HomeCronacaFacciamo un attimo di silenzio. Zanza sta raccontandola sua vita ad angeli pettinati come lui


Facciamo un attimo di silenzio. Zanza sta raccontandola sua vita ad angeli pettinati come lui


1 Ottobre 2018 / Lia Celi

Se è vero che muore giovane chi al cielo è caro, e che oggi a sessantatré anni si è ancora giovani, lassù qualcuno ama Zanza – sì, anche lassù, in quella dimensione che ci dicono completamente disincarnata.

Di sicuro è amato dalle potenze ultraterrene più che da don Raffaele, parroco di Regina Pacis, che gli ha rifiutato il funerale in chiesa per paura del «clamore mediatico», proponendo di officiarlo «in forma riservata», manco fosse stato un delinquente. A Maurizio Zanfanti, che non solo in vita sua non ha mai fatto male a una mosca, ma ha regalato momenti, se non d’amore, di allegra sensualità a migliaia di ragazze che oggi lo ricordano con tenerezza e rimpianto come il migliore degli amici, è stato negato ciò che in Italia è stato concesso a veri e propri pendagli da forca, il cui feretro è stato portato in trionfo, tra musiche suggestive e pioggia di petali lanciati da un elicottero.

Una Chiesa che permette che le statue dei santi si inchinino sotto le finestre dei malavitosi ha storto il naso davanti alla bara di un uomo che ha molto amato, e non solo da missionario, in entrambe le accezioni dell’espressione. La stessa Chiesa – è doveroso, anche se scontato, ricordarlo – che ha coperto la lussuria omo-pedofila di tanti sacerdoti e prelati, ha trovato imbarazzante commemorare pubblicamente Zanza, un eterosessuale che si è congiunto esclusivamente con giovani come minimo over-16, tutte più che consenzienti. E’ questo il «clamore mediatico» che fa paura ai moralisti, in tonaca e no: l’omaggio reso in morte al libero amore e alla spensieratezza sana e godereccia, a un’impenitente voglia di vivere spentasi in una notte di settembre in via Pradella, nel modo più consono e, a suo modo, nobile e coerente.

Tutto questo sabato c’è stato, ma nella più appartata cappella del cimitero di Rimini, non a Regina Pacis, la chiesa dove «Mauro» aveva ricevuto comunione e cresima. Ma ad averci perso è stata Regina Pacis, non Zanza: il parroco si è lasciato sfuggire l’occasione di pronunciare un’omelia grandiosa, commovente, forse rivoluzionaria, in cui la terra e il cielo, l’amor sacro e l’amor profano, potessero fare finalmente pace (onorando peraltro il nome della parrocchia) davanti alla bara di un peccatore superdotato anche sotto il profilo del cuore.

E don Raffaele non è nemmeno riuscito a evitare il clamore mediatico, visto che la sua decisione è stata ripresa da tutti i giornali, con commenti più o meno amari o ironici e accuse nemmeno troppo velate di «ipocrisia». Ma facciamo un attimo di silenzio e drizziamo le orecchie verso l’alto. Sentiremo un altro tipo di clamore: lassù, dove ora Zanza sta raccontando la sua avventurosa vita ad angeli pettinati più o meno come lui e a sante che si tappano le orecchie (o fingono di farlo) si stanno facendo delle gran risate.