Incontrare a Rimini una Umberto Dei “Imperiale” senza svenire
24 Novembre 2024 / Giuliano Bonizzato
Non credevo ai miei occhi.
Quel signore che pedalava davanti a me sulla strada che, attraverso il Parco, porta al Tribunale, inforcava un mito.
Perché ci sono le bici da corsa doc, che sono come i purosangue. Se si rompono bisogna sparargli, come ai cavalli nel Far West.
E ci sono quelle da lavoro, fatte per durare per sempre. Forti, indistruttibili, come i muli degli Alpini.
Purtroppo non sono quelle che si costruiscono oggi.
Sono quelle degli anni trenta. Ormai introvabili.
Gli “amatori” che le posseggono se le tengono ben strette. Anche se si tratta di “sottomarche”.
Ma questo, poi, è un gioiello. Una vera bici “da signori”.
Mi affianco osservandone con cupidigia tutti i particolari.
Sella Brook in cuoio, manopole d’osso, dinamo coi fari Radius, acciaio laminato a freddo, cromature scintillanti, freni inguainati, pneumatici scolpiti in para e caucciù… Al confronto la mia Vicini, peraltro anch’essa “d’epoca”, si sente un pò umiliata.
Perché, ragazzi, quella che procede, frusciando dolcemente, davanti a me è nientedimeno che una Umberto Dei “Imperiale”. Di quelle che sul carter portano inciso quel nome, coi caratteri che si usavano nel ventennio.
Vernice originale. Stato di conservazione eccezionale. Si sente la mano paziente di un grande meccanico, esperto nel restauro di questi inarrivabili modelli…
Alla mia battuta, il fortunato possessore, un tipo simpatico, sulla sessantina, sorride. Ci presentiamo. E scopro che si tratta di un penalista di Milano, diretto anche lui in Tribunale. Ha caricato la bici in treno, in quanto, dopo il processo, intende esplorare un po’, e con calma, Rimini e dintorni. Gli chiedo come sia riuscito a possedere quella meraviglia. Mi spiega di averla ereditata dal padre, che, a vent’anni, nei Dilettanti, aveva montato anche le Umberto Dei da corsa.
A questo punto, continuando a pedalare, cominciamo a parlare di quel Grande Artigiano, e, poi, in generale, di tutti i Grandi Meccanici di quegli anni, che le Atala, le Ganna, le Legnano, se le assemblavano, come lui, coi pezzi da loro stessi prodotti: dalle pedivelle al manubrio, dal mozzo ai cerchioni. Già. Perché tutto quello che oggi viene importato in serie, magari dalla Cina o da Taiwan, allora, veniva “fatto in casa”. Perfino il perno centrale del “movimento” era prodotto in proprio, marcato, anch’esso, col nome del Costruttore…
Erano biciclette costruite con amore e competenza, in acciaio robusto ed elastico, saldato a mano. Bici che non facevano mai la ruggine, con i telai lavorati centimetro per centimetro, eseguendo prima la ramatura e poi la cromatura…
A proposito, c’è nessuno tra voi lettori che scambierebbe una Umberto Dei Imperiale d’epoca, anche se mal ridotta, con una, a scelta, delle mie tre bicicletta da corsa, in perfette condizioni e da tempo ormai appese (con i necessari accorgimenti tecnici) alle pareti del mio garage?
Per onestà l’avverto che, almeno dal mio punto di vista, non farebbe un buon affare.
Giuliano Bonizzato