Sergio Lepri, la poesia in dialetto di un inguaribile ottimista
1 Aprile 2019 / Paolo Zaghini
Sergio Lepri: “S-ciantèll ad paròli. Tla gran bascoza de zìl” – Pazzini.
Io non sono capace di scrivere come scrivono i professionisti della presentazione delle opere di pittura o di poesia. Debbo prenderne atto. Non posseggo quel loro criptico linguaggio con cui, interpretandoli, si può anche pensare che dicano delle cose importanti per la comprensione della poetica dell’artista o del poeta. La lingua italiana è così bella che ognuno la può utilizzare come meglio crede. Semmai potremmo unirci per combattere una battaglia per la difesa della ricchezza dell’italiano contro la semplificazione degli sms o dalle puttanate degli odiatori di Facebook.
Tutto questo per dire che non è facile per me presentare un libro di poesie dialettali (e che dialetto poi, quello duro di Santarcangelo di Romagna) come questa ultima opera di Sergio Lepri.
Onde evitare equivoci voglio però dire subito che è un libro stupendo, che si legge con grande emozione e partecipazione. Dalle riflessioni più intime alla constatazione di tante piccole situazioni di fatto.
Ad esempio.
Un gn’è la nàiva?
(St’àn la nàiva l’à vlèu zirè / d’un èlta pèrta / e alàura e’ prè tònda chèsa / par no stè ad mènch, / par fèinènca dispèt / u s’è vlèu impinòi pròima / de tèmp d’un tapàid / biènch ad marghèriti).
Non c’è la neve?
Quest’anno la neve ha voluto girare / da un’altra parte / e allora il prato attorno a casa / per non stare di meno, / per farle anche dispetto / si è voluto riempire prima / del tempo di un tappeto / bianco di margherite.
Sergio, perché non me lo hai detto che sei venuto a vedere il prato di casa mia? La descrizione è perfetta. Lo riconosco.
Ed è un dialetto armonioso, seppur duro con i suoi dittonghi. E’ quello che ha reso grande “E’ circal de’ giudéizi” ed i suoi autori: Tonino Guerra, Gianni Fucci, Nino Pedretti, Raffaello Baldini, Flavio Nicolini, Rina Macrelli, Giuliana Rocchi. Una tradizione poetica che può proseguire oggi con Sergio Lepri, Annalisa Teodorani ed altri poeti, giovani e meno giovani, che utilizzano il dialetto romagnolo per esprimere i propri sentimenti, per raccontare storie vecchie e nuove.
Augurandoci che la dedica al nipotino Lorenzo non sarà poi così vera: “anche se lui da grande capirà meglio l’inglese del dialetto del nonno”.
E’ questo il terzo volume di poesie dialettali di Lepri. A differenze dei primi due (“Al mulàighi d’un pasaròt” edito da Panozzo nel 2008 e “Dè par dè par zarchè ad svarnè” edito da Pazzini nel 2016) dove prevalevano le storie dei famigliari, degli amici, dei conoscenti, qui c’è una riflessione sui propri sentimenti, sulle proprie emozioni, sulle proprie capacità di vedere la natura esterna.
S-ciantèll e brandèll ad paròli / cal zòira, al prèla, al sbàtt ormài / da tòtt i chènt. L’arvanzarà qualcòsa / tla tèste e dròinta e’ còr?
(Racimoli e frammenti di parole / che girano, si arrotolano, sbattono / ormai da ogni parte. / Rimarrà qualcosa / nella testa e dentro il cuore?)
Sembra essere questo uno degli interrogativi maggiori che Lepri solleva in molti testi del libro, perché Lui le parole le ha usate sempre nei lunghi anni di militanza sindacale e politica per parlare con la gente, per capire i loro problemi e per illustrare le proposte per cercare di risolverli.
Paròli mèuti
Paròli cal còrr vèja se vènt / paròli cal và zò cmè l’aqua / dri mi fòss, paròli cal sparèss / cmè la nàiva sòta e’ sàaul, / paròli dròinta rògg / che nisèun e’ sìnt.
Parole mute
(Parole che corrono via col vento / parole che scendono come l’acqua / lungo i fossi, / parole che scompaiono / come la neve sotto il sole, / parole dentro urla / che nessuno sente).
O ancora: Ó vòja ad dè mal mi paròli / tòtt tòtt i culèur, ò voja ad dèi / i culèur de sàul e i culèur de zìl
(Ho voglia di dare alle mie parole / tutti, tutti i colori, ho voglia di dar loro / i colori del sole e i colori del cielo).
Ma soprattutto
Scòrr
Ogni tènt um ciàpa la voja ad scòrr / ad racuntè dal ròbi e ad arsantòili, / sa sìnt al mi paròli cal còrr tl’aria / e qualcadèun cu li stà a santòi, sa sìnt, / pu, che zìrca ad fèli sòvi, sé, am sìnt / cuntènt, cuntènt e bàsta.
Parlare
(Talvolta mi prende voglia di parlare, / di raccontare cose e di risentirle, / se sento le mie parole che corrono per l’aria / e qualcuno che le sta ad ascoltare, se sento, / poi, che cerca di farle sue, sì, mi sento / contento, contento e basta).
Se uno non conosce la data di nascita di Sergio Lepri, non dirà mai che ha 84 anni. E’ in forma splendida, attivo e curioso, lo incontri alle manifestazioni culturali a Rimini e a Santarcangelo. Ed è un inguaribile ottimista, anche se conclude questo ultimo libro dicendo che “lascia al giudizio dei lettori e delle lettrici, che ci potranno o vorranno esserci, con la consapevolezza che per poesia e dialetto, purtroppo, non saranno tanti”. Sergio, mai disperare. Ti auguro invece che possano essere in tanti a condividere le emozioni che le tue parole scritte sanno provocare e suscitare.
Paolo Zaghini