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Fra Lennon e Lenin meglio Faccetta nera


29 Luglio 2020 / Nando Piccari

È proprio il caso di dire che nell’attuale situazione politica “se Atene piange, Sparta non ride”. Ossia, se è vero che la sinistra continua a tenersi stretto il suo insuperabile primato di beghe interne e “sgambetti fratricidi”, va però detto che anche a destra non se la cavano male.

Nel centrosinistra campeggiano le stizzose frustrazioni quotidiane di Renzi, i saccenti polpettoni di Calenda ed il ring su cui si azzuffano, fin dal primo giorno, le troppe “anime” del PD. Il tutto reso oggi ancor più cruento dalla comune gestione dell’innaturale alleanza con il partito dei cinque stelle, che è “uno e trino”: un bel po’ di destra, un pizzichino di simil-sinistra e in mezzo un tot di… “né carne né pesce”.

A destra fanno però da contrappeso le divaricanti posizioni verso il coronavirus e, più ancora, le rispettive divergenze verso l’Europa.

Sul covid 19, nonostante parecchi sindaci di destra facciano pure loro fuoco e fiamme per contrastare l’idiozia di quanti si muovono a gruppi, gomito a gomito e senza mascherina, quella stessa idiozia viene nel contempo esaltata da personaggi di primo piano della destra stessa, a cominciare dal noto virologo Vittorio Sgarbi, che al Senato ha promosso un cervellotico convegno “negazionista del coronavirus”, del quale è stato ospite d’onore lo stimatissimo “scienziato del nulla” Matteo Salvini.

Nei confronti dell’Europa, mentre il ricorso al Mes è manna per Forza Italia, diventa una trappola per Lega e Fratelli d’Italia. E se Berlusconi, che negli ultimi tempi ama travestirsi da moderato, considera una sofferta vittoria il risultato conseguito da Conte a Bruxelles, per la Meloni si riduce sì e no ad uno stiracchiato pareggio e per Salvini addirittura al disastroso esito finale di una partita truccata, che l’Italia avrebbe “venduto” a Francia e Germania.

Non parliamo poi di quanto sta succedendo nella nostra provincia, dove non si contano più le sparate di “io contro tutti” del Signor Sindaco di Riccione, Renata Tosi, anche verso gli altri primi cittadini di destra. L’ultima delle quali, convinta di far dispetto a Gnassi e al PD, la sta riservando alla Notte Rosa. Proprio lei, che nei giorni più drammatici della pandemia sembrava essersi data il ruolo di piazzista del “basta vincoli; venghino, venghino tutti a Riccione”, per tenere ora lontana la Notte Rosa minaccia di blindare la città; in ciò assistita dal ben noto Don Giorgio Dell’Ospedale, “cappellano militante” del centrodestra riccionese, nonché suo confessore personale.

Ma il vero epicentro delle tensioni sta diventando il sopraggiunto “tana libera tutti” all’interno di Forza Italia, con conseguente collocamento sul “libero mercato della politica” di più d’uno dei suoi massimi esponenti. Due per tutti: i Consiglieri Nicola Marcello e Carlo Rufo Spina, ossia l’intero Gruppo Consiliare di FI al Comune di Rimini.

Marcello aveva accompagnato la sua trionfale uscita da FI con l’annuncio dell’imminente trasloco in Fratelli d’Italia, dove a sentir lui lo aspettavano con impazienza, pronti ad accoglierlo con la ola, la banda e i fuochi d’artificio.
Diversa, invece, la tecnica comunicativa adottata da Rufo Spina. Ci aveva sì tenuto a far sapere urbi et orbi che di lì a poco sarebbe approdato pure lui in Fd’I; ma senza fretta, quasi a voler tenere sulle spine Gioenzo Renzi, a cui era consapevole di apprestasi a fare un regalo immeritato.

Invece colpo di scena: Fd’I emana un comunicato la cui sostanza, neanche troppo edulcorata nel testo, si riduce ad un brutale “qui non si accettano avanzi altrui, statevene a casa vostra”: trattati, insomma, come dei “clandestini” arrivati col barcone.

Pare tuttavia che i due considerino la vicenda non conclusa, confidando di essere chiamati a Roma, per un pronunciamento a livello superiore, in grado di sovvertire il deludente responso riminese.

Se Marcello e Rufo Spina saranno davvero chiamati a quell’esame di ammissione di secondo grado, dovranno però fare attenzione ad un possibile trabocchetto.

È infatti probabile che ad un certo punto, fra le domande di cultura generale, gli esaminatori chiedano loro se conoscono i Beatles, in particolare John Lennon.

Nel rispondere, non dimentichino la gracidante scomunica contro il cantante inglese lanciata di recente dalla Meloni, per avere egli composto e cantato Imagine, da lei stroncata in quanto «un inno dell’omologazione mondialista. Io sto da un’altra parte, per me l’identità è un valore».

Anzi, per rimanere ancora di più dalla parte del sicuro, se dovessero incrociare Ignazio La Russa nei corridoi della sede romana di Fd’I, è consigliabile che inizino a canticchiare fra i denti, con l’aria di farlo sovrappensiero, Giovinezza o Faccetta nera.

Ma la “sora Lella, fratella d’Italia” non è stata l’unica né la prima ad aver cazziato John Lennon per quella sua poetica canzone. Una tal Ceccardi, europarlamentare e candidata legaiola alla Regione Toscana, dopo aver “sclerato” perché un gruppo di studenti aveva osato cantarla, l’ha bollata come «un inno marxista»: evidentemente aveva confuso Lennon con Lenin.

Sempre a proposito di performances legaiole, a Rimini quelli del Carroccio sperano ardentemente che Salvini accetti l’invito all’incontro proposto da Conte, convinti che anche il capogruppo Pecci sarà così chiamato a far parte della delegazione leghista.

Egli ha infatti appena sfornato e diffuso una sua brillante elaborazione di “economia domestica” (nel senso di fatta in casa), basata su due capisaldi: il condono fiscale “tombale” e la tassazione delle prostitute, che a prima vista potrebbero apparire due provvedimenti distinti, ma non è così e spiego perché.

La Lega, come noto, considera gli evasori delle pecorelle smarrite da riportare sulla retta via, usando però il guanto di velluto. Facciamo l’esempio che uno di loro si fosse a suo tempo dimenticato di versare allo Stato tasse per un milione di euro. In virtù del condono tombale, ora lo Stato si accontenterà di ricevere da costui soltanto il 60% di quella cifra, sulla base di uno dei famosi “paragoni di Pidio” raccontati da Tonino Guerra: «piutost che gnint l’è mei piutost». Alla pecorella ritrovata resterebbero dunque in tasca 400mila euro, da spendere come vuole.

Coerente con la sua cultura, è quasi certo che buona parte di quei soldi l’ex evasore se li sputtanerà, non metaforicamente ma nel senso proprio del termine. È qui che la diabolica furbizia di Pecci fa scattare la geniale “quadratura del cerchio” da lui declamata: «La Riforma Fiscale dovrà essere accompagnata dalla legalizzazione della prostituzione che potrà essere esercitata in luoghi chiusi in forma individuale o in forma cooperativa e sottoposta a tassazione».

In tal modo lo Stato, istituendo l’ISC (Imposta sul coito), si riprenderà almeno qualche briciola di quanto aveva regalato all’evasore.

Rimarrebbero però un problema di carattere organizzativo ed un pericolo per Pecci stesso. Il problema consisterebbe nella difficoltà di trovare a quella cooperativa un nome il cui acronimo non sia già adottato da altri. Per esempio, non Cooperativa Prostitute Riminesi, perché CPR è la sigla della Cooperativa Parcheggiatori Riminesi; non Cooperativa Mignottificio Riminese, poiché esiste già CMR, dedita ai trasporti internazionali; e neppure Cooperativa Escort Riminesi, dal momento che si chiama tuttora Cer il Canale emiliano romagnolo.
Il pericolo che invece corre Pecci, è che venga istituita pure la TASPS: tassa sulle puttanate scritte.

Nando Piccari

Post Scriptum
MA ALLA UIL NON ARRIVANO I GIORNALI?

«La Romagna è stata conquistata dalle organizzazioni criminali. E la politica che fa? Tace. Tutta. Silenzio».
All’indomani della retata anti-camorra a Cattolica, è questo l’anatema lanciato dalla nota esponente di centrodestra che, dall’alto del suo sgabello di segretaria della Uil provinciale, s’è data la missione di infamare ogni giorno qualcuno o qualcosa a sinistra.

Se avesse letto (o sapesse leggere?) i giornali, avrebbe scoperto che quella stessa mattina erano apparse le tempestive dichiarazioni di esponenti di primo piano di PD e Cinque Stelle. Per cui in silenzio era dunque rimasta non “tutta la politica”, ma solo la sua adorata destra.