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Ma quale pericolo costante, tutti i numeri dicono esattamente il contrario


Guidate come una donna


23 Giugno 2024 / Lia Celi

Ah, la Francia. Seppure incasinata e sull’orlo di una svolta politica a destra che potrebbe far sembrare centrista il governo Meloni (lo sapremo fra un paio di settimane), resta sempre più evoluta di noi su certe cose, specie quando riguardano le donne.

Non mi riferisco all’inserimento nella Costituzione transalpina del diritto all’aborto (anche se ci sarebbe tanto, ma proprio tanto da dire, considerato che da questa parte delle Alpi si dice di non voler toccare la legge 194 ma si incoraggiano nei fatti l’obiezione di coscienza e l’intrusione dei movimenti pro-vita, quando l’unico modo accertato per incoraggiare la natalità è aumentare i servizi alla famiglia e l’occupazione femminile). Parlo della nuova campagna per la sicurezza stradale lanciata dal governo francese, con un motto che da noi farebbe scandalo: «Guidate come una donna». Tutte le ricerche confermano da anni e anni che le donne al volante non sono un pericolo costante, anzi, è esattamente il contrario. Il pericolo costante sono gli uomini, che troppo spesso vivono la guida in senso esibizionistico e competitivo, sono allergici ai limiti di velocità e trascurano le più elementari norme di prudenza, mettendosi in strada troppo stanchi o intontiti dall’alcol, o quando il meteo consiglierebbe di rimandare la partenza.

Senza essere infallibili (le piratesse della strada esistono) le guidatrici fanno meno danni. Lo confermano le rilevazioni delle agenzie di assicurazioni e della polizia stradale, che, anche tenendo conto del diverso uso dell’auto tra i due generi, evidenziano una minore pericolosità delle conducenti. E la ragione non è tanto il minore uso dell’auto da parte delle donne (oggi la differenza fra i chilometri percorsi non è così vistosa, 11.500 all’anno per i maschi e 10.500 per le femmine), ma il tipo di guida. Gli uomini circolano su automezzi più grossi e potenti, spesso pubblicizzati sui media con toni superomistici e aggressivi, e li guidano come se ne andasse di mezzo più il loro tasso di testosterone che l’incolumità del prossimo, compreso quello seduto in macchina con loro.

Ciliegina sulla torta, uno studio della Banca Mondiale, che ha calcolato che se tutti gli uomini guidassero come le donne, ubbidendo al suggerimento del governo francese, il tasso di mortalità stradale nell’Unione Europea diminuirebbe del venti per cento. In parole povere, ci sarebbe più gente che torna a casa viva nel fine settimana: per dire i trenta morti dell’ultimo weekend sulle strade italiane sarebbero “solo” ventiquattro. Che sono sempre un’enormità, ma sei bare in meno su cui piangere non è poco.

Eppure in Italia ormai è più accettabile lasciare a una donna la guida del governo o di un partito che quella dell’automobile principale di una famiglia. Ed è difficile che l’attuale ministro dei Trasporti, quel Matteo Salvini che ha portato al parlamento europeo il supermacho generale Vannacci, promuova la prudenza al volante invitando gli italiani a uno stile più «femminile».

Visto che l’esecutivo confida tanto nella capacità persuasiva degli attivisti pro-vita, anziché inviarli nei reparti di ostetricia e ginecologia potrebbe disseminarli sulle strade italiane, dove ogni giorno ci sono molte più vite in pericolo, bambini compresi. Ma è un’idea difficilmente praticabile nel paese dove si inneggia a Fleximan ed è più facile mettere in discussione il diritto delle donne sul proprio corpo che quello degli automobilisti sulle vite degli altri.

Lia Celi