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Il libro Franco Pozzi, Giulio Zavatta e Cristina Ravara Montebelli: "Rimini nei disegni dei Liverani (1844-1867)"


La città che non c’è più ritratta da un’arte che non c’è più


19 Agosto 2024 / Paolo Zaghini

Franco Pozzi, Giulio Zavatta e Cristina Ravara Montebelli: “Rimini nei disegni dei Liverani (1844-1867)”
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I Liverani di Faenza, artisti strettamente imparentati fra loro. Romolo (1809-1872), il più noto, e suo figlio Tancredi (1837-1888), e poi Antonio (1795-1878) il fratello maggiore del primo e dunque zio del secondo.
Per anni viaggiarono in gran parte d’Italia a servizio dell’arte teatrale (dipingevano i fondali di scena). Ma Antonio fu anche pittore e ornatista operante nelle residenze delle maggiori famiglie patrizie: a Rimini i soffitti di palazzo Lettimi, gli affreschi di palazzo Spina e di palazzo Battaglini. “Il Rinascimento è, senza dubbio, il periodo più ricercato in città e omaggiato dalla sensibile attenzione di Antonio, secondo due linee fondamentali: il Quattrocento del Tempio Malatestiano, esposto nei suoi bassorilievi decorativi più reiterati, e il Cinquecento maturo dei decori a grottesca”.

Fra un incarico e l’altro nei teatri, coglievano l’occasione di documentare nei loro taccuini di lavoro scorci di paese e città, vedute, monumenti e paesaggi con una precisione quasi fotografica, quando ancora la fotografia era ai suoi inizi.
Fra il 1844 e il 1867 furono diverse volte a Rimini e produssero quasi cinquanta tavole che ci fanno conoscere una Rimini ottocentesca in gran parte inedita.

Queste tavole sono divise oggi tra la Biblioteca Nazionale di Roma, la Biblioteca Comunale Saffi di Forlì e la Pinacoteca Comunale di Faenza. Vorrei ricordare che con il materiale conservato presso il fondo Piancastelli alla Saffi di Forlì fu allestita la mostra e il catalogo, curati da Pier Giorgio Pasini, “Medioevo romantico. Paesi e castelli tra Romagna e Marche nei disegni di Romolo Liverani conservati nelle raccolte Piancastelli” al Museo della Città dal 30 aprile al 27 giugno 1999.

Disegni quasi metafisici di edifici, con fasci di luci e ombre, piante e cieli spesso nuvolosi privi di ogni figura umana. “Città precisa nella sua riproduzione ma mancante di umani o animali passeggianti in strada, stazionanti all’angolo di una piazza o lavoranti sulle banchine del porto. Mostrata attraverso i suoi monumenti più noti e da vedute talmente inusuali da risultare strabilianti”.

Lo splendido volume contiene la riproduzione delle immagini di Rimini di Romolo e Tancredi Liverani commentate da Cristina Ravara Montebelli, mentre Giulio Zavatta racconta di Antonio Liverani e del suo lavoro di decorazione degli ambienti nella Rimini dell’Ottocento.

Franco Pozzi invece ricostruisce le biografie di Romolo e Tancredi. Romolo fu “un petit touriste per necessità, osservò tantissimo e restituì sulla carta una serie sterminata di immagini, colte in un girovagare dal raggio d’azione relativamente circoscritto, soprattutto tra la Romagna e le Marche. Viaggiò per rincorrere le opportunità che il suo lavoro gli presentava quotidianamente (…). Piccoli pellegrinaggi in nome dell’arte. O meglio, dell’arte teatrale, per soddisfare le esigenze di una miriade di vivacissimi teatri e teatrini in città e paesi della provincia italiana”. “L’Italia del XVIII secolo poteva vantare in ambito teatrale scenografi con inventiva senza eguali. Romolo Liverani, che a trent’anni vantava una formazione di prim’ordine, contribuì a rinnovare la scenografia ottocentesca”.

Nonostante la grande fama conquistata faticosamente, Romolo condusse una vita all’insegna della costante difficoltà economica. Integrava le sue entrate con la vendita di piccole tele a tempera grassa e alternando continuamente l’attività per il teatro a quella di decoratore col fratello Antonio.

“Appare chiaro che dietro al disegnatore e al vedutista si scorge sempre e molto chiaramente lo scenografo che ricerca soluzioni di effetto realistico e di grandi possibilità illusionistiche. Quelle vedute assumono ora ai nostri occhi anche il valore di documenti per la storia del territorio, dell’archeologia rurale, all’architettura ed edilizia dei borghi e delle superstiti realtà castellari (…) diventano perciò strumenti per leggere in parallelo il ritratto della regione e con essa le tracce della storia e dei confini perduti dei centri urbani”.

Nel saggio di apertura Alessandro Giovanardi, “Il pensoso vagabondare”, scrive: “I Liverani furono sostenitori della modernità: anticlericali, risorgimentali, animati dalla religione storica di Mazzini, desideravano il dissolversi dell’ordine vecchio; eppure il loro immaginario è tutto soggiogato dalle tracce monumentali del tempo, dalla Roma imperiale, dai templi cristiani, dalle fortificazioni civiche, dagli eremi. Il loro radicalismo non intende distruggere i modelli augusti, al contrario, se ne innamora, li celebra”.

“Nei fogli, nei taccuini si rintraccia una privatissima guida illustrata della Rimini scomparsa o contraffatta, in cui l’ampia, coltissima nostalgia per l’antico dei due autori si mesce a quella di noi contemporanei per una città nascosta o divorata”.

Ecco allora comparire nei disegni di Romolo e Tancredi l’Arco d’Augusto, il Castello Malatestiano, la forma antica del porto, il convento dei domenicani con l’antico Lavatoio, l’Anfiteatro romano, la chiesa di San Nicolò, il Duomo, la chiesa della Madonna della Scala, il faro sul porto, l’ex convento di Scolca.

Un’ultima annotazione di Giovanardi: “E’ suggestivo notare come l’attenzione di Antonio si rivolga alla Rimini degli interni, quando quella di Romolo e Tancredi si concentra sugli esterni: il Tempio di Sigismondo è un esempio di questo doppio sguardo”.

Paolo Zaghini