Ennio Dellarosa e la Riccione del boom
11 Aprile 2020 / Paolo Zaghini
Per tutti Ennio. Era nato a Riccione Abissinia: “qui mia nonna aveva la trattoria ‘Al pesce d’oro’ e qui i miei genitori gestivano un salone come barbiere e parrucchiera” (le citazioni sono tratte dalla lunga intervista di Fabio Glauco Galli a Tommaso Enio Dellarosa per il libro “La città invisibile” (Fulmino, 2008). Nel 1938 iniziò a frequentare il regio istituto tecnico inferiore “Camillo Manfroni”: “il sabato mattina era obbligatorio presentarsi a scuola in divisa (…) Io non avevo la divisa, perché mio padre era antifascista e non voleva comprarmela, dunque ogni sabato restavo a casa, finché non fu la casa del fascio a regalarmela per i miei meriti sportivi”.
Nel maggio 1940 tutti gli studenti furono obbligati a marciare per Riccione al grido di viva la guerra: “Se qualcuno si fosse azzardato a dire qualcosa in contrario, poi sarebbe stato segnalato, l’avrebbero convocato e preso a legnate. Io, invece, quattro schiaffoni li presi da mio padre al mio ritorno a casa”. “Chi ci aveva provato, poi l’avevano messo in galera. Come Galli Aronne, il figlio di quelli del forno del Paese: comunista il padre, comunista il figlio. Faceva il militare di leva a Trieste nel ’39. Espresse le sue idee e così lo misero dentro, in galera”. “A casa mia sentivo parlare di politica e si leggeva la stampa che il regime chiamava ‘sovversiva’. Sapevo che mio padre era antifascista, come gli amici suoi che bazzicavano la locanda di mia nonna. Scoprì solo a sedici anni, però, quando entrai nel movimento partigiano, che mio padre non solo era antifascista, ma pure comunista (…). Solo dopo ho capito che mio padre, quando alla sera uscendo di casa ci diceva che avrebbe fatto tardi, spesso si ritrovava con gli altri in aperta campagna, in un canneto, per discutere apertamente di politica. Arrivavano tutti alla spicciolata, divisi l’uno dall’altro, per non farsi seguire”.
Dopo l’8 settembre 1943, insieme ad altri compagni della zona Abissinia, Ennio costituisce un gruppo di giovani comunisti. Questi giovani raccolsero armi dai soldati italiani che abbandonavano la colonia Enrico Toti e poi le fecero avere al gruppo di partigiani guidato da Gianni Quondamatteo (1910-1992) che operava in Valconca.
Ennio andava ancora a scuola, frequentava l’istituto geometri a Rimini, ma contemporaneamente nel corso dell’inverno del ‘43 e la primavera del ’44, partecipò a diverse azioni del gruppo partigiano. Il 18 settembre 1944, il giorno in cui i tedeschi lasciarono Riccione, mentre il padre di Ennio e la nonna stavano rientrando con un carretto verso la loro locanda vennero centrati da un colpo di cannone tedesco e rimasero uccisi. “A diciassette anni ero rimasto l’unico maschio della famiglia, anche se mia mamma era una persona molto forte ed in gamba e riuscì a farmi continuare gli studi da geometra”. “Tornati a casa nostra, in ottobre riaprimmo la trattoria, lavorando con gli Alleati. Solo con gli Alleati, perché avevano vietato l’ingresso ai civili”.
Dopo le dimissioni del Sindaco Vivarelli a novembre 1944, divenne Sindaco Gianni Quondamatteo, che “noi conoscevamo già di nome per la sua attività di comandante partigiano”. “Con Quondamatteo nuovo sindaco, io divenni il suo segretario particolare e gli ero sempre accanto. Era una persona di grande cultura e ricordo che, davanti ai miei occhi, registrava una rubrica radiofonica che andava in onda sulla radio alleata e trasmessa in tutta Italia. All’epoca, non essendoci ancora state le elezioni, il sindaco aveva accanto una propria giunta, ma non un consiglio comunale nel quale ogni forza politica poteva confrontarsi in modo civile e democratico. Certe contrapposizioni dunque restavano presenti e, con una personalità volitiva come quella di Quondamatteo, a volte sfociavano in episodi pittoreschi e curiosi”.
Nel 1946 Ennio è tra i fondatori della sezione locale del PCI di Riccione, intitolata ad Andrea Torri: “eravamo dodici, tutti di età molto giovane ed io il più giovane tra loro, con Antonio Antonioli come primo segretario. Non me lo so spiegare, ma la vecchia guardia riccionese del partito scelse di attendere un po’ di tempo prima di unirsi alla nostra iniziativa”.
Alle elezioni del 27 maggio 1951 venne eletto in Consiglio Comunale. “Nonostante i miei 24 anni, ero l’unico ad avere un diploma tra le fila dei consiglieri appartenenti al mio partito. Tutti gli altri, specie gli antifascisti di più vecchia data, in gran parte avevano appena la quinta elementare, e solo i più giovani arrivavano ad avere la licenza media. Tra questi ultimi c’era Dante Tosi, il segretario della cooperativa pescatori. Diventammo grandi amici, facendo assieme la campagna elettorale, e, anche per l’autorevolezza che veniva dal nostro livello di istruzione, venimmo entrambi chiamati a fare gli assessori: lui all’assistenza, io ai lavori pubblici”. Sindaco fu eletto il comunista Nicola Casali, detto “Colino” (1888-1960), “segretario del partito, era una vera personalità, un uomo onesto e tutto d’un pezzo. Tutti gli riconoscevano un grande onore e carisma”. Già avanti con gli anni, si ammalò e fu costretto a dimettersi. Il 6 ottobre 1953 Ennio Dellarosa, a 26 anni, fu eletto Sindaco. Nei mesi precedenti Ennio aveva partecipato per diversi mesi alla Scuola di partito a Modena.
Ennio il 25 aprile 1953 si sposò con Magda Fabbri (1931- ). Dal matrimonio sono nati tre figli: Fabio (nato nel 1955), Maurizio (nato nel 1957) e Stefano (nato nel 1962).
Alle elezioni del 27 maggio 1956 il PCI lo riconfermò Sindaco, ma fu costretto a dimettersi il 3 novembre 1957 per una indagine della Prefettura per falso in atto pubblico (accusato di non aver autenticato delle firme). Lo sostituì Dante Tosi, con la riserva che non appena la vicenda fosse stata risolta, sarebbe ritornato. E fu così. Assolto dall’accusa mossagli, il 7 dicembre 1959 venne rieletto Sindaco. Disse Gualtiero Masi (1922-2017), segretario del PCI riccionese dall’11 dicembre 1956 ad ottobre 1960, a Montebelli e Venturi: “E’ stato un buon Sindaco. Aveva questo rapporto con la gente, con il partito sempre ottimo, lui andava a fare i comizi”. Per alcuni mesi, dopo le dimissioni di Masi, Ennio diresse il Partito.
Dopo le elezioni del 31 ottobre 1960 divenne sindaco, per un accordo tra le federazioni riminesi dei partiti di sinistra, il socialista Giovanni Petrucciani. Ennio venne eletto suo Vice-Sindaco.
Nell’intervista a Galli, Ennio racconta che cos’era Riccione in quegli anni, con strumenti urbanistici obsoleti risalenti alla Giunta guidata da Quondamatteo nel 1947, che bloccavano di fatto “l’espansione territoriale e l’edilizia della città: quindi i settanta alberghi avrebbero dovuto restare tali, le ville non avrebbero dovuto oltrepassare i due piani, gli indici di costruzione erano molto bassi”. Dellarosa, Sindaco prima e Vice poi, tentò più volte di ammodernare gli strumenti urbanistici, sotto una pressione notevole del mondo economico e dei cittadini riccionesi, senza riuscirci.
L’Amministrazione cercò di far rispettare le leggi con multe e sanzioni pesanti, ma l’abusivismo dilagò: “in generale tutto sfuggì al nostro controllo”. “L’Italia si risollevava e cresceva, e l’intera Riccione cresceva al ritmo ancora più esponenziale, perché qui continuava ad arrivare gente, sempre più immigrati dalle campagne, sempre più turisti d’estate, quindi anche il valore dei terreni aumentava di anno in anno. Questa è la ragione per cui a chiunque conveniva costruire”. La popolazione riccionese crebbe in pochi anni da diecimila a sedicimila abitanti. Si costruivano 50-60 nuovi alberghi all’anno. “Finchè arrivò il 1963, l’anno della crisi edilizia in cui tutto crollò”.
Occorrerà attendere l’1 marzo 1968 perché il Consiglio Comunale di Riccione adotti il suo primo PRG, redatto dallo studio milanese Sacconi e Silvani, presentato dall’Assessore all’Urbanistica Tiziano Solfrini. A settembre 1969 vengono controdedotte le osservazioni ed il PRG è definitivamente approvato.
Intanto Ennio fu costretto a vivere in prima persona l’episodio più clamoroso sul piano amministrativo degli anni ’60 per Riccione: l’arresto suo da parte dei Carabinieri, cioè del Vice-Sindaco, dell’assessore all’urbanistica Gastone Casadei e dell’ingegnere comunale Enzo Mancini assieme ai riminesi avvocato Giuseppe Polazzi e Adolfo Saponi (“Brasile”) il 21 dicembre 1962. Tutti accusati di concussione per una “mazzetta” data per ottenere una concessione edilizia. Furono trattenuti presso le carceri di Forlì per venti giorni, sino al 9 gennaio 1963. Alla loro liberazione “tornati a Riccione ci fu una grande manifest10 ottobre 2012. Riccione, Palazzo del Turismo. Tommaso Enio Dellarosaazione alla Casa del Popolo”. Ma la vicenda finì sulle prime pagine di tutti i giornali italiani. Il 18 novembre 1964 il Giudice Istruttore del Tribunale di Rimini li assolse in istruttoria e sentenziò che “il fatto non sussiste”. Sulla vicenda la testimonianza dei tre protagonisti in “Viale don Minzoni 1. Il partito Comunista Italiano. Riccione” a cura di Daniele Montebelli, Ezio Venturi (Riccione, Casa del Popolo/Misano Adriatico, La Piazza, 2015, pp. 112-122).
Per il rinnovo dell’Amministrazione Comunale riccionese si votò il 22 novembre 1964. Il Comitato Comunale del PCI nel redigere la lista dei candidati consiglieri decise anche che l’uomo che doveva sostituire nella carica di Sindaco il socialista Petrucciani fosse Tommaso Enio Dellarosa.
Ma su questa indicazione si scaricarono numerose tensioni che da tempo agitavano la vita del partito a Riccione. L’archivio del Pci riccionese conserva di quegli anni verbali durissimi dei comitati di sezione contro l’unione comunale, lettere di dimissioni, lettere che annunciano il non rinnovo della tessera, espulsioni da parte degli organismi di controllo di iscritti. Segretario fra il 1961 e il 1965 fu il riminese Giovanni Baldinini che si trovò al centro di questa difficilissima situazione politica, frammista spesso a litigi personali. Scrive Sergio Gambini nel suo libro “Più grande e più bella: Rimini 1948-1958: i comunisti che scoprirono la capitale europea del turismo” (Capitani, 2005) a proposito dei dirigenti comunisti: “Il dirigente comunista doveva essere, anche nel campo privato, un esempio, condurre perciò una vita famigliare irreprensibile, lontano da distrazioni e coinvolgimenti affettivi che lo potessero distogliere dal prioritario impegno politico e ne potesse minare la credibilità e l’affidabilità di fronte a tutti i militanti e all’opinione pubblica”.
Questa era la situazione che si era venuta a determinare a Riccione: scontro politico, ma anche privato, spesso con accuse “ignobili”, prive alla verifica dei fatti di fondamento. Ed in particolare questo stato di scontro si scaricò su due compagni dirigenti del partito riccionese: Ennio e Gastone Casadei.
In prima fila nel duro confronto i dirigenti della Sezione “Corbelli” di San Lorenzo che contrastarono l’indicazione di Dellarosa a Sindaco e si batterono contro Gastone Casadei, membro della loro sezione, nella ‘partita’ (peraltro tutta interna al Partito) fra il 1962 e il 1967 con Gianni Quondamatteo.
Nel gennaio 1963 Quondamatteo scrisse al Segretario della Federazione riminese Augusto Randi per sollevare i temi di una questione morale che secondo lui esistevano nel partito e nell’amministrazione comunale di Riccione. In una ulteriore missiva del 17 gennaio 1964 Quondamatteo rincarava la dose ed accusava esplicitamente Dellarosa: “Il compagno Ennio Dellarosa – tanto per citare un esempio – è uno di questi. E’ un vecchio compagno preparato, da lunghi anni amministratore del comune di Riccione, e uomo di primo piano del nostro partito. Egli fu ingiustamente arrestato sul finire del ’62, e con nostro sollievo successivamente rilasciato. Dato e concesso – naturalmente – che nei suoi confronti non si possa elevare alcuna imputazione penale (almeno per quello che apparentemente ci consta), resta fermo il fatto che la condotta e l’azione di questo compagno, che oggi ricopre la carica di assessore anziano, debbono essere apertamente censurate sotto l’aspetto politico e morale”. E Quondamatteo proseguì per anni, sino alla sua espulsione dal PCI nel novembre 1967 ed oltre, in questi attacchi a Dellarosa. Nonostante i numerosi interpelli fatti, nessuno ha saputo darmi una spiegazione di questo astio, visto e considerato che Ennio era cresciuto con Quondamatteo Sindaco.
Egli proseguì sino al 1985 la sua attività di pubblico amministratore non rispondendo mai alle accuse di Quondamatteo. Nella lunga intervista a Galli non cita in alcun modo questa situazione. E Montebelli mi ha confermato che nel corso dei numerosi colloqui fattigli per il libro “Viale don Minzoni 1” Ennio non ha mai parlato di Quondamatteo.
Alle elezioni del 1964 Biagio Cenni, grazie anche al lavorio della Sezione “Corbelli”, superò nelle preferenze Dellarosa, e il dopo elezioni vide prima la Federazione e poi il partito riccionese sposare chi aveva ottenuto più voti. Ma furono necessari quasi due mesi per eleggere il nuovo Sindaco e comporre la nuova Giunta. Casadei, per volere di Cenni, rientrò in Giunta, ma vi rimase neanche un anno: il 9 dicembre 1965 si dimise motivando che gli impegni di lavoro privato non gli consentivano in quella fase di continuare a seguire la gestione della cosa pubblica. Ma restò in Consiglio Comunale. Impegnato nella gestione familiare dell’albergo Colombo (dal 1955 al 1961), nel 1962 realizzò con altri due soci, il Delphinarium di Riccione, “che allora era il primo in tutta Italia”. Una gestione difficile, poco redditizia, che lo portò a cedere la proprietà alla fine degli anni ’70. Assieme alla zia tornò a gestire per un po’ d’anni l’albergo “Il pesce d’oro”, sino a cederlo nella seconda metà degli anni ’80. In quel periodo venne assunto, come orfano di guerra, dal distaccamento di Rimini dell’ufficio tecnico della Provincia di Forlì dove lavorò cinque anni, il tempo minimo necessario per maturare il diritto alla pensione.
Rieletto alle elezioni del 7 giugno 1970, il Sindaco Cenni lo richiamò in Giunta. Alle elezioni del 15 giugno 1975 non venne eletto, ma subentrò in Consiglio alla dimissionaria Donatella Zoffoli il 14 settembre 1977. E rientrò in Giunta con il Sindaco Terzo Pierani. Fu rieletto ancora una volta l’8 giugno 1980, sia in Consiglio che in Giunta.
Nel giugno 1985 “dopo numerose esperienze come assessore, in vari settori (principalmente alle finanze e all’urbanistica), con tutti i sindaci che si erano succeduti a Riccione fino al 1985, decisi di ritirarmi dopo trentaquattro anni anche dall’attività politica, perché pensavo fosse giunto il momento di dare spazio alle nuove leve”. Ma aveva solo 58 anni.
Ennio è morto a 92 anni l’11 dicembre 2019. Fabio Galli, ex segretario dei DS riccionesi dal 202 al 2007, nel ricordarlo ha scritto: “Si può tranquillamente affermare che Ennio fu protagonista assoluto della fase storica che trasformò Riccione, sia come politico che come amministratore; la sua militanza continuò anche successivamente, seppur da semplice iscritto del PDS, DS, PD. Non mancava di passare assiduamente in sede fino a quando le condizioni di salute glielo hanno permesso e di essere presente soprattutto in concomitanza delle iniziative nel corso delle campagne elettorali, quando non mancava mai di raccontare piacevolissimi aneddoti del passato. Mancherà Ennio, a Riccione, al suo partito e soprattutto alla sua famiglia”.
Paolo Zaghini