The Guardian, Elio e le Storie tese, Stephen King, Milena Gabanelli, Alessandro Gassman… e la sottoscritta, insieme a tanti altri utenti: la grande fuga da X, l’ex Twitter acquistato e ormai occupato militarmente da Elon Musk, non ha coinvolto solo super vip progressisti, prontamente sfottuti dalla destra con il famoso monologo di Nanni Moretti: “mi si nota si più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo, ecc. ecc.” (guarda un po’, ci dànno dei radical-chic poi scippano le battute autoironiche di una delle massime icone radical-chic).
A scappare dal social dove un tempo si cinguettava e oggi per lo più si vomitano slogan e ingiurie sono anche persone non particolarmente note, che da tanti anni (dodici, nel mio caso) avevano trovato nel social dell’uccellino un equivalente virtuale del bar, un bar con angoli fracassoni che era meglio evitare, ma anche con separé più tranquilli in cui conoscere persone interessanti e scambiarci due parole. Un bar in cui le notizie dal mondo arrivavano subito, senza censure, quasi in tempo reale e con largo anticipo sugli altri media: io mi ero iscritta per seguire i tweet sulle proteste della primavera araba, inviati da paesi in cui la stampa era imbavagliata o quasi. Un bar in cui potevi incrociare persone molto importanti – politici, attori, artisti – e interagire con loro con un’immediatezza impossibile nel mondo reale. Si chiamava, appunto, “disintermediazione”, e all’epoca sembrava una gran bella cosa, anche se alla fine il «social dei giornalisti» (così era chiamato Twitter) è diventato quello che gli ha tolto il lavoro, mandando in soffitta alcune figure un tempo indispensabili, i portavoce e gli addetti stampa, sostituiti dai social media manager.
Ma da quando il bar ha cambiato gestione e insegna l’atmosfera è decisamente cambiata. Il nuovo proprietario, il turbo-mega-miliardario sudafricano-americano impasticcato che sembra confermare le teorie di Cesare Lombroso sui legami fra genio e follia, ha esposto subito un listino-prezzi che ha creato utenti di serie A e di serie B, ha infilato pubblicità ovunque e quasi subito ha iniziato a girare per il locale con un grosso megafono per diffondere proclami sovranisti, omofobi e transfobici e sostenere politici di destra, da Meloni a Trump. I tavoli si sono riempiti di gente di tutto il mondo che la pensa come lui e sbraita uguale.
Cosa hanno fatto i vecchi clienti? In un primo tempo si sono sforzati di ignorarlo e hanno continuato a fare comunella solo con gli amici fidati nel solito separé, poi hanno diradato le visite. E quando il padrone, diventato il dottor Stranamore della presidenza Trump 2, l’ha sparata più grossa del solito – l’attacco ai giudici che, in base alle leggi europee, rovinano la costosissima operazione di propaganda del governo Meloni sui migranti spediti in Albania – gli avventori storici come me hanno capito che bisognava proprio cambiare bar. Non tutti: alcuni sono rimasti, vuoi per convenienza, vuoi per non lasciare X in mano a chi semina odio, divisione e paura. Buona fortuna a loro. E anche a noi transfughi, perché nel web di bar virtuali meno malfamati di X ce ne sono. Ma i padroni democratici, idealisti e disinteressati, dove li troviamo?
Lia Celi