HomePoliticaLa Festa della Liberazione a Santarcangelo: Il discorso di Alice Parma

Alice Parma: “Quasi cento anni fa, precisamente il 10 giugno 1924, il deputato e segretario del Partito Socialista Italiano, Giacomo Matteotti, veniva rapito e ucciso da una squadraccia fascista”


La Festa della Liberazione a Santarcangelo: Il discorso di Alice Parma


25 Aprile 2024 / Redazione

Questa mattina, giovedì 25 aprile, si sono svolte le celebrazioni istituzionali di Santarcangelo per il 79° anniversario della Liberazione nazionale dal nazifascismo, con ampia partecipazione di pubblico, alla presenza delle autorità civili e militari, con l’accompagnamento della banda musicale cittadina “Serino Giorgetti” e del coro di ragazzi e ragazze della scuola media Franchini.

 

Il discorso della sindaca Alice Parma

Oggi siamo qui per celebrare il 79° anniversario della Liberazione nazionale dal nazifascismo. Ma c’è un’altra ricorrenza, ben più cupa e triste, che dobbiamo tenere altrettanto bene a mente. Quasi cento anni fa, precisamente il 10 giugno 1924, il deputato e segretario del Partito Socialista Italiano, Giacomo Matteotti, veniva rapito e ucciso da una squadraccia fascista con a capo Amerigo Dumini. Il delitto Matteotti è giustamente ricordato come l’atto criminoso più grave commesso dal fascismo prima della guerra, un omicidio efferato contro un uomo coraggioso che si batteva in Parlamento, forse circondato da troppa solitudine, contro la marea montante della dittatura. Un delitto che, come si dice, servì a “colpirne uno per educarne cento”, dimostrando la forza brutale del regime nascente e frantumando le ultime resistenze parlamentari alla dittatura, con le opposizioni che di lì a poco avrebbero scelto la strada dell’Aventino.

 

Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”, disse Matteotti al termine del suo ultimo intervento alla Camera, il 30 maggio 1924, consapevole del suo destino che si sarebbe compiuto pochi giorni dopo. Ma come si era arrivati a questo punto? Al punto che un parlamentare temesse per la propria vita solo per aver pronunciato un discorso alla Camera? La storia parte da lontano e non possiamo certo ripercorrerla tutta. Però vorrei ricordarvi che è passata anche da Santarcangelo, precisamente il 29 luglio 1922, quando Italo Balbo e le sue squadracce distrussero tutte le “case rosse”, sedi di organizzazioni socialiste e comuniste, da Ravenna a Rimini, lasciando dietro di sé “alte colonne di fuoco e fumo”, come testimonia il futuro gerarca nel suo diario personale. Circa un anno dopo, nel luglio 1923, Mussolini dirà in Parlamento “il popolo italiano non mi chiede libertà”. È in questo scenario che i svolgono le elezioni del 6 aprile 1924, con brogli e violenze che Matteotti denunciò coraggiosamente nel suo discorso.

 

Violenza politica, brogli elettorali, insomma la dittatura preparava il terreno. E si sarebbe definitivamente rivelata nel gennaio 1925, quando Mussolini si assume in Parlamento la responsabilità morale della morte di Matteotti. In un Paese democratico come quello in cui viviamo oggi, quando manca poco più di un mese al voto, fa bene ricordare questi eventi, ricordare che c’è stato un tempo nel quale, in Italia, non si poteva votare liberamente. Ma ricordare queste vicende, per noi che all’epoca non c’eravamo, oggi ha anche un significato ulteriore, un aspetto di necessità che non possiamo eludere: il fatto che i testimoni di quegli anni non sono più tra noi. Ormai, anzi, non ci sono più nemmeno i testimoni di quanto accadde vent’anni dopo, a 80 esatti di distanza da oggi: le terribili stragi perpetrate dai nazifascisti durante la guerra.

Lo scorso gennaio è morto Ferruccio Laffi, ultimo testimone dell’eccidio di Marzabotto, mentre all’inizio di questo mese se n’è andato Leone Cresti, primo a prestare soccorso dopo la strage di Fragheto. Anche quest’anno ho partecipato alla commemorazione di Fragheto, perché è nostro dovere, nostra responsabilità in quanto cittadini e amministratori pubblici creare le condizioni perché la memoria si consolidi e si trasmetta. Proprio per questo, il Comune di Santarcangelo insieme all’ANPI e alla fondazione FoCuS, sta lavorando a un progetto da presentare al bando regionale per la Memoria del Novecento di prossima apertura. Un progetto che affonda le sue radici in quella preziosa testimonianza che è “La notte delle bandierine rosse”, il libro di Serino Baldazzi e Gianni Fucci che racconta la vita a Santarcangelo dal 1919 al 1943, tra fascismo e antifascismo.

 

Definito dagli autori stessi una raccolta di “appunti per una storia”, il libro merita di essere idealmente completato con una ricerca storica approfondita e compiuta, che ci permetta di avviare una serie di nuove progettualità. Una simile ricerca, infatti, è la base necessaria per dare corso alla richiesta del Consiglio comunale, che nell’aprile dello scorso anno ha approvato una mozione per l’installazione di pietre d’inciampo in memoria delle vittime santarcangiolesi del nazifascismo. Altro aspetto centrale del progetto che candideremo al bando regionale è la creazione di uno spettacolo teatrale sempre a partire da “La notte delle bandierine rosse”, perché crediamo nella grande forza divulgatrice del teatro, che peraltro a Santarcangelo ha una storia che non occorre certo presentare. Creare nuove occasioni per conoscere la storia e il passato è il fulcro del lavoro del Comitato cittadino antifascista, che oggi più che mai riveste un ruolo al quale non possiamo in alcun modo rinunciare.

 

Perché dico questo? Perché mi sembra più che evidente, quanto meno, un calo generalizzato dell’attenzione per quelli che Umberto Eco avrebbe definito segnali inequivocabili di un ritorno, nemmeno troppo strisciante, di quello che chiamava Ur-Fascismo, il fascismo eterno. L’esempio più lampante è probabilmente il caso di Ilaria Salis, detenuta per ragioni politiche e vittima di un processo politico in un Paese dell’Unione Europea, come l’Ungheria, che da anni strizza l’occhio alle peggiori destre del continente, ospitando ogni anno il raduno neonazista per il “Giorno dell’onore”. Ma restando a casa nostra, non possiamo dimenticare le manganellate ricevute da studenti e studentesse che lo scorso febbraio manifestavano pacificamente a Pisa per chiedere la fine della guerra a Gaza. L’aspetto problematico di questa vicenda – come del resto in quella di Ilaria Salis – non è tanto o solo quello della violenza fisica, che pure rimane un elemento raccapricciante, specialmente quando si abbatte su vittime inermi come gli studenti.

 

Il punto qui è che siamo di fronte alla volontà manifesta di imporre a forza un pensiero unico, esattamente quello che queste persone hanno rimproverato fino all’altro ieri ai sinceri democratici che si preoccupavano di far notare che forse, e sottolineo forse, il dibattito pubblico sarebbe molto più igienico senza i rigurgiti di una mentalità politica come quella fascista. Un pensiero unico che nel caso di Ilaria Salis considera inammissibile ogni forma di resistenza politica al dilagare dell’estrema destra in atto nella realtà ungherese, mentre nel caso di Pisa rimuove sistematicamente ogni punto di vista non conforme sulla guerra in corso a Gaza, che invece richiede ogni nostro sforzo per essere raccontato e vissuto in modo equilibrato. Ci è voluto l’intervento del presidente Mattarella, il 27 Gennaio scorso per la Giornata della Memoria, a ricordarci due cose fondamentali sul conflitto in atto: l’angoscia “per gli ostaggi nelle mani crudeli di Hamas” non deve in nessun modo far dimenticare quella “per le numerose vittime tra la popolazione civile palestinese nella striscia di Gaza”. E che, soprattutto, dobbiamo considerare l’aggressione terroristica del 7 ottobre 2023 una “pagina di vergogna per l’umanità”, ma anche ribadire come “coloro che hanno sofferto il turpe tentativo di cancellare il proprio popolo dalla terra sanno che non si può negare a un altro popolo il diritto a uno Stato”.

 

In mezzo agli scontri tra opposte fazioni, invece, persino la guerra a Gaza, che nelle sue prime fasi aveva suscitato l’indignazione e la commozione del mondo intero, ora sembra relegata in quella bolla di indifferenza che il film “Zona di interesse” ci ha raccontato molto bene, come una situazione in cui semplicemente le cose succedono e tu ti giri dall’altra parte. E invece noi non ci possiamo girare dall’altra parte, non possiamo fare finta che le cose non succedano. Per questo ho deciso di concludere il mio intervento leggendovi il monologo dello scrittore Antonio Scurati, censurato dal servizio pubblico radiotelevisivo nazionale, perché la libertà, in ambito politico come in quello culturale, non può e non deve essere messa in discussione.

 

Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su sé stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania”.

 

In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via”.

 

Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana, fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023. Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana”.

Grazie a tutte e a tutti. Viva la Resistenza. Viva la Liberazione.