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L'ultimo romanzo poliziesco di Maurizio Maria Taormina "Sotto la sabbia"


Giallo in quella Rimini “scarto delle Marche e rifiuto della Romagna”


26 Febbraio 2024 / Paolo Zaghini

Maurizio Maria Taormina
“Sotto la sabbia”
Libri dell’Arco

Non ricordo se esiste un libro sui fantasmi riminesi, ma se ci fosse credo che uno dei protagonisti dovrebbe essere Giulio Cesare, o meglio la statua che il Duce buonanima regalò ai riminesi nel settembre 1933. Essa, in un tripudio di folla acclamante, venne installata ed inaugurata in Piazza Giulio Cesare (oggi Piazza Tre Martiri) il 10 settembre 1933. Questa statua in bronzo, copia della statua originale in marmo esposta al Campidoglio a Roma, venne rimossa nel 1945 e per una decina d’anni sparì. Rischiò di andare perduta per sempre perché fu sepolta nel greto del fiume Marecchia dove fortunatamente venne riscoperta nel 1953. Recuperata venne collocata nella Caserma Giulio Cesare, dove rimase per decenni, sino all’abbattimento della Caserma ai giorni nostri. Nel luglio 2023 fu rimossa e inviata a Parma, ad un laboratorio di restauro, per un lifting necessario dopo 90 anni.

“Una volta restaurata l’opera tornerà a Rimini – ha dichiarato l’amministrazione Comunale – per essere collocata nello spazio più opportuno alla sua valorizzazione, in una sede che sarà individuata dopo il confronto con le realtà del tessuto culturale e associazionistico della città”. E qui apriti cielo: fortuna che il restauro durerà del tempo e prima di tornare a Rimini la discussione infinita proseguirà.

Dopo questa premessa torniamo al bel romanzo poliziesco di Taormina. Sarà il commissario capo della polizia Bacco Malavolta che si troverà a gestire i problemi dati dalla statua nell’arco di un ventennio: da quelli di ordine pubblico per l’inaugurazione della stessa nel settembre 1933 e poi nel 1953, quando il ritrovamento della statua si accompagnò ad una serie di omicidi in Città.

In sequenza vengono uccisi Anacleto Lepidio Ranuzzi, direttore della Biblioteca Gambalunga, Agnello Fiat Sartoni, saldatore meccanico, Ines Brocchi, segretaria e amante di Gino Scarsi, Segretario del Partito Fascista Repubblicano di Rimini.

Le vicende si snodano lungo le strade del centro storico, ancora profondamente segnate dalle distruzioni dei bombardamenti alleati, dentro le dimore della nascente borghesia professionale e degli operatori turistici del riminese. Taormina, con buona penna, ci porta dentro l’atmosfera degli anni del fascismo, quando lo stesso Mussolini definì Rimini “scarto delle Marche e rifiuto della Romagna”. E lo stesso fa per la Città agli inizi degli anni ’50. E’ qui che opera Malavolta: “Insieme al caffè, il Commissario Capo, per abitudine sbirresca era solito prendere in Piazza, direttamente da fidati confidenti o casuali debitori di favori, voci, pettegolezzi, confidenze, spiate. Raccoglieva tutto: tradimenti, antipatie, vendette, furtarelli, oltraggi, dispetti. Tutto, poi, era minuziosamente annotato sull’agendina, sempre in tasca, con precisione di data, fatti e confidente. Tutto poteva tornare comodo, un giorno”.

Passo dopo passo, indizio dopo indizio, Malavolta lega i tre omicidi, ma sino all’ultimo gli rimane oscura la motivazione. Gli esecutori sono i fascisti della squadraccia del repubblichino Scarsi, quelli che avevano sede nella Caserma Montalti, lungo il Marecchia, sede del terrore riminese: “Garagol”, “Capurion” assieme a Clara Mora, l’altra segretaria e amante di Scarsi.

Ed è qui che entra in ballo nuovamente la statua di Giulio Cesare: il Direttore della Gambalunga viene ucciso perché stava indagando su alcune “ferite” che, dopo il ritrovamento, erano emerse sul corpo della statua; Sartoni perché era stato colui che le aveva inferte alla statua; la Brocchi perché aveva alzato il prezzo del suo silenzio sul segreto della statua.

Gli esecutori degli omicidi erano “due pericolosi soggetti noti per le attività criminali di varia natura, rapina, taglieggiamenti, omicidio, stupro e l’innata tendenza alla violenza gratuita, prima, durante e dopo il fascismo”. Sono le settimane del settembre 1944, i giorni che precedono la Liberazione della Città, quelle in cui si svolgono i fatti che porteranno poi alle vicende del settembre 1953.

Taormina si diverte a mischiare le carte, ad esprimere opinioni e giudizi storici: “Sembra, quasi, che Cesare dal lontano 49 a.C., quando passò da Rimini, lasciandoci la famosa diceria ‘Alea iacta est’, di tanto in tanto si diverta, e giochi a lanciare il dardo della guerra, quella fratricida, il ‘de bello civili’ mai terminato”. E quando ormai la storia si sta definendo, il maresciallo Lillo Roccuzzo: “Come si possono dimenticare quei giorni, disgrazie, lutti, distruzione. Sembrava che il mondo intero dovesse piombarci addosso insieme alle bombe. E sempre per colpa di queste canaglie. E quando sembra che ne siamo liberati ti ripiombano tra i piedi. Sono come un palla che rotola sempre, che non riesci a fermare. Carogne, sono solo delle carogne. Avrebbero meritato – ma il Maresciallo preferì lasciar cadere la frase”.

Catturati gli esecutori, Malavolta si prepara a interrogarli: “non stava nella pelle per gli interrogatori da eseguire e la probabile conclusione delle indagini del caso che a questo punto ruotava intorno la statua di Cesare. Tre delitti, una statua scomparsa, ritrovata, ripudiata e anche danneggiata forse per nascondere qualche altro mistero ancora da scoprire”.

Mi verrebbe da non rivelare la fine della storia per non rompere la suspence ai lettori: però ù… le motivazioni delle uccisioni a causa della statua di Cesare sono molto interessanti e poi i colpevoli sono stati già indicati. Con la complicità del Commissario comunale Lando Landi, ucciso poi da “Garagol” e “Capurion”, Scarsi prima di fuggire da Rimini il 20 settembre 1944 rubò la cassaforte del Comune dove c’erano dieci milioni (“I soldi che il Duce aveva inviato per provvedere ai bisogni e sostenere e aiutare i civili”) e quindici chili d’oro (“L’oro dei Riminesi, fuso. L’oro alla Patria!”). Racconta nella sua confessione “Garagol”: “Abbiamo preparato l’operazione della statua di Cesare. Ne abbiamo organizzato il prelievo, su finta disposizione comunale, fatta aprire alla base, riempire con il tesoro, rattoppare e infine sotterrare nel posto più sicuro e sotto i nostri occhi vigili: il capannone dei vigili del fuoco, sul fiume Marecchia”. Dentro la statua era stato nascosto dai fascisti un tesoro. Tesoro che non sarà ritrovato. Così come non sarà catturato e condannato il mandante: il Segretario repubblichino Scarsi.

Amaro l’epilogo, nel colloquio di Scalzi con Malavolta: “Voglio farle i complimenti Commissario Capo. Complimenti per la brillante operazione che ha ripristinato l’ordine e consegnato alla giustizia degli assassini pericolosi, che turbavano la quiete della Città”. “Che figlio di p… Assassini pericolosi i suoi camerati, compagni e complici di tutti i crimini possibili”. “I tempi sono cambiati Commissario, adesso l’ordine è tornato a essere la preoccupazione principale. Ha sentito il discorso del Presidente De Gasperi?”. “Gli italiani cosa si sono messi in testa? Libertà ricchezza, uguaglianza. Tutte balle. Belle parole raccontate per tenere buono il popolo. Eppoi se non ci fossimo noi, con i nostri nuovi amici sarebbe l’anarchia, il disordine. Per non parlare del peggio, il pericolo che viene dai ‘rossi’, la quinta colonna in casa. Per fortuna c’è chi ha chiaro la situazione, e vigila, tiene alto il Gladio che Cesare chiese di impugnare e che il Duce aveva risollevato a sfidare le nazioni che ci vogliono schiavi, servi assoggettati”.

Commento finale di Malavolta: “Però, quel Cesare ne ha viste e mi sa che gli toccherà vederne ancora”.
E noi ci chiediamo se ci saranno nuove avventure del Commissario Capo Bacco Malavolta.

Paolo Zaghini