Ecco le mamme che si sacrificano ogni giorno e nessuno se ne accorge
29 Gennaio 2024 / Paolo Zaghini
Giancarlo Frisoni
“Madri”
Pazzini
Giancarlo Frisoni torna a proporci, a distanza di qualche anno dai suoi precedenti lavori fotografici (“Memorie. Volti e voci della mia gente” edito da ARTinGenio di Scandicci nel 2018 e “Le case del cuore” edito da AIEP di San Marino nel 2019), un nuovo straordinario reportage fotografico dedicato alle madri. Ma non alla mamma che ognuno di noi ha, ma a quindici donne che “accolgono con il loro amore figli diversi” – scrive nella presentazione il grande fotoreporter Ugo Panella – dal nostro concetto di normalità. Lo fa con delicatezza e rispetto in un lungo racconto di parole e immagini che non tolgono mai dignità a chi si è affidato con coraggio al suo obiettivo”.
E’ un viaggio, quello di Frisoni, dentro un mondo che ci cammina accanto e non vediamo, quello della disabilità. Scrive, presentando il volume: “Questo libro vuole essere soprattutto un omaggio a loro, a queste madri coraggio che si sacrificano ogni giorno e nessuno se ne accorge. Le storie raccontate toccano vite particolari di stenti, di rinunce e sofferenza. Vogliono essere un aiuto a capire e amare anche quelle persone che sembrano diverse ma non lo sono, imparare a non giudicarle per il loro aspetto fisico o comportamentale. Imparare soprattutto che per queste ‘madri’ i loro figli non sono una disgrazia o una vergogna, ma il pilastro sul quale regge la loro famiglia e la loro vita. Che la loro diversità alla fine è un dono che li libera da tutte le sovrastrutture di una società e una umanità da educare”.
Giancarlo è nato nel 1958 a Valliano, una frazione del Comune di Montescudo. Autodidatta, dipinge, scrive (in lingua e in dialetto), fotografa. Collabora da sempre (sin dalla sua costituzione nel 1977) al gruppo per la ricerca storica della documentazione orale nei Comuni di Montescudo e
Monte Colombo, guidato da Gino Valeriani, ed è con lui coautore di numerosi volumi.
Frisoni ha raccontato, nel corso di diverse presentazioni al pubblico già fatte di questo suo nuovo lavoro: “Una ricerca non facile perché molte donne non hanno voluto intrusioni nella loro vita già estremamente difficile. Ma ce ne sono state altre che invece hanno svelato le proprie intimità, condividendo lo scopo che è quello di esaltare l’atto d’amore verso i propri figli con handicap più o meno gravi e di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni perché non chiudano gli occhi e tendano la mano a chi vive ogni giorno una sfida di umanità”.
Un mondo dunque fatto di gioia, ma anche di tanto, troppo, dolore. Bambini, ragazzi, ma anche adulti, affetti da malattie dai nomi terribili: la sindrome di down, emisterectomia, cerebro leso, sindrome di West, encefalopatia, autismo, epilessia, idrocefalia, tetraparesi spastica, lesione midollare. Il corpo umano è una macchina fragile.
Serena di Montescudo, con la figlia Zoe: “Essere madre vuol dire sentirsi a mezz’aria, vuol dire avere il privilegio e il dovere di insegnare la vita, il rispetto, l’amore. L’amore per il prossimo e per la natura, per gli animali e se stessi, per gli altri, per chi è diverso o la pensa in un altro modo. Vuol dire soprattutto lasciare l’eredità dell’esempio, quella che conta, che forgia”.
Vilma di San Marino, con la figlia Greta: “Non sanno come dirmelo in sala parto, vedo solo un gran trambusto e bisbigli nelle orecchie. Poi la vedo e capisco, Greta ha la sindrome di down. Greta ha già tutta una vita segnata e io tutti i pensieri del mondo, quel mondo cattivo che addita ed emargina, giudica e sputa sentenze”.
Simona di Villa Verucchio, con la figlia Chiara: “Sono stanca della lentezza di questa burocrazia, dei soliti ‘adesso vediamo cosa si può fare’. Chiara ha bisogno adesso, ha bisogno sempre!. Ha bisogno di terapie continue, di riabilitazione. Voglio finisca il prima possibile il suo dolore quando il terapista le allunga le braccia e le apre le mani”.
Lorena di Pennabilli, con il figlio Giacomo: “Già dalla gravidanza capisco che qualcosa non va, non si muove, lo sento piccolo e debole. Mio figlio ha la sindrome di down. A Rimini l’elettroencefalogramma neuro psichiatrico diagnostica pure la sindrome di West ed una encefalopatia grave. Giacomo non potrà mai parlare e neanche camminare. Inizia un periodo di cure, di prove e tentativi. Un periodo di pensieri e preoccupazioni. Sto male anch’io, sono sempre più spesso fuori lontana dagli altri figli, so che soffrono in silenzio perché la loro mamma non c’è mai. Cerco e trovo sempre aiuto nella fede. La fede è forza, la fede sostiene. E’ stata ed è la colla della mia famiglia”.
Tante storie, ognuna diversa dall’altra. Segnate da tanto amore, ma anche da tanto dolore. E poi la domanda angosciata finale di ognuna di queste mamme: cosa ne sarà di mio figlio, quando io non ci sarò più?
E qui, a questo punto, ma né Frisoni né le mamme protagoniste, assieme ai loro figli, del libro pongono la questione, ma verrebbe da chiedersi: ma lo Stato c’è, cosa fa per queste madri e i loro figli, e quello che eventualmente fa basta? Non ho le conoscenze per rispondere. Ma mi piacerebbe che qualcuno lo facesse.
Paolo Zaghini