HomeCronacaIl politologo americano Kaplan: “In Adriatico per capire dove va il mondo. Partendo da Rimini”

"E' molto importante che l'Italia faccia tutto il possibile per aiutare l'Ucraina"


Il politologo americano Kaplan: “In Adriatico per capire dove va il mondo. Partendo da Rimini”


8 Febbraio 2023 / Stefano Cicchetti

Per capire dove va il mondo bisogna andare in Adriatico. E il viaggio deve partire da Rimini. Lo scrive Robert D. Kaplan nel suo ultimo libro, “Adriatico. Un incontro di civiltà” (Adriatic: A Concert of Civilizations at the End  of the Modern Age, Random House USA Inc – Marsilio, 2022). Kaplan, 70enne politologo americano, è stato inserito dalla rivista “Foreign Polilicy” fra i «100 migliori pensatori globali» del mondo. Reporter durante la guerra Iran-Iraq del 1984, poi nei Balcani e in Afghanistan, conquistò la fama con “Balkan Ghosts”, pubblicato nel 1993 ma scritto prima della guerra nella ex-Jugoslavia, che vi veniva prevista e spiegata. Da quando Bill Clinton fu visto con quel libro sottobraccio, Kaplan è entrato nel gotha degli analisti di geopolitica impossibili da ignorare. Cattedra al Foreign Policy Research Institute di Philadelphia, in trent’anni è stato autore di una ventina di libri e decine di articoli per The Atlantic, Washington Post, New York Times, The New Republic, The National Interest, Foreign Affairs e Wall Street Journal.

Newyorchese di origine ebraica, ha servito nell’esercito istraeliano, ma per il suo “The Israel Lobby and US Foreign Policy” è stato bollato come avversario delle politiche di Tel Aviv. Consulente del Pentagono durante l’amministrazione George W. Bush ha sostenuto la seconda guerra in Iraq, salvo poi pentirsene amaramente. Critico su Donald Trump“sembra non avere il senso della storia” – durante la presidenza Obama ha sostenuto che “era meglio tenersi Gheddafi”. 

Dunque un personaggio che non si lascia incasellare nelle etichette ideologiche e tanto meno partitiche. Fautore della scuola di pensiero “realista” – “la politca internazionale non conosce una morale” – , la sua attenzione ultimamente è tornata a concentrarsi sull’Europa e in particolare su quella orientale: tre dei suoi ultimi quattro libri sono significativamente intitolati “All’ombra dell’Europa”, “Il ritorno di Marco Polo” e ora “Adriatico”.

“Rimini. L’Europa di pietra calcarea” è il primo degli otto capitoli di questo libro. Prima tappa del viaggio che condurrà l’autore a Ravenna, Venezia, Trieste, Capodistria, Fiume, Lubiana, Zagabria, Zara, Spalato, Curzola, Ragusa-Dubrovnik, Cattaro, Scutari, Tirana e infine Corfù.

“L’eredità pagana d’Europa ostenta il massimo della sfrontatezza all’ingresso di questa chiesa cristiana”: e il riminese ha già capito dove si trovi l’analista americano. In una fredda giornata sferzata dalla pioggia – “le città di mare vanno visitate in inverno” – Kaplan contempla il miracolo in pietra d’Istria voluto da Sigismondo Pandolfo Malatesta. Si sofferma sulla tomba di Giorgio Gemisto Pletone che il signore di Rimini, ormai malato e sconfitto, volle a riposare accanto a lui, traslandone i resti mortali dalla greca Mistra al Tempio disegnato da Leon Battista Alberti che inaugurò l’Umanesimo.

La suggestione riminese acccompagna tutto il periplo compiuto dall’autore. Un viaggio innanzi tutto intellettuale e letterario. Come sempre, Kaplan è spiazzante quanto stimolante, interessante proprio perchè discutibile, affascinante proprio perchè inafferrabile. Ne esce un libro impossibile da classificare. Qualcosa di più, o di meno, di un diario di viaggio. Non un trattato di geopolitica, ma ricchissimo di spunti attuali. Non un testo di storia, ma prezioso per ricomporre i frammenti del passato che ancora marchiano il presente. Non un reportage giornalistico, ma ecco interviste a intellettuali e politici, a iniziare dagli italiani Claudio Magris, Paolo Rumiz, Riccardo Illy. Onde di ricordi personali e soprattutto un mare di letteratura e di poesia, come non ci si aspetterebbe dal freddo osservatore dei conflitti globali. Calvino fin dal frontespizio, e Pound, Dante, Eliott, Brodsky, Joyce, Svevo, Roth, via via fino al commosso omaggio al premio nobel greco Giorgòs Seferis, cantore della prima grande tragedia di pulizia etnica e migrazione forzata quale fu l’esodo degli ellenici dall’Asia minore subito dopo la prima guerra mondiale. Nutrendosi naturalmente dei grandi “viaggiatori” mediterranei, da Fernand Braudel a Predrag Matvejević.

Un testo rivolto innanzi tutto al lettore anglosassone, cui si fa notare: “Per quanto ignorato dai giornalisti e dagli strateghi professionisti, l’Adriatico delimita l’Europa centrale e orientale quanto il mar Baltico e il mar Nero”. Una faglia critica da cui sono sempre scaturiti immensi sommovimenti. Ma anche un punto di incontro decisivo per lo sviluppo delle civiltà. Di più: “Qui è distillata l’Europa”, pertanto “ho deciso di adottarlo come metafora di un’era che volge al termine”. Ed è dunque qui che bisogna guardare, anche per trovare le vie d’uscita dalle crisi che ci attanagliano. Dalle minacce del populismo reazionario ma senza futuro – senza appello il pronostico sul nazionalismo, dato sulla via della sicura estinzione – alle colossali correnti migratorie, dalla lotta sotterranea per le fonti energetiche, alle guerre purtroppo guerreggiate e conclamate.

La composizione degli antichi conflitti dell’Adriatico sarà pertanto il banco di prova per l’Europa, sostiene Kaplan. Che vagheggia un “impero benevolo” della UE al cui interno quei contrasti possano stemperarsi. Come del resto è già accaduto per quelli fra Italia e Slovenia: oggi sull’ex confine della Cortina di Ferro si passa quasi senza neppure fermarsi. La sintesi fra Oriente e Occidente osata da Pletone è ancora una sfida non solo seducente, ma urgente e necessaria: perchè la Cina è già qui, molto più vicina che nel film di Bellocchio nel 1967. Ed auspica la possibilità che all’interno dell’impero europeo rifioriscano le autonomie di città-stato cosmopolite, come fu ad esempio la Repubblica di Ragusa compressa fra Venezia e gli Ottomani.

Robert D. Kaplan ha gentilmente accettato di rispondere a qualche domanda.

Ha iniziato il suo viaggio da Rimini. Perché non dalla Puglia, o dalla repubblica marinara di Ancona, o direttamente da Ravenna, capitale imperiale?

“Ho iniziato il mio viaggio da Rimini perché ero infatuato della poesia di Ezra Pound. E Pound, a sua volta, era infatuato della figura di Sigismondo Malatesta, così associato al duomo di Rimini. Quindi è stato un legame molto personale e intellettuale che mi ha spinto a iniziare il mio viaggio a Rimini. Ha fornito un focus per il mio diario di viaggio”.

Un anno prima della guerra in Ucraina lei sosteneva la necessità che gli USA trovassero un accomodamento con la Russia; ora ritiene probabile la sconfitta militare di Putin e spera che l’Occidente possa facilitare la transizione di Mosca verso un regime più aperto e democratico. Come? E cosa può fare ad esempio l’Italia?

“La guerra in Ucraina è il più grande evento militare in Europa dalla battaglia di Berlino del 1945. In quanto tale, rappresenta un punto di svolta storico. Il modo in cui le nazioni reagiranno alla guerra in Ucraina sarà ricordato negli anni a venire. Pertanto, è molto importante che l’Italia faccia tutto il possibile per aiutare l’Ucraina, poiché così facendo migliorerà la sua reputazione in Occidente per molto tempo”.

Secondo i sondaggi, le popolazioni italiana e greca sono le uniche nella UE con una maggioranza contraria all’invio di più armi in Ucraina. Secondo lei perché?

“L’Italia e la Grecia, in gran parte per ragioni geografiche, non sono così minacciate dalla Russia come, ad esempio, la Polonia, gli Stati baltici e la Romania. Pertanto, è naturale che le loro popolazioni non si sentano favorevoli alla lotta ucraina come gli altri paesi. L’Italia e la Grecia hanno altri problemi di sicurezza, come rifugiati e migranti nel Mediterraneo”.

Stefano Cicchetti