Forse la proposta di non iscrivere più l’Italia né agli Europei né ai Mondiali – tanto per rimediare delusioni bastano i tornei di club, Champions e UEFA – è esagerata, ma bisogna dire che Russia 2017 ha davvero ridefinito il calcio: non è più il gioco in cui undici giocatori ne sfidano altri undici e alla fine vince la Germania, e nemmeno più quello in cui gli italiani si divertono solo se in campo c’è l’Italia.
Ce li siamo goduti anche senza azzurri, con la testa e il cuore ma senza disturbare fegato e cistifellea, e per quanto possano stare antipatiche le reti Mediaset, stavolta hanno visto giusto loro, che non hanno sottovalutato il genuino e disinteressato amore dei telespettatori per il calcio.
E non solo degli sportivi: con tutti i suoi difetti, il «soccer» è rimasta una delle rarissime occasioni in cui il piccolo schermo ci mostra gente che parla poco, guadagna sì uno sproposito ma alla fine sgobba parecchio e (quasi sempre) sa quel che fa. Fra l’altro si tratta (quasi sempre) di giovani gagliardi e bellocci, il che fa piacere pure a noi signore.
Quindi stasera non si prevede il coprifuoco da finale con l’Italia, ma ci saranno parecchie fantozziane frittatone con le cipolle e birre familiari gelate anche per Francia-Croazia, il duello che nessuno si aspettava e che di questi tempi si colora, ahimè, di politica.
Ma quale? Multiculturalisti contro sovranisti, macroniani contro visegradiani? O un undici che gioca quasi tutto sul patrio suolo della Marianna contro una compagine di migranti dove nemmeno un titolare è rimasto a militare entro i confini natii?
Chissà per chi pendono i riminesi. Se per Pogba e compagni d’ogni colore, che tutti parlano un dialetto così simile alla nostra lingua gallo-romanza. O per la squadra dei nostri un po’ troppo biondi rivali, turisticamente parlando, d’oltre Adriatico, ma che tutto sommato indossano familiari scacchi biancorossi.
E chissà se i tanti Russi che sono qui per vacanza o per lavoro tiferanno magnanimamente per i Croati, slavi sì di lingua, ma apostati cattolici, arcinemici dei fratelli ortodossi Serbi e che per giunta li hanno cacciati via dal «loro» mondiale. Oppure per la Francia ultra internazionalista, inarrivabile modello per ogni Ermitage calcistico e non, ma che continua a boicottarli insieme alla Ue tutta per quell’inezia della Crimea.
L’unica certezza per noi reietti in azzurro, a parte le magre soddisfazioni regalateci dalle magrissime figure di Germania, Spagna, Brasile e Argentina, è che domani dovremo fare i conti con la depressione post-Mondiale come due anni fa con l’ammosciamento post-Olimpiadi. Eventi che scandiscono le lunghe giornate estive fornendoci argomenti di conversazione appassionanti ma tutto sommato innocui e ci dànno un alibi per le sere in cui non abbiamo voglia di uscire (“no, stasera gioca l’Islanda, chi si muove?”).
Il Mondiale ci lascia soli proprio mentre si avvicina il mese che, leopardianamente, corrisponde alla domenica del villaggio, agosto, quando ci si abbacchia al pensiero che l’estate sta correndo rapidamente verso la fine ed è già ora di comprare libri e corredo scolastico per i figli con un conto corrente già prosciugato dalla settimana in montagna.
Ci vorrebbe un Mondiale tutti gli anni… ma c’è, anzi, più di uno, e, a differenza di quello russo, con tanti azzurri in gara. A Changwon il 31 agosto partono i Mondiali di tiro a volo e a Cortina, il 4 settembre, iniziano quelli di tiro con l’arco. D’accordo, non si tira verso una porta, ma l’adrenalina si mette in moto. Speriamo che qualche rete filantropa ci permetta di vederli.
Lia Celi @www,liaceli.it