Ed ecco che noi Italiani ultimi della classe ci prendiamo il voto migliore
27 Settembre 2020 / Lia Celi
Non capita spesso, anzi, non capita quasi mai, ma a volte capita: un compito di latino, greco o matematica bizzarramente difficile o pieno di trabocchetti manda a gambe all’aria i bravi e gli sgobboni, quelli candidati ai nove e ai dieci, sempre preparati e sicuri di sé, mentre a sorpresa il voto migliore lo prende l’ultimo della classe perché, pur fra cancellature e ripensamenti perfino in bella copia, se l’è cavata molto meglio degli altri. Non basta: viene pubblicamente lodato dal preside e additato ad esempio.
Non sto parlando dell’esame di italiano di Suarez all’Università per stranieri di Perugia, ma dei risultati italiani nel controllo della pandemia, rispetto a paesi che ci superano regolarmente nelle classifiche su qualunque cosa, dall’istruzione alla quantità di occupati, dal welfare alle spese per la cultura.
Loro sempre primi della classe, noi sempre ultimi, e quasi sempre meritatamente. Ma un giorno arriva un supplente nuovo, di nome Covid-19, e dà un compito a sorpresa, che sfida le conoscenze consolidate, ed ecco che gli ultimi diventano i primi, non certo con aiutini e imbeccate alla Suarez.
Guardare il filmato che l’Oms ha dedicato alla risposta italiana all’emergenza coronavirus provoca emozioni contrastanti: in inglese siamo sempre sul filo della sufficienza, a giudicare dall’accento e dalla pronuncia che sfoggiano Brusaferro e Locatelli, ma come spirito di sacrificio e impegno solidale contro la diffusione della malattia ci siamo meritati un “distinto”, se non un “eccellente”.
E ancora più dei video dell’Oms, che, come grida Trump ai quattro venti, è una subdola filiale del governo cinese, sono i drammatici bollettini provenienti da Francia, Spagna e Inghilterra, per non parlare di Russia e Stati Uniti, a dirci che tutte quelle rinunce, quei diktat a tarda notte e quei pani fatti in casa a quanto pare erano proprio quel che ci voleva.
Che dietro le decisioni del nostro governo ci fosse una migliore preparazione scientifica, o un ragionamento alla “è così assurdo che potrebbe funzionare”, sta di fatto che finora hanno funzionato più dell’affidarsi all’immunità di gregge a suo tempo imprudentemente invocata da Boris Johnson, che oggi bolla il senso di disciplina degli italiani come innato servilismo.
A distanza di cinque mesi dai posti di blocco all’uscita delle città e dei camion carichi di bare, la situazione si è ribaltata. Abbiamo un decimo (un decimo!) del numero dei contagi quotidiani di Francia e Inghilterra, e ora tocca a noi, gli ex “untori” d’Europa, guardarci dai nostri vicini.
E, per continuare la metafora scolastica, i presuntuosi secchioni di ieri ci fanno segni disperati per avere i nostri suggerimenti. Nessun autocompiacimento: la promozione dell’Oms ce la siamo guadagnata a prezzi carissimi, la perdita di decine di migliaia di connazionali e la peggiore crisi economica del dopoguerra.
E comunque abbiamo passato solo il primo quadrimestre, il secondo è appena iniziato, e si profila difficile quanto il primo. Dal quale siamo effettivamente usciti migliori – non rispetto a prima, ma rispetto agli altri.
Lia Celi