HomeCronacaJeans strappati a scuola: fanno notizia solo se proibiti a Rimini


Jeans strappati a scuola: fanno notizia solo se proibiti a Rimini


17 Settembre 2017 / Lia Celi

Ed ecco di nuovo Rimini rimbalzare sulla stampa nazionale, ma possiamo tirare un sospiro di sollievo: stavolta non è per un fatto di cronaca nera, ma per l’unica materia in cui la nostra città dovrebbe fare notizia, il costume nella sua accezione non solo balneare. Ringraziamo quindi Sabina Fortunati, preside dell’istituto tecnico Belluzzi, per avere alleggerito il pesante curriculum giornalistico dell’estate riminese 2017 con la sua circolare anti-sciamannati a scuola.

Non è certo la prima dirigente scolastica a prescrivere un minimo dress-code agli studenti, né in Italia né a Rimini, ma a quanto pare la stampa nazionale trova singolare che proprio qui, nella città delle vacanze, non si possa entrare in classe in tenuta da bagnino, calzoncini e infradito.

Nel resto del Paese, evidentemente, si pensa che qui anche le scuole siano sulla battigia, come gli stabilimenti balneari (e in qualche caso, tipo il Marco Polo o le Spallanzani, è quasi vero) e che bermuda e ciabatte siano la divisa ufficiale del giovane riminese, ovunque e tutto l’anno, tanto da far sembrare insolito che una preside imponga ai ragazzi almeno i pantaloni sotto il ginocchio e calzature propriamente dette.

«Li volete far crescere troppo presto?» ha chiesto alla professoressa Fortunati l’inviata del Corriere della Sera, evidentemente preoccupata del trauma che incombe sulla gioventù malatestiana, costretta a vestirsi, manco fosse una tribù della Papuasia obbligata dai missionari ad abbandonare i tradizionali gonnellini di liane per indossare la triste uniforme della civiltà occidentale.

Come possano rubare l’adolescenza un paio di calzoni lunghi e delle scarpe chiuse è un mistero, e immaginiamo che la preside del Belluzzi sia rimasta leggermente perplessa. «Prepariamo i ragazzi al futuro,» ha risposto, «perché imparino già ora che in azienda non si va vestiti come in gita o al pub».

Discorso sensatissimo, per carità. Però forse nemmeno a scuola bisognerebbe andare vestiti come in gita o al pub: se lo studio è il lavoro dello studente, la scuola è il suo posto di lavoro, e anche l’abbigliamento dovrebbe sottolinearne la specificità, per non dire la nobiltà. Gli anziani raccontano che una volta a Rimini non si poteva entrare al liceo senza cravatta, e chi non l’aveva tentava di confondere le idee al bidello annodandosi al collo la cintura dei pantaloni e pregando che non scendessero, con un effetto baggy decisamente troppo avanti per gli anni Cinquanta.

Senza arrivare a tanto, forse gli studenti di oggi accetterebbero volentieri un filo di formalità, se li facesse sentire speciali, importanti. L’ideale sarebbe che le nostre scuole adottassero divise e colori distintivi, come le case di Hogwarts nella saga di Harry Potter. Un modo per dire a ogni alunno: a qualunque studio ti applichi, che sia greco o ragioneria, disegno o fisica, stai compiendo un’operazione magica che aumenterà i tuoi poteri nella vita. E soprattutto ti aiuterà a difenderti dai tanti Dissennatori che non vedono l’ora di succhiarti via dal cuore e dalla mente quel che ti serve per essere felice.

Lia Celi www.liaceli.it