Home___aperturaIntervista a Roberto Biagini (Mare Libero): “I bagnini non hanno diritto a risarcimenti ed è inutile cambiare le leggi ora”

"Lo prevede il contratto sottoscritto tra Stato e concessionaro, lo ha chiarito la Corte di Giustizia Europea"


Intervista a Roberto Biagini (Mare Libero): “I bagnini non hanno diritto a risarcimenti ed è inutile cambiare le leggi ora”


13 Luglio 2024 / Redazione

Avvocato Biagini, e così la Corte di Giustizia con la sentenza dell’altro ieri ha chiuso definitivamente anche il capitolo dell’art. 49 del codice della navigazione dichiarandolo compatibile con l’ordinamento comunitario. In buona sostanza alla scadenza della concessione demaniale marittima, “se non è diversamente disposto dall’ atto di concessione e salva la facoltà dell’autorità concedente di imporre l’abbattimento del manufatto a spese del concessionario”, la struttura non amovibile presente sul suolo demaniale, sulla sabbia, viene automaticamente incamerata dallo Stato, senza la corresponsione di alcun indennizzo al concessionario uscente. È così?

Tutte le concessioni demaniali presenti, a parte qualche rara eccezione (su Rimini, ad esempio, Darsena e Talassoterapico che sono stipulate “per atto pubblico formale”) sono rilasciate “per licenza” e dovrebbero “importare solo impianti di facile rimozione” che alla scadenza del titolo il concessionario-proprietario uscente se li porta a casa rispristinando la spiaggia al suo stato naturale. Il contratto concessorio e le condizioni ivi previste firmate, conosciute ed accettato dal concessionario al momento del primo rilascio o in quello del subingresso, prevedono esplicitamente, per evitare “furbate e soprusi sui beni demaniali”, che se al momento della cessazione delle concessione “l’ente gestore”, invece di trovarsi la spiaggia “rispristinata” al suo stato naturale così come d’obbligo, verifica la presenza di opere di “non facile rimozione” (Risto-Bar, cabine direzionali, stabilimenti in muratura,  e altre strutture chiamiamole “fisse”), esse, ormai già divenute automaticamente di proprietà statale senza necessità di atti amministrativi o sentenze che lo dichiarino, potranno subire due destinazioni: o lo Stato se li tiene gratuitamente, quindi senza indennizzare nessuno in quanto all’ indennizzo i concessionari hanno esplicitamente e volontariamente rinunciato, oppure ne ordina al concessionario uscente la demolizione a sue spese. Questi, ripeto, sono obblighi contrattuali conosciuti ed accettati alla firma della concessione da parte del concessionario, attivi ed efficaci a prescindere da quello che prevede il codice della navigazione. I concessionari, dotati di memoria selettiva, hanno sempre fatto finta di dimenticarsi di quello che avevano coscientemente firmato raccontando al pubblico “frottole di ogni sorta”.

Questo lei l’ha sempre sostenuto. Ma allora, come mai tutto questo interesse intorno all’ art. 49 del codice della navigazione che addirittura è oggetto di una proposta legislativa abrogativa depositata in Parlamento da FDI?  

Sinceramente me lo sono sempre chiesto anche io. Il “contratto è legge tra le parti” e anche se recepisce il contenuto di norme, i diritti ed i doveri previste da queste ultime, una volta integrati nel contenuto del contratto, diventano obbligatori, non già per imposizione “esterna” della fonte che li prevede, ma per il volere delle parti che autonomamente li hanno accettati alla stregua di qualsiasi altra clausola. La questione poteva chiudersi qui come per qualsiasi altra tipologia di concessione diversamente balneare, ma ai concessionari, alle loro associazioni di categoria e alla politica compromessa con loro faceva gioco sollevare il polverone degli indennizzi.  Mettiamo però il caso (astrattamente possibile ma altamente improbabile) che le parti contrattuali (ente gestore e concessionario), pur avendone la facoltà, non abbiano previsto nulla per il momento della scadenza della concessione; l’art. 49 c.n. è tassativo sul punto: il bene, il manufatto di “non facile rimozione”, rimane acquisito gratuitamente allo Stato che lo inserirà con atto meramente ricognitivo nelle “pertinenze del demanio marittimo”, sempre che non ne imponga la demolizione al concessionario uscente. È il principio dal quale il TAR Toscana (giudice di primo grado del contezioso che ha dato poi impulso alla pronuncia della Corte di Giustizia) ha attinto la motivazione per rigettare il ricorso della società S.I.I.B.. L’ art. 49 c.n., concessionario, ti concedeva la possibilità di concordare con l’ente concedente un eventuale indennizzo per il bene che tu consapevolmente conoscevi come futuro oggetto di incameramento a fine concessione, non te ne sei avvalso, non ne hai parlato con la controparte, quindi non imputare colpe ad altri richiedendo quello che non ti spetta. Hai provato invece a richiederlo (l’indennizzo) e l’ente concedente in fase di contrattazione non ne ha voluto sapere? Bene, una volta preso atto del rifiuto legittimo della pubblica amministrazione, dal momento che diventare bagnino e/o chioschista non te l’ha certamente ordinato il medico, potevi allora lasciar perdere e dedicarti ad altro investendo i tuoi soldi diversamente. È lo stesso ragionamento improntato dai giudici della Corte Lussemburghese. E poi, in fin dei conti, i concessionari non è che possono sostenere di aver “firmato la concessione a loro insaputa”, dico bene?

Certo, su questo ha ragione e i concessionari non possono certamente sostenere il contrario. Ma è anche vero che la gran parte delle attuali concessioni sono datate nel tempo, ante Bolkestein, e la tesi spesso avanzata dai concessionari stessi è che lo Stato, con il diritto di insistenza e con i rinnovi automatici previgenti garantiva loro un affidamento duraturo anche se non specificato espressamente nella concessione.   

Vero, ma questo assunto, seppur a certe condizioni fondato per altre questioni (vedi proroghe), non c’entra nulla, giuridicamente parlando, con l’art. 49 del c.n., con l’incameramento senza indennizzo di beni di non facile rimozione a favore dello Stato alla cessazione dell’efficacia della concessione. Duraturo non vuol mica dire eterno, perpetuo, generazionale. E poi la concessione, oltre che per scadenza, può sempre cessare per altri motivi: decadenza, revoca, ecc. e in tutti questi casi l’art. 49 c.n. svolge una funzione essenziale: “sanzionare”, in funzione di salvaguardia dell’ ambiente e di tutela dei beni pubblici, “i furbetti dell’arenile”, quelli che, pur sapendo che le uniche opere da installare sull’ arenile fossero quelle di facile rimozione, hanno costruito invece (con la complicità delle istituzioni, si intende che si sono voltate dall’altra parte),  ristoranti, stabilimenti, strutture in cemento armato alla faccia della “precarietà”. I Tar Regionali, ogni qualvolta venivano investiti dalle difese dei balneari della questione di “legittimità costituzionale” dell’art. 49 c.n. da sollevare davanti alla Corte Costituzionale, l’hanno sempre respinta adducendo i motivi già menzionati. Ricordo che in diritto vale il principio della “irrilevanza dei motivi non dichiari in contratto” e come dicevo sopra, l’ordinamento giuridico concedeva (e concede) con l’art. 49 c.n. la possibilità di concordare tra le parti deroghe alla gratuità della “devoluzione” allo Stato delle opere di non facile rimozione. Non se ne sono avvalsi, quindi cosa pretendono?

Allora perché molti ne vogliono la cancellazione dal codice della navigazione? C’è una proposta, come dicevo, in tal senso dell’onorevole Zucconi di FDI. 

Perché elettoralmente vogliono far passare il messaggio, o meglio l’ennesima frottola, che cancellando l’art. 49 c.n. qualcuno possa “ristorare” i balneari della perdita (?) subita. Libero il Parlamento di legiferare per il futuro come creda (rappresento, in ogni caso, che il Governo Meloni in Corte di Giustizia a Lussemburgo insieme alla Commissione ha difeso l’art. 49 c.n..), Ma se qualcuno voglia far credere che la cancellazione della norma possa poi “risarcire” gli attuali concessionari della devoluzione allo Stato del bene “eventualmente incamerato” è completamente fuori strada. Innanzitutto l’abrogazione di una norma produce effetti per l’avvenire, per le situazioni future e quindi, benché abrogata, può e deve essere applicata ai fatti verificatisi quando era in vigore. Poi, altra dimenticanza da “memoria selettiva balneare”: l’effetto devolutivo, l’incameramento ai beni dello Stato dei “beni inamovibili”, con buona pace di Zucconi & C., si è già compiuto in quanto esso è un effetto automatico, come sostenevo sopra, della scadenza della concessione senza bisogno di atti o sentenze che lo certifichino, e le concessioni sono scadute il 31.12.2023. Non solo: molte di esse poi provenivano da “rinnovi” o dai cosiddetti “subingressi” (le cessioni) da un concessionario ad un altro e queste due fattispecie, per giurisprudenza costante, comportano la soluzione di continuità tra una concessione e l’altra e quindi una nuova concessione con l’incameramento ormai consumato. È stata poi la Corte di Giustizia dell’altro ieri a risolvere una volta per tutte la questione, su sollecitazione specifica del Consiglio di Stato, ritenendo che: “…. la questione se si tratti di un rinnovo o della prima attribuzione di una concessione non può avere alcuna incidenza sulla valutazione dell’articolo 49, primo comma, del codice della navigazione. A questo proposito, è sufficiente constatare che il rinnovo di una concessione di occupazione del demanio pubblico si traduce nella successione di due titoli di occupazione di tale demanio e non nella perpetuazione o nella proroga del primo. Tale interpretazione è peraltro idonea a garantire che l’attribuzione di una concessione possa avvenire soltanto all’esito di una procedura concorrenziale che ponga tutti i candidati e gli offerenti su un piede di parità”.

Chiaro. A questo punto cosa succederà?

Da parte nostra, vista la sentenza della Corte di Giustizia, invieremo immediatamente diffide agli enti locali gestori (che hanno il compito di segnalare la presenza di opere di non facile rimozione) e alle Capitanerie di Porto (che hanno il compito di convocare le “Commissioni di incameramento”) affinché attivino immediatamente le procedure per non lasciarsi, diciamo così, “cogliere impreparati/e” da future sopravvenienze normative. Nessuno potrà più trovare scuse banali e/o esimersi dal compiere il proprio dovere istituzionale. Le diffide verranno inviate per conoscenza anche alle Procure ordinarie e contabili. Parliamo di demanio marittimo, di beni, dello Stato, di tutti noi e su questo non si deve transigere.

Anche su Rimini?

Certo anche se nella nostra città paradossalmente tutto potrà essere più semplice per le autorità che dovranno intervenire. Ricordo infatti che è appena stato adottato un piano spiaggia che, oltre ad aver “fotografato” la situazione di fatto di tutti i manufatti presenti (quindi si sono già avvantaggiati nella ricognizione), impone la demolizione di quanto ad oggi presente sull’arenile affinché possano realizzarsi le nuove progettualità. Dal momento, però, che come abbiamo visto dall’ esperienza “delle osservazioni” le vie dei “balneari” sono infinite, chiederemo la ricognizione dell’avvenuto incameramento, intanto, di quelle due o tre situazioni già attenzionate alla Capitaneria di Porto e all’ Agenzia del Demanio dal nostro Coordinamento.

La politica, accodandosi alle associazioni di categoria, ha immediatamente lanciato “ciambelle di salvataggio” (per rimanere in tema) ai balneari dopo aver letto la sentenza dell’altro ieri lanciando l’allarme congiunto del “così nessuno più investirà, ne va della sopravvivenza di 30.000 aziende ecc…”. Cosa ne pensa?

Siamo sicuri che l’abbiano letta?  Ad esempio dalle dichiarazioni di Gnassi e De Luca (fronte Pd) si evince non solo la mancata lettura della sentenza ma anche una scarsa conoscenza della materia, nonostante i ruoli ricoperti in passato. Torniamo al piano dell’arenile di Rimini e ai prossimi bandi concessori. Dal momento che a bando andranno zone di spiaggia (“la sabbia”), svuotate da tutto in quanto i concessionari scaduti hanno l’obbligo di liberare l’arenile da quello che c’è attualmente sopra (cabine, giochi, chioschi, ecc..), può spiegare Gnassi cosa intenda quando parla di “mancata considerazione degli investimenti fatti dalle imprese, se i potenziali concorrenti che si fronteggeranno a Rimini, dovranno presentare, partendo tutti da zero, nuovi progetti conformi al nuovo piano dell’arenile? Se vincerà un pretendente diverso dal precedente che per forza di cose installerà opere, manufatti diversi dai precedenti demoliti ma conformi alle previsioni del nuovo piano, per quale (illegittimo) motivo dovrà “riconoscere”, in aggiunta a quello che spenderà per sé stesso, un quantum al concessionario uscente? E per quale motivo dovrebbe essere, in alternativa, il “pubblico” con i soldi di noi contribuenti a indennizzare il “povero” concessionario scaduto e perdente? Non credo che la Corte dei Conti, ma soprattutto i cittadini, approvino il ragionamento di Gnassi. Poi cosa vuol dire che alla “luce di quanto sentenziato nessuno più investirà e ne va della sopravvivenza di 30.000 aziende”? Non è mica cambiato nulla, l’articolo 49 c.n. è sempre quello di prima, non è stato modificato e non si capisce il motivo, lo spauracchio dei futuri mancati investimenti rispetto alla situazione passata. Forse non investiranno più i vecchi concessionari, quelli che hanno pagato prevalentemente “in nero” le concessioni? Meglio, entreranno nel mercato, sostituendoli, “nuovi concessionari” con progetti diversi, puliti ed innovativi tramite gare trasparenti e il “comparto, l’eccellenza, non sparirà”: a 30.000 aziende subentreranno altre 30.000 aziende, se la vogliono mettere su questo tema; qual’ è il problema?