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Il fascismo? Giorgia Meloni non l’ha mai sentito nominare


19 Agosto 2022 / Nando Piccari

Effettivamente Letta ha sbagliato ad affermare che Giorgia Meloni, con quella finta presa di distanza da una delle fondamenta del suo partito, avesse solo “tentato di incipriarsi”.

Certamente Fratelli d’Italia è oggi un assemblaggio di iscritti, militanti ed elettori non tutti di cultura fascista e di provenienza “missina”. Come invece è la sua capa, che aspirando ad andarsi a sedere a Palazzo Chigi ha urgente bisogno di rifarsi una “verginità democratica” (alè, non è che sto diventando misogino pure io?).

Lei però la fa troppo facile, poiché se la cava raccontando che «la Destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia»: una frasettina di circostanza che certo non scontenta i “fratelli nostalgici”, visto che di per sé non significa ripudiare l’oggetto consegnato alla storia, né prendervi le distanze.

Del resto ci pensa la lingua italiana a sancire come “consegnare alla storia” sia sinonimo di “eternare, eternizzare, glorificare, immortalare” e che “dicesi di evento o persona la cui fama durerà a lungo”.
Per essere seria e credibile, la Meloni disponeva di tre “opzioni narrative”.

La prima: “Sì, sono partita da neofascista, ma strada facendo ho capito che sbagliavo e così oggi sono antifascista”.
La seconda: “Non sono mai stata neofascista, ma se ai miei esordi nel Movimento Sociale volevo contare qualcosa, dovevo far finta di esserlo. Ed è stato solo per sfoggiare la mia dimestichezza col francese se mi è capitato di dichiarare al telegiornale Soir 3: «Je crois que Mussolini était un bon politicien. Tout ce qu’il a fait, il l’a fait pour l’Italie». Vale a dire: «Credo che Mussolini sia stato un buon politico. Tutto ciò che ha fatto l’ha fatto per l’Italia».La terza: “Anche se l’originaria impronta mi è un po’ rimasta, mi tocca però dire che non sono fascista nemmeno un pochino. Ma solo alla stampa estera, così è sperabile che lo venga a sapere il minor numero possibile di quei ‘fratelli‘ che amano chiamarsi ancora l’un l’altro ‘camerata‘ e non perdono occasione per fare il saluto romano, con tanto di ‘eia eia alalà’. O di quelli che addobbano le nostre sedi intitolate ad Almirante con l’effigie della X Mas e il ritratto di Junio Valerio Borghese”.

“Naturalmente non metterò la camicia nera, mi basterà continuare a stare dalla parte di quelli che nel mondo hanno qualcosa di fascisteggiante da esprimere, poco o molto che sia. Così mi piace flirtare con Orban, che in Ungheria non vuole mescolanza di razze; avere sintonia con i neofascisti spagnoli di Vox; rimpiangere Trump; non essere in cattivi rapporti con i neonazisti tedeschi; scambiare confidenze con Marie Le Pen. E anche se do ad intendere il contrario, tifare per Putin, soprattutto dopo che ha incaricato il suo tirapiedi Medvedev di dare una mano a me, Salvini e Berlusconi, con quella sua esortazione a non votare il 25 settembre per gli stupidi. Che naturalmente sono Letta ed il Centrosinistra, visto che ultimamente anche Calenda, Renzi e Conte hanno smesso un bel po’ di esserlo.”

Giorgia Meloni e Viktor Orban

Di fronte alle critiche per la pochezza e la tentata furbizia di quell’uscita, s’è invece messa a tacciare Letta di misoginia. Quando invece lui ha sbagliato non perché misogino, ma per aver lasciato a metà una critica che andava così completata: “Giorgia Meloni ha tentato di incipriarsi la faccia di bronzo”.

Nel suo starnazzare, oltre alla scontata solidarietà di compari e camerati, Meloni ha ricevuto sorprendenti espressioni se non proprio di consenso politico, comunque di “assoluzione” pure da soggetti teoricamente progressisti.
Mi riferisco in particolare all’altezzosità intellettuale di talune giornaliste con la puzza sotto il naso (oddio, mi sa che ci risono con il rischio di misoginia…) per le quali, in democrazia, la contrapposizione politica ha bisogno sì di correttezza e lealtà, ma più ancora di una gigantesca dose di eleganza.

Sul piano più specificatamente politico, si registrano poi una piacevole sorpresa e un pietoso “caso umano”.
La sorpresa è data dall’insospettata vocazione al “buonismo politico” sopraggiunta al redivivo Mario Capanna. Uno che ai suoi tempi, quando a Milano faceva dei gran casini spacciandoli per lotta politica, i fascisti li avrebbe presi a morsi. Invece nell’intervista di qualche giorno fa, alla domanda sull’argomento se n’è uscito con: «Il fascismo? Buonanotte. Parliamo di problemi veri. Ritornare a vecchie opposizioni serve a nascondere il vuoto delle idee».

Il “caso umano” è quello di Moni Ovadia.
Il pover’uomo vive un travaglio tremendo, dovendo fare i salti mortali perché appaia normale, prima di tutto a stesso, il suo dichiararsi «antifascista dalla punta delle dita ai capelli» con l’essere lo strapagato direttore del Teatro Claudio Abbado di Ferrara, voluto e nominato da un uomo di Salvini, sindaco di una Giunta in cui siedono anche gli amici di La Russa.

Avete però presente come reagiscono certuni, quando sanno di avere torto marcio e si sentono con le spalle al muro? Anziché starsene zitti e buoni e andarsene con la coda fra le gambe, salgono sulla cattedra della loro goffaggine e si fanno ridere dietro mettendosi a pontificare, come fa appunto “il compagno” Moni Ovadia.

Prima la sviolinata ruffiana verso la finta avversaria politica: «Io sto dall’altra parte, ma non posso non riconoscere che Giorgia Meloni è un leader di altissimo livello, che sa argomentare e che ha una sua visione… ha la caratura di un leader… ha mostrato notevoli capacità».

Poteva la Meloni restare insensibile? Ovviamente no: «Ringrazio Moni Ovadia per le belle parole nei miei confronti e per l’onestà intellettuale che lo contraddistingue. Voler riconoscere il valore di chi non la pensa come noi è una qualità che appartiene a pochi».

Subito dopo, l’infamata contro il traditore dell’antifascismo, diventato il vero nemico di Ovadia: «Le ambiguità agli eredi del fascismo sono state permesse dalla degenerazione culturale di quello che oggi si chiama Partito Democratico. La sinistra italiana ha accettato un revisionismo sconcio, da salotto televisivo, che ha calunniato i partigiani. Se la Meloni ha conquistato tanti consensi popolari la responsabilità principale è del PD».

Ecco, io credo sia bello sapere che questo suo ammiratore continuerà a fare le serenate a Giorgia fino all’ultimo giorno di campagana elettorale.

Nando Piccari

Post scriptum
Òps! Ho scritto “credo”. Non è che adesso Salvini vuole i diritti d’autore?