I misteri di Verucchio sulle tracce di Arimnestos
18 Giugno 2024 / Stefano Cicchetti
«Gli ex voto che si trovano all’interno o nel pronao sono i seguenti: un trono di Arimnestos che regnò sui Tirreni, il quale per primo fra i barbari offrì un ex voto allo Zeus di Olimpia…»: queste parole del geografo greco Pausania nella sua “Periegesi della Grecia” (II sec. d.C.) da sempre hanno acceso curiosità e fantasia. Poichè si parla dei Tirreni, uno dei nomi degli Etruschi, con tutto quel che ne consegue in termini di mistero riguardo le loro origini, sulle quali già si dispoutava nell’antichità: provenienti dall’Oriente come diceva Erodoto o indigeni dell’Italia come al contrario affermava Dionigi di Alicarnasso?
Curiosità e fantasia vieppiù stimolate da queste parti, con quell’assonanza fra Arimnestos e Arimnus fume e Ariminum città, sommata alla presenza dei proto-Etruschi o “villanoviani” a Verucchio e i clamorosi rinvenimenti nelle loro sepolture, fra cui proprio dei meravigliosi troni.
Queste le suggestioni che hanno ispirato il riminese Danilo Re per il suo ultimo lavoro “La città della scimmia”, finalista al premio letterario “Città di Castello 2023” nella sezione saggi inediti. Re da molto tempo diverte e si diverte con ipotesi affascinanti: sua l’idea, niente affatto peregrina, che il gruppo scultoreo senza dubbio presente sulla sommità dell’Arco d’Augusto di Rimini fosse quello dei cosiddetti Bronzi di Cartoceto.
Quanto a “La città della scimmia”, spiega l’autore: «Questo saggio scaturisce dalla costola di un ben più meritevole titolo: “Arimnestos l’etrusco”, dell’apprezzato storico Andrea Antonioli; il mio testo fornisce a quel personaggio regale non solo una sepoltura degna degli eroi micenei, ma ne delinea anche i confini di un ampio regno ed un abbozzo di biografia, corredata da un plausibile albero genealogico. L’intera architettura del testo poggia su due pilastri fondamentali, intorno ai manufatti protostorici sui quali esso è incentrato non esiste tuttavia un solo rigo in letteratura: si tratta infatti di una scoperta casuale, mai fatta oggetto di pubblicazione, la cui ultima testimonianza orale risale ai primi Anni Trenta del Novecento; monumenti che io ho voluto pomposamente battezzare come “Tumuli Gemelli di Majoletto”».
Per arrivarci, Danilo Re parte dala considerazione che «già dal Settecento era stata avanzata l’ipotesi di un collegamento non soltanto etimologico tra il re tirreno Arimnestos e la città di Rimini, ad opera del gesuita Luigi Lanzi, appassionato studioso di storia dell’arte e contemporaneamente della lingua etrusca, nel suo “Saggio di lingua etrusca e di altre antiche d’Italia” (Roma, 1789)». Dopo di che si soffema su quanto segnalato da Andrea Antonioli, il quale «insiste giustamente su “un elemento fino ad oggi pressoché ignorato dagli studiosi”, ovvero che il lemma etrusco *arim sta a significare “scimmia”». Lo svela Servio Mario Onorato, grammatico della fine del IV secolo, che scrive: «Simiae (…) quas Etruscorum lingua arimos dicunt».
Ma cosa c’entrano le scimmie con Verucchio? Non lo sappiamo, fatto sta che ce ne sono eccome: «A Verucchio una ricca simbologia di motivi figurativi connessa alla scimmia appare su diversi oggetti e tutti in sepolture esclusivamente eminenti, il cui esempio più splendido è l’immanicatura in avorio con sembianze di scimmia appartenente a un coltello rinvenuto proprio nella Tomba Lippi 89. Molto più diffusi risultano i nettaunghie, che sono presenti in numerose tombe, tra cui l’esemplare più significativo è proprio quello proveniente dalla Tomba 89, con la presa a forma di scimmietta rannicchiata, mentre in certi casi, unicamente riscontrati a Verucchio, le scimmie vengono raffigurate contrapposte».
Seguendo Esiodo, la “terra degli Arimi” sarebbe legata ai miti dei mostruosi Tifone ed Echidna, il “vento di tempesta” e la terribile “vipera” che avrebbero simboleggiato forze primordiali e ostili della natura. «E se la terra degli Arimi fosse stata in realtà la Val Marecchia?», ipotizza Danilo Re. «Io suggerisco qui l’idea di un matrimonio esogamico, tra una nobile sacerdotessa di Verucchio ed un potente eroe guerriero proveniente di là dall’Adriatico». La scena di questo matrimonio, mitizzata da “fonti ostili”, cioè dai Greci, come l’unione fra spaventose entità straniere, “barbare”, sarebbe raffigurata su un trono verucchiese.
Impossibile sintetizzare qui la mole di spunti, osservazioni, riscontri archeologici e letterari alle tesi prospettate. Un percorso stimolante e seducente dove entrano le grotte di Onferno e, appunto, la rupe di Maiolo, Omero e l’isola di Ischia, gli Illiri e i Piceni, fino a individuare i confini precisi del regno degli “Arimi” nella valle del Marecchia e la genealogia dei loro sovrani. Con tanto amore per la propria terra e passione del ricercare quanto più possibile sulle sua origini.
Stefano Cicchetti