La cultura di destra da Dante Alighieri alla prostata di Sgarbi
4 Luglio 2023 / Nando Piccari
Settimana politica intensa, quella appena conclusa. A dominare la scena internazionale gli eventi terroristici dilagati in Francia, fatti passare per atti di solidarietà verso gli immigrati, i loro figli oggi Francesi e gli emarginati in generale.
Non c’è dunque da stupirsi che Salvini commenti la vicenda esibendosi in una delle sue mistificanti gradassate: «Una spirale di violenza che è il risultato di anni di errori e follie ideologiche in tema di immigrazione, soprattutto islamica», di cui la sinistra è ovviamente responsabile.
É vero esattamente il contrario. Si tratta invece di una violenza favorita, e in molti casi diretta, dalla criminalità organizzata e dalle bande fasciste della sua amica Le Pen, supportata pure da quell’osceno pagliaccio di Jean-Luc Mélenchon, non a caso esaltato dalla repellente pseudo-Unità di Sansonetti.
Invece a Bruxelles è andato in onda un evento di tutt’altro genere: la riunione del Consiglio dell’Unione Europea, alla ricerca dell’accordo finale sul Patto Ue relativo a Immigrazione e Asilo. Una riunione particolarmente impegnativa e comprensibilmente non priva di tensioni, che grazie alla Meloni ha tuttavia avuto un finale comico.
L’ungherese Orban e il polacco Morawiecki, due dei fascistoidi del Gruppo di Visegrad (altrimenti detto Gruppo dei Visdecaz), avevano preannunciato la volontà far mancare, com’è poi avvenuto, l’unanimità indispensabile all’approvazione dell’accordo. Anche se a Bruxelles deve volare basso, Giorgia Meloni è notoriamente la capa dei sovranisti, per cui a chi, se non a lei, chiedere di tentare una mediazione?
Com’era in fondo prevedibile, dall’incontro con i due alleati euroscettici se n’è tornata con le pive nel sacco. Ma a lasciare allibiti gli altri capi di governo è stato il commento a quel suo fallimento, indicativo del grado di convinzione con cui ha cercato l’accordo: «Non sono delusa mai da chi difende i propri interessi nazionali». Un po’ come dire che tutto sommato avevano ragione loro.
In Italia due sono invece gli eventi politici che hanno riscosso il massimo interesse. Uno è stato l’inaugurazione dell’Estate del MAXXI, il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, progettato dall’architetta Zaha Hadid e diretto dall’amico della Meloni Alessandro Giuli; l’altra, il raduno del movimento giovanile di Fratelli d’Italia, targato ovviamente Gioventù Nazionale.
Il primo ha preso avvio da una conversazione fra Vittorio Sgarbi e il suo leccapiedi, l’altrettanto insopportabile Morgan, i quali hanno così dato vita ad un evento di grande spessore culturale, emblematico di quella “cultura di destra” che, secondo il cinguettante ministrucolo Sangiuliano, avrebbe come suo fondatore nientemeno che Dante Alighieri.
Il dibattito è iniziato col saluto di Morgan a Sgarbi: «Vittorio, amico mio, del vaffanculo il dio». A seguire la domanda di maggior rilievo culturale: «Quante donne hai avuto? Hai letto più libri o sei andato a letto con più donne?» Risposta: «Non ho il contatore all’uccello ma posso rispondere che mi attesto sulla media di 3 al mese, quindi circa 1500». Aggiunge poi che «c’è un momento della vita in cui noi conosciamo un solo organo: il cazzo. Poi, dopo i 60 anni, scopri che ci sono anche altri organi, per esempio il colon, il pancreas, la prostata. E tu devi fare i conti con questa troia puttana di merda che non hai mai incontrato in vita tua. Il cazzo se ne va e arriva la prostata».
Ad un certo punto Sgarbi chiama Tony Renis: «C’è una serata con me e Morgan, però quello stronzo di Giuli non ti ha invitato, ti mando il mio autista vieni anche tu. Siamo al MAXXI, in questa robaccia di museo costruito da quella pazza. Qua è pieno di figa, è una meraviglia, c’è Silvio che è risorto».
Ben più composto e serioso il simposio tenuto a Roma dai “fratellini” della Meloni, che nel luglio dello scorso anno si erano invece trastullati alla festa dei neonazisti di Fortezza Europa, dove avevano impiantato uno stand ufficiale e dichiaravano felici: «Oggi siamo presenti alla festa degli amici di Fortezza Europa, in quel di Verona: una grande giornata di cultura, musica e Comunità». Al loro radono romano erano ben in mostra libri che rendevano omaggio a dei fascistoni storici: quelli su Giorgio Almirante e Beppe Niccolai; “Stormi in volo sull’oceano”, scritto dal dirigente fascista Italo Balbo; la biografia del presidente del Partito Nazionale Fascista, Augusto Turati.
Campeggiavano poi due altisonanti slogan: «Fedeltà con amore. Valore con onore» e per i più colti «Sit romana potens, Itala virtute propago = D’italica forza possente sia la stirpe di Roma». (“E m’hai detto cotica!”, pare sia stato il commento della Meloni nel leggerlo).
Data la bellicosità dei presupposti, la manifestazione non poteva che essere inaugurata da Ignazio Benito La Russa, accolto da una grande ovazione. Lui ha esortato i fratellini a non lasciarsi impressionare dall’apparente mutazione di pelle in cui si sta esercitando il post-neofascismo, perché la sostanza è sempre quella: «La fiamma nel cuore, questo è l’importante». Li ha poi esortati a prendersi la gioia di vedere come «alla sinistra rode da morire perché uno con la nostra storia diventa presidente del Senato».
Ma checché ne pensino tutti, «il merito di Berlusconi non è stato quello di sdoganarci, ma di permettere che gli italiani ci sdoganassero. Questo centrodestra non è il lascito del Cavaliere, perché lui voleva un centrodestra a trazione Berlusconi e invece questo è a trazione Giorgia Meloni. In questa evoluzione c’è una naturale paura di snaturarsi, però Giorgia Meloni non è cambiata, è quella di sempre».
Ma pure qui, fra tanta seriosità sovranista, non è mancata una nota ridanciana, fornita dalla ministra meloniana che, prima di diventare Suor Eugenia Roccella, nella sua precedente vita era la radicale e femminista che qui vediamo nella foto.
All’inizio ha usato pure lei espressioni ostili all’immigrazione («non si può pensare di appaltare a paesi terzi la vitalità che si guadagna attraverso il fare figli»), con l’evidente retropensiero che i figli nati in Italia da chi è immigrato non potranno mai essere considerati italiani. Dopodiché s’è scagliata contro «questo tentativo di appaiare i nomi che si danno ai bambini a quelli dei cani e dei gatti. É il sintomo di un desiderio, di un bisogno affettivo di affettività, di famiglia, che però viene trasferito sugli animali».
Evidentemente Suor Eugenia è a conoscenza di una diffusa abitudine a dialoghi di coppia in cui lei propone: “Che ve diresti, caro, se facessimo un figlio e lo chiamassimo Giorgio?” E lui risponde: “Scusa, ma allora prendiamo un cagnolino e diamogli quel nome. Così non dobbiamo aspettare nove mesi”.
Pure io ho un gatto con un nome umano: Primo, con diminutivo vezzeggiativo Pri. Anche se a lui manca la parola e a me la capacità di miagolare, abbiamo un’intesa felice, corroborata dalle coccole che ci facciamo vicendevolmente le due o tre volte in cui viene ogni notte a svegliarmi. Però a questo punto sono un po’ preoccupato. Vista l’aria che tira, è infatti prevedibile che uno di questi giorni comincino ad arrivare a casa gli ispettori governativi, a controllare che siano rispettate certe prescrizioni ministeriali. I primi saranno sicuramente quelli mandati dal Ministro della Sovranità Alimentare, il Lollobrigida cognato, per smascherare e punire le famiglie in cui ci si cibi scimmiottando il lunch tipico della “perfida Albione”.
Ma chi mi dice che subito dopo non arrivino pure i “guardiani della beata famiglia”. inviati da Suor Eugenia Roccella? Il loro mandato consisterà essenzialmente nel controllare che ogni famiglia sia dotata esclusivamente di un padre e di una madre regolarmente coniugati, oltreché di almeno due figlioli, ovviamente battezzati. Fin qui non avrei niente da temere, ma chi mi dice che poi, presi dalla voglia di strafare, gli ispettori non mi chiedano pure il certificato veterinario del gatto, dal quale si evince senza ombra di dubbio che lui è stato iscritto all’anagrafe felina con un nome proprio di persona?
Nando Piccari