Il libro di Stefano Pivato “Contro lo sport. Da Pio X a Umberto Eco”
30 Dicembre 2024 / Paolo Zaghini
Stefano Pivato: “Contro lo sport. Da Pio X a Umberto Eco” Alfabeto UTET
Questa è l’ultima segnalazione libraria per il 2024. In otto anni e mezzo, dal luglio 2016 quando Chiamamicitta.it ha preso avvio, ho condiviso con Voi, miei affezionati lettori, le emozioni, le storie, i protagonisti di 447 libri. Si potrebbe dire uno scaffale locale di una biblioteca. Spero di riuscire a proseguire anche nel 2025 per arrivare al traguardo di 500 segnalazioni. Colgo l’occasione per inviare a tutti Voi gli auguri per un 2025 di felicità, di pace, d’amore.
Stefano Pivato ci propone ancora un nuovo testo sulla storia dello sport in Italia, dopo la “Storia sociale della bicicletta” (Il Mulino, 2019), la “Storia dello sport in Italia” (con Paul Dietschy, Il Mulino 2019), “Tifo. La passione sportiva in Italia” (con Daniele Marchesini, Il Mulino 2022). O meglio, questa volta, su tutti quelli che nel tempo non hanno amato le attività fisiche ed agonistiche nel nostro Paese. E sono tanti.
E Pivato li elenca, ne racconta le motivazioni, ci porta a scoprire aspetti di personaggi noti che non sospetteremmo. Ad esempio don Lorenzo Milani, fermamente contrario a “bestemmiare il tempo”, ovvero a perder tempo con attività sportive o con il ballo. Scrive Pivato: “se sul piano sociale Lorenzo Milani è stato considerato progressista e contestatore al punto che ‘Lettera a una professoressa’ è giustamente ritenuto uno dei breviari del movimento della generazione del Sessantotto, sotto l’aspetto ecclesiale viene invece classificato come interprete di una rigida ortodossia”.
Si parte dalle considerazioni dei medici di fine ‘800 quando “le prime visite di leva dello Stato unitario denunciano in maniera preoccupante l’elevata quota di riformati, che difetti come insufficienza toracica, difetto di statura, gracilità, e altre imperfezioni fanno ascendere al 40%. La cura del ‘corpo malato’ dell’italiano – sostengono in coro igienisti, educatori e politici – deve essere inclusa tra i temi più urgenti della nazione”. E in queste valutazioni ci sono chiaramente le finalità di tipo militare, per la costituzione di un esercito di italiani idonei. Così per le classi dirigenti postrisorgimentali il rafforzamento fisico dei nostri connazionali divenne prioritario assieme alla diffusione della lingua e dell’istruzione elementare.
Ma contro questi propositi si ersero fra la fine del diciannovesimo secolo e la prima metà del ventesimo socialisti e cattolici. Con considerazioni diverse, ma che alla fine miravano allo stesso risultato: limitare l’attività sportiva. Per i socialisti lo sport era “considerato contrario ai principi e all’etica del socialismo”. “Lo sport viene ritenuto un ‘lusso inutile’. Ma queste riflessioni negative appartenevano anche a repubblicani e anarchici.
Sarà la bicicletta, con il successo delle folle che si avvicinano al primo Giro d’Italia del 1909, a incominciare a far cambiare idea agli esponenti socialisti. Nel 1912 nascono i “ciclisti rossi” che durante scioperi e manifestazioni funzioneranno come “mezzi sicuri e celeri per comunicazioni e corrispondenze”. Però nei loro regolamenti “il tempo libero si configura come prolungamento e completamento della militanza politica”. Essi usavano il ciclo “Avanti”, i pneumatici “Carlo Marx”.
“Se i giovani socialisti si oppongono allo sport perché lo ritengono una distrazione rispetto agli obiettivi della lotta di classe e della rivoluzione sociale, il mondo cattolico vi intravvede una minaccia per la formazione del giovane cristiano”.
Per il mondo cattolico lo sport si identifica con la ginnastica e pratiche come quelle del calcio o del ciclismo sono considerate espressioni di mondanità. Ma la loro più grande paura è che “la ginnastica possa agevolare la promiscuità”. E aggiungerei una maggiore conquista di autonomia delle donne. Il francescano padre Gemelli dirà invece: “Diamo alle nostre ragazze quello sviluppo fisico che ne farà delle madri sane e robuste, capaci di portare i pesi della maternità, che le renda atte a questa importante e grave funzione alla quale Iddio le ha, sopra ogni altra cosa, destinate”.
Nel corso degli anni Trenta il fascismo innalza lo sport a espressione del vitalismo del regime, scontrandosi in più occasioni su questa visione con il mondo cattolico e le sue organizzazioni. E sarà in particolare lo sport femminile uno dei maggiori punti di contrasto. E’ il vestiario il punto del contendere: sulla lunghezza delle gonne, sui pantaloncini, sulle canottiere. Per la ginnastica, ma anche per le biciclette, definite spesso “strumento del diavolo”.
Ma contro lo sport negli anni Trenta è anche il filosofo Benedetto Croce, “una condanna senza appello contro la filosofia sportiva del regime”. Ma anche Umberto Eco, molti decenni dopo, ha grandi riserve sullo sport: “Dichiara di non essere contrario allo sport ma alle schiere dei tifosi fanatici che alimentano la degenerazione della ‘chiacchiera sportiva’. Io non odio il calcio, io odio gli appassionati di calcio”. Per chiudere la carrellata dei ‘contro’, Beppe Grillo e i Cinque Stelle che si impegnarono nel 2016 a far saltare la candidatura di Roma (Sindaca era la grillina Raggi) ad ospitare le Olimpiadi del 2024, resuscitando “quelle polemiche antisportive della sinistra italiana d’inizio Novecento e aggiornate dal movimento del Sessantotto in polemica contro la società borghese”.
Il retro di copertina del libro di Pivato “urla”: “Cattolici, socialisti, patrioti risorgimentali, contestatori sessantottini: tutti uniti dall’opposizione allo sport, per quasi un secolo. Ma lo sport ha sbaragliato gli ostacoli e oggi ha vinto”. Siamo sicuri che sia proprio così?
Paolo Zaghini