Ilario Tabarri, il duro della Resistenza che fece largo ai giovani
25 Aprile 2017 / Paolo Zaghini
Da qualche anno l’antifascismo romagnolo deve convivere con il terribile j’accuse di Giorgio Fedel (1936-2014), figlio di “Libero” Riccardo Fedel (1906-1944), primo comandante delle forze partigiane romagnole sull’Appennino. Nella nota dell’autore, alla fine del libro che Giorgio Fedel ha pubblicato, uscito due giorni dopo la sua morte avvenuta l’11 luglio 2014 a Treviso, “La prima resistenza armata in Italia alla luce delle fonti britanniche e tedesche” (Fondazione Riccardo Fedel – Comandante Libero, 2014), lancia la sua accusa su chi furono gli esecutori e i mandanti dell’uccisione di suo padre: “I mandanti dell’omicidio, e quindi i veri colpevoli, risultano essere stati: Ilario Tabarri, detto Pietro; Guglielmo Marconi, detto Paolo. I due decisero di assassinare Libero senza aver ottenuto alcuna autorizzazione dai comandi superiori”.
Con Giorgio, nel corso degli ultimi dieci anni, gli Istituti Storici della Resistenza discussero infinite volte, anche noi a Rimini. Giorgio non era un nemico della Resistenza, cercava e chiedeva di conoscere la verità sulla morte del padre, e soprattutto di sapere dove suo padre fosse stato seppellito. La vicenda venne ripresa e strumentalizzata dai giornali di destra, nonché da vari autori fra cui Giampaolo Pansa. Non voglio qui oggi riprendere quella discussione, anche se l’accusa mossa da Giorgio Fedel per noi riminesi è pesantissima e inaccettabile, come ebbi occasione di dirgli nel nostro ultimo incontro alcuni mesi prima della sua morte. Se Giorgio non fosse morto così all’improvviso, sicuramente ci sarebbe stato un duro confronto, perché la Storia non si scrive su ipotesi non suffragate da fatti certi. Ma certamente a quel confronto non ci saremmo sottratti: gli Istituti Storici della Resistenza, così come credo anche l’ANPI, non hanno nulla da nascondere sulle vicende terribili e spesso tragiche di quel periodo che va dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945. Semmai, appunto, si tratta di conoscere e ricercare la verità. E un grazie a Giorgio noi lo dobbiamo, perché ci ha costretti ad approfondire le ricerche e le nostre conoscenze sulle vicende delle prime formazioni partigiane romagnole fra l’autunno del 1943 e la primavera del 1944.
Questa premessa mi era indispensabile per parlare di Ilario Tabarri, “Pietro”, il comandante partigiano dell’8.a Brigata Garibaldi Romagna che guidò la resistenza sull’Appennino dalla primavera del 1944 sino alla Liberazione di Forlì il 9 novembre 1944. Perché Tabarri fu una figura chiave del dopoguerra riminese, quando venne chiamato a guidare la nuova Federazione Riminese del PCI, autonoma da Forlì.
Il Congresso costitutivo della Federazione Comunista Riminese si tenne nella Sala dell’Arengo dal 29 al 30 aprile 1949. A questa decisione si arrivò dopo una lunga e travagliata discussione, in sede nazionale oltre che locale: con la costituzione della Federazione Riminese la Direzione Nazionale del PCI modificava la sua decisione del 1945 di non creare federazioni in quelle realtà che non fossero state capoluoghi di provincia.
D’altra parte l’organizzazione comunista riminese stava sempre più stretta dentro quella forlivese: vuoi per la lontananza geografica, vuoi per la rapida ripresa economica del riminese che richiedeva un centro decisionale più vicino, ma vuoi anche per le profonde diversità politiche che avevano caratterizzato la rinascita del Partito Comunista nelle due realtà di Rimini e di Forlì.
A Forlì il gruppo dirigente partigiano (in particolare gli esponenti cesenati dell’8.a Brigata Garibaldi) aveva assunto la direzione del Partito, e la manterrà per lunghi anni.
A Rimini invece il gruppo proveniente dalla resistenza armata ai nazi-fascisti sarà ben presto emarginato, o meglio questo non riuscirà a diventare nuova classe dirigente. La direzione venne assunta da una nuova leva di giovani quadri tecnici e intellettuali, arrivati al partito negli ultimi tempi del fascismo. E questi si faranno ben presto interpreti di esigenze nuove, politiche e culturali, per la rinascita di Rimini dalle macerie della seconda guerra mondiale.
Una frase di Gaetano Chiarini, segretario della Federazione Comunista forlivese, nelle conclusioni del VII Congresso nel dicembre 1947 testimonia di questo clima differente fra le due realtà: “Abbiamo avuto eccessivi interventi di intellettuali. Non sono contro gli intellettuali, anzi dirò che nella provincia (escluso forse Rimini) abbiamo troppo pochi intellettuali”.
Il Partito Comunista riminese si era organizzato in Federazione alla fine d’agosto del 1943. Suo primo segretario fu Gaetano Verdelli di Bologna, sostituito poi il 3 marzo 1944 da Decio Mercanti (che era anche il Presidente del CLN riminese). Ma pochi mesi dopo la Liberazione, nei primi giorni del 1945, la Federazione riminese venne sciolta: era arrivata la indicazione della costituzione delle federazioni solo su scala provinciale. Rimini divenne una “zona” della Federazione forlivese. La dirigerà sino ai primi mesi del 1947 il ravennate Wladimiro Rossi, quando la “zona” venne sciolta. Il rapporto con Forlì divenne quindi compito di ogni singola realtà comunale. Non esistevano più organismi intermedi. Ma questa scelta in pochi mesi rivelò tutta la sua debolezza.
Dal 20 al 22 dicembre 1947 si svolse il VII Congresso della Federazione Forlivese. I riminesi vi parteciparono attivamente: undici intervennero nel dibattito (Italo Rossetti di San Giovanni in Marignano, Alfredo Nicoletti di Coriano, Gianni Quondamatteo di Riccione, Decio Mercanti, Arthes Ghinelli responsabile UDI di Rimini, Gino Pagliarani, Antonio Antonioli di Riccione, Renato Zangheri, Alfredo Arcangeli della FGCI, Attilio Venturi, Ivano Toselli di Morciano). Quasi tutti loro negli interventi sollevarono la questione di un organismo indipendente per il Circondario di Rimini.
Da qui si avviò il dibattito sull’autonomia riminese nel corso del 1948, frammista allo scontro politico per elezioni politiche del 18 aprile 1948 e alle proteste per l’attentato a Togliatti il 14 luglio. E in mezzo alla grave crisi della Giunta comunale riminese che sfociarono nelle dimissioni del Sindaco Cesare Bianchini l’8 novembre. Il 15 novembre 1948, in questa situazione incandescente a livello politico e amministrativo, venne convocata l’assemblea dei quadri comunisti delle sezioni di Rimini. All’ordine del giorno: “Situazione del Comune” e “Comunicazioni della Federazione”. Relazionò su entrambi i punti Nicola Pagliarani, segretario del Comitato Comunale di Rimini. All’incontro erano presenti Ilario Tabarri in rappresentanza della Federazione di Forlì e Albertino Masetti della Direzione regionale. Chiaramente al centro della discussione le dimissioni del Sindaco Bianchini e la nomina a suo sostituto di Walter Ceccaroni. In merito alle “Comunicazioni”, Masetti a nome della Direzione regionale diede il via libera all’avvio del percorso per la nascita della nuova Federazione Riminese.
Le conclusioni furono tratte da Tabarri che da questo incontro con la realtà riminese compì il primo passo verso la direzione della nuova Federazione di Rimini.
Il 18 novembre 1948 il Comitato Comunale allargato costituì il Comitato di Zona del Circondario di Rimini. Erano 13.195 gli iscritti al Partito, di cui 6.200 a Rimini suddivisi in 22 sezioni. Segretario venne eletto Ilario Tabarri. Con lui in Segreteria c’erano Nicola Pagliarani, responsabile dell’Organizzazione; Gino Pagliarani, responsabile della Stampa e Propaganda; Giovanni Baldinini, responsabile della commissione d’amministrazione.
Il nullaosta della Direzione Nazionale per la costituzione della nuova Federazione arrivò verso metà marzo 1949. Cinque mesi dopo la nascita del Comitato di Zona si tenne il Congresso costitutivo della Federazione alla fine di aprile del 1949. Ilario Tabarri divenne il primo Segretario della Federazione Comunista Riminese.
Tabarri era nato a Cesena il 3 aprile 1917. Meccanico. Nell’agosto 1936 emigrò in Francia, per poi passare ad ottobre in Spagna per combattere contro i franchisti nelle Brigate Internazionali. Nel settembre 1938 rientrò in Francia, a Marsiglia, dove svolse una intensa attività antifascista sino al dicembre 1941, quando fu arrestato dalla polizia francese. Fu estradato in Italia e condannato a 5 anni di confino a Ventotene. Rientrò a Cesena dopo l’8 settembre 1943. Responsabile dei GAP forlivesi dall’ottobre 1943 al marzo 1944. Assunse il nome di battaglia di Pietro Mauri. Alla fine di marzo del 1944 divenne il comandante dell’8.a Brigata Garibaldi Romagna che guidò sino al suo scioglimento nel novembre 1944.
Negli organismi dirigenti della Federazione Comunista forlivese. Primo Presidente dell’Amministrazione Provinciale forlivese. Dal novembre 1948 all’aprile 1949 fu responsabile del Comitato di Zona del PCI riminese; dall’aprile 1949 al giugno 1952 fu il segretario della Federazione Comunista Riminese. Membro del Comitato Centrale del PCI. Entrò poi all’ufficio organizzazione della CGIL e successivamente fu responsabile del Centro Studi della Federazione Internazionale Sindacale a Bruxelles. Nei primi anni ‘60 lasciò ogni attività politica e sindacale. Si stabilì a Brescia, facendo il rappresentante. Qui morì il 27 aprile 1970, a 53 anni, per un tumore.
Tabarri a Rimini incarnò il modello del dirigente comunista emiliano-romagnolo di quegli anni del primo dopoguerra. Scriveva Alberto Maria Rossi sul numero de “Il Mulino” del gennaio 1963: “legati anche sentimentalmente allo stalinismo, questi uomini che si sono temperati in carcere, al confino o in esilio, e, infine, nella lotta armata della Resistenza, tendono a perpetuare in condizioni di lotta totalmente diverse quei metodi di direzione fortemente centralizzata, burocratica ed autoritaria che erano propri dello stalinismo e che erano stati adottati dal Partito durante la clandestinità e la Resistenza”.
Tabarri fu così: uomo duro, ma contemporaneamente divenne un punto di equilibrio per il partito riminese che in quei primi anni del dopoguerra aveva già visto al proprio interno pericolose spaccature e dimostrato le difficoltà a costruire un gruppo dirigente unitario e forte. Attaccò le chiusure politiche esistenti, le improvvisazioni, le incapacità di comprendere ciò che di nuovo si stava muovendo nella società. I contrasti fra i “giovani” pervenuti alla direzione del partito e delle amministrazioni comunali e gli “anziani” del periodo clandestino e della lotta armata raggiunse spesso punte di rottura dentro il gruppo dirigente. Tabarri protesse per un lungo periodo i “giovani”: quasi un controsenso, essendo lui espressione dell’ala più dura e chiusa del partito forlivese, prestigioso esponente del movimento partigiano che aveva egemonizzato il partito a Forlì. Tuttavia il contrasto “giovani” e “anziani” a Rimini non fu solo una questione anagrafica, quanto invece un dividersi sul modo di fare politica, perché complessivamente fu una generazione anagraficamente giovane, di trentenni e quarantenni, quella che si confrontò e si scontrò dentro il “partito nuovo” di Togliatti.
Tabarri consolidò il Partito negli anni dello scontro più duro con la DC, fra il 1948 e il 1953. Vinse le elezioni amministrative del 27 maggio 1951, quando Rimini rimase l’unica grande città della Romagna governata dalle sinistre. Tabarri lasciò all’improvviso la direzione del PCI riminese il 3 giugno 1952, passando all’Ufficio Organizzazione della CGIL nazionale. Venne inviato a sostituirlo il bolognese Mario Soldati che lasciò, nel marzo 1955 alla fine dei suoi quasi tre anni di direzione del partito riminese, una situazione completamente diversa da quella che aveva ereditato da Tabarri.
Devo all’amicizia di Bruna Tabarri, figlia di Ilario, la pubblicazione di queste foto che lei mi ha consegnato. Per questo La ringrazio.
Paolo Zaghini