Qual è il più avvincente duello che non vedremo mai? Il confronto televisivo su RaiUno fra Giorgia Meloni ed Elly Schlein, che l’Agcom ha mandato a monte per futili motivi. Dove per futili motivi si intendono le lamentele di un coro trasversale dei maschietti della politica, che per timore di venire eclissati da due donne hanno invocato la par condicio, un cerimoniale così ipocrita, superato e complicato che nemmeno alla corte di Bisanzio.
E così noi elettori siamo stati privati della possibilità assistere a un dibattito pubblico fra le due personalità più rappresentative, comunque la si pensi, dell’attuale scenario politico italiano, un faccia a faccia unico al mondo (per quel che ne so), sia perché avrebbe visto sfidarsi una donna premier e una donna capo dell’opposizione, sia perché l’avrebbe arbitrato Bruno Vespa, uno che sta all’imparzialità come Fedez sta al galateo di Donna Letizia e al quale in un paese normale non si lascerebbe arbitrare nemmeno una partita di rubabandiera al centro estivo.
E dire che io avevo già cancellato tutti gli impegni per venerdì 23, data prevista per il duello. Non che mi aspettassi dalle due signore un fuoco pirotecnico di argomentazioni illuminanti, eh. Anzi, devo confessare che come non-fan di Meloni provo un certo sollievo, perché dal punto di vista della forza comunicativa e dell’efficacia la leader del Pd è decisamente inferiore alla sua avversaria. Meloni sembra autentica, spontanea, genuina e battagliera, Schlein sembra artefatta, libresca, impostata e fiacca.
Insisto sul “sembra” perché mi riferisco strettamente alle apparenze e all’effetto che fanno sullo spettatore: la premier potrebbe semplicemente essere un’attrice più talentuosa e dotata per l’improvvisazione, rispetto alla segretaria dem, o avere suggeritori più in gamba. Oltretutto Meloni ha dalla sua l’accento romanesco, vincente e onnipresente nel mondo dello spettacolo e dell’informazione, mentre Schlein ha un’inflessione da emiliana perbene, che al confronto sembra più fiacca. L’accento emiliano in politica bisogna saperlo gestire con accortezza, va strascicato con indolenza e caricato di ironia: i maestri in questa arte sono Romano Prodi e Pierluigi Bersani, e Schlein dovrebbe imparare da loro.
Insomma, come elettrice di sinistra temevo un match con Giorgia nel ruolo di Sinner e Meloni in quello dell’ultimo Djokovic, e sotto questo profilo l’Agcom mi ha tolto un peso dal cuore. Ma come cittadina, telespettatrice e donna mi sento privata di una grande occasione. E mi dà ancora più sui nervi che ad averla soffiata alle due protagoniste sia stata l’armata dei quaquaraquà, gelosi e biliosi, terrorizzati dal sistema proporzionale che vige nelle elezioni europee e li costringe a lottare per un brandello di visibilità usando tutti i mezzi, compreso toglierla a chi, per ruolo e importanza, la meriterebbe. Riuscirà La 7 a darci quello che mamma Rai ci ha negato, magari aggiungendo al pacchetto Meloni-Schlein il bonus Gruber come moderatrice? O questa volta ci si metterà di mezzo Enrico Mentana, in nome della par condicio fra primedonne?
Lia Celi