Troppi anni fa, studente al primo anno di legge, messo assieme quanto risparmiato del mensile paterno cenando in latteria, presi il treno per Parigi, ospite, grazie alle solite conoscenze estive, di alcuni universitari francesi in un loro camerone d’affitto dalle parti della Sorbona.
Mi sembrava di essere ancora a Bologna dove avevo appena sostenuto l’esame di Diritto Romano. Stessa allegria, stesse baldorie, stessa bolletta. Avevamo già deciso in precedenza (dopo verifiche musicali effettuate durante le vacanze riminesi) di formare un complessino. Con Antoine (scienze politiche) virtuoso di armonica a bocca, Pierre (Medicina) ai bongos e io a cantare, accompagnandomi con la chitarra, certe canzoni italiane ancora sconosciute in Francia da Butta la chiave di Van Wood, a Guarda che luna di Buscaglione.
A farla breve, grazie al proprietario di un ristorante con palchetto e microfono, riuscii a starmene a Parigi più del previsto, considerato che dopo l’alloggio anche il vitto era assicurato assieme a qualche franco sganciato dai clienti. Dopo mezzanotte ci fiondavamo tutti e tre nelle caves di Saint Germain dove furoreggiavano Juliette Greco e Gilbert Bécaud. Se Juliette (che riuscii a baciare su una guancia!) mi prese per sempre il cuore, Gilbert con quel suo modo strappa budella di cantare, mi centrò in pieno plesso solare, con la storia del carcerato numero 4200 che si rivolge a una ragazza raccontandole come si svolge la sua vita di recluso e chiedendole di scrivergli più spesso ‘Marie, Marie ecrive moi plus souvent. Marie, Marie au quatorze mille deux cent…’
Alcuni anni fa, durante un viaggio estivo nella Camargue con mia moglie, simpatizzammo con due coniugi di Aurillac nostri coetanei, rievocando gli anni nei quali perfino Jaques Prevert scriveva testi di stupende canzoni come Le feuilles mortes e Embrasse moi’. Per associazione citai anche quella conturbante ‘Marie’ dei miei anni scapestrati che in certi momenti mi capitava ancora di strimpellare a orecchio sulla mia vecchia chitarra, ricordandone purtroppo solo poche parole non avendone mai rintracciato la partitura. Beh, a Natale di quell’anno, da una busta proveniente da Aurillac vidi uscire, con gli auguri di Robert ed Ivette, un vero pezzo d’antiquariato. L’originale di Marie, Marie, Editions Vianelly, paroles Pierre Delanoe, musique Gilbert Becaud…
‘Rievendra bien le temps-ou tu pourras dire je t’aime…” scriveva quel carcerato alla sua bella.
Versi dimenticati di una canzone. Che è stato bello ritrovare in un cassetto,durante una mia insonnia notturna. Per poi canticchiarli piano, sfiorando appena col pollice le sei corde.
Europa da amare.
Liberati, torneremo finalmente ad abbracciarci.
Giuliano Bonizzato