E la cattiva ragazza ruba nei negozi anche durante i saldi
13 Gennaio 2019 / Lia Celi
Non ho mai rubato niente in un negozio, nemmeno da ragazzina quando i soldi in tasca erano pochi. Non so se c’entrava più l’etica o la paura, anzi, la certezza che la mia goffaggine mi avrebbe tradita e sarei stata beccata (anche a scuola, del resto, ero pessima sia come copiona che come passatrice di bigliettini).
Ricordo il mio stupore quando un’amica, all’uscita dal grande magazzino in cui avevamo fatto un giro, tirò fuori di tasca un rossetto. «L’ho rubato» mi disse tranquillamente, come se ci fosse abituata, la piccola bravata del sabato pomeriggio per una ragazza che non aveva certamente problemi di soldi – forse di mancanza d’affetto o di attenzione. (Le mie ex compagne del liceo Giulio Cesare sono estranee ai fatti: l’episodio è successo quando ancora non abitavo a Rimini.)
E così quando leggo notizie su donne più o meno giovani pizzicate alle Befane con merce rubata addosso – è successo pochi giorni fa a due ragazze – mi faccio delle domande.
Era la prima volta o sono habituées del taccheggio? Hanno avuto un raptus oppure avevano pianificato il blitz? E vale la pena farlo in tempo di saldi, quando la roba costa poco? Conveniva di più osare quando era a prezzo intero, almeno il gioco valeva la candela.
E poi: come cavolo hanno fatto a far saltare il dispositivo anti-taccheggio, che a volte mette in difficoltà perfino le commesse? Tant’è vero che mi è capitato di uscire da un negozio col mio bravo sacchetto di cose regolarmente pagate e di far suonare a distesa l’allarme, attirando gli sguardi sdegnati ma luccicanti degli altri clienti, che già pregustavano una scena emozionante: insospettabile madre di famiglia colta con le mani nel sacco.
Per qualche lunghissimo istante mi assaliva il dubbio di essermi infilata in borsa qualcosa senza rendermene conto, in uno stato di trance consumistica, oppure di stare per finire su Scherzi a parte o simili, per poi scoprire, dopo aver tirato fuori tutta la mia spesa sotto gli occhi indagatori della sicurezza, che su qualche articolo era rimasto quel maledetto dischetto di plastica.
Tempo fa ho dovuto buttare un portafogli perché nonostante i ripetuti passaggi sotto l’apposito dispositivo alla cassa l’antitaccheggio non si disattivava, e ogni volta che uscivo da un negozio le sirene urlavano tipo fuga da Alcatraz. E se è imbarazzante far squillare l’allarme quando si è sicuri di poter provare la propria innocenza, mi domando cosa si deve provare quando si viene smascherati.
E se è proprio il brivido di esporsi a una simile umiliazione a rendere irresistibile il furtarello di qualche intimo o di un ombretto di cui si ha bisogno, insieme al gusto di ingannare una commessa, un’altra donna, spesso giovane e senza molti soldi in tasca, proprio come la ladra – il suo doppio, in un certo senso.
Sì, perché forse c’è anche questo, dietro la cleptomania femminile nei negozi: la vendetta della «cattiva ragazza» che c’è dentro di noi, contro la «brava ragazza» seria, responsabile, rispettabile. Mrs. Hyde contro la commessa Jeckyll, prossimamente in tutte le telecamere di video sorveglianza.
Lia Celi