse sensibilità, che prima di proporre in classe la Divina Commedia, definita «un’opera a sfondo cattolico», ha chiesto il placet dei genitori dei due ragazzi, che in quanto musulmani non si avvalgono nemmeno dell’ora di religione.
Io non sono di quelli che gli sale la carogna quando sentono parlare di politicamente corretto, però ho l’impressione che al buon professore trevigiano sfugga un problema: il novanta per cento della grande letteratura italiana fino al Novecento è a sfondo cattolico. I paladini dell’Orlando furioso combattono contro i musulmani, e non parliamo di quelli della Gerusalemme liberata, ambientata durante le Crociate. E come la mettiamo con i Promessi sposi, romanzo ad alta densità di preti, frati, suore e cardinali? Siamo un paese cattolico da quasi due millenni, ospitiamo il quartier generale del cattolicesimo apostolico romano.
Non dimentichiamo che fino all’Ottocento c’erano l’Inquisizione, il Sant’Uffizio e l’Indice dei libri proibiti. Se scrivevi opere contrarie ai dettami della Chiesa rischiavi di fare la fine di Giordano Bruno. E non è che le opere dove lo «sfondo cattolico» risulta meno evidente siano tanto più in linea con la Sharia: Foscolo descrive lascivamente donne seminude e danzanti, Leopardi esalta il dubbio, Carducci inneggia addirittura a Satana.
Insomma, è difficile trovare pagine Islam-friendly nei classici della letteratura italiana. Paradossalmente, se un integralista islamico vuole deliziarsi con descrizioni particolareggiate di cristiani crudelmente seviziati e tormentati, trova pane per i suoi denti proprio nell’Inferno dantesco, dove la stragrande maggioranza dei dannati è battezzata e il nome che più risuona fra i gironi è quello di un papa, il simoniaco Bonifacio VIII.
Dubito che un poeta arabo abbia insultato le gerarchie della Chiesa con la stessa virulenza del nostro sommo poeta. Non basta: secondo gli studiosi, il tema stesso del viaggio nell’oltretomba sarebbe stato ispirato a Dante da un poema arabo, il Libro della Scala, tradotto in latino nella seconda metà del Duecento da Bonaventura da Siena, segretario del re spagnolo Alfonso il Savio. E se questo non basta per rassicurare gli studenti musulmani e le loro famiglie, facciamo un ultimo sforzo in nome dell’integrazione: chiamiamolo Dante Alì Ghieri.
Lia Celi