La maestra dell’Asilo Baldini che non volle lasciare Rimini devastata dalla guerra
20 Gennaio 2025 / Paolo Zaghini
Oriana Maroni: “Amelia e le altre” Bookstones.
Chi era Amelia Carosi (1897-1945), a cui il racconto di Oriana Maroni si rifà? Era una maestra dell’Asilo Baldini, dove lavorò per oltre trent’anni. Viene ricordata come instancabile animatrice del ‘Circolo filodrammatico’ e brillante attrice. La donna rifiutò di abbandonare la città devastata dalle incursioni aeree e divenne responsabile dei locali, delle attrezzature e dell’archivio dell’asilo. Ogni giorno annotava scrupolosamente su carta usata per avvolgere la carne, in tutto 12 fogli, gli eventi tragici di cui fu testimone.
Conservato da una sorella di Amelia dopo la sua tragica morte per tifo nel gennaio 1945, questo manoscritto venne consegnato al funzionario Giulio Cesare Mengozzi perché fosse conservato nella Biblioteca Gambalunga. Qui lo trovò l’avvocato Oreste Cavallari (1916-1980), consigliere comunale per il PRI dal 1951 al 1956 e poi nuovamente dal 1957 al 1965, storico e lui stesso grande invalido, e pubblicato nel 1968 dalla tipografia Garattoni per iniziativa della sezione riminese dell’Associazione nazionale Mutilati e invalidi di guerra e curato dallo stesso Cavallari.
Piero Meldini invece inserì Amelia Carosi nel suo volume “La Riminese. Venti ritratti di donne da Francesca alla Saraghina”, un’antologia storico-letteraria pubblicata nel 1986 presso l’editore Maggioli e ripubblicata nel 2019, in edizione riveduta e accresciuta, da Interno4 edizioni.
Ma le sue memorie sono ormai state riprese da tutte le pubblicazioni sulle vicende della guerra a Rimini.
Oriana Maroni, classe 1956, per una vita bibliotecaria, direttrice della Biblioteca Gambalunga (prima donna a rivestire questo incarico nella storia plurisecolare della Biblioteca riminese), oggi Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza, è autrice di numerose pubblicazioni storiche, ma con “Amelia e le altre” esordisce nella narrativa.
Con penna felice, in questo elegante volume della Bookstones, la Maroni immagina un dialogo a due, fra la bibliotecaria e Amelia. Siamo tra il 1943 e il 1944. “Mi chiamano la bibliotecaria. Intendo dire loro, le voci delle carte e dei libri. Le sentivo con la mente giungere come sussurri che si dilatavano nel silenzio delle sale, un tempo ricche di arazzi, specchi e velluti (…). Tutto è poi cambiato. La città è sprofondata in una nuvola rossa, e siamo rimasti noi, dentro la biblioteca, prigionieri del tempo governato solo dai ricordi (…). Le bombe erano state lanciate a migliaia: per ore, giorni, mesi (…). Mi consolavo dicendomi che in biblioteca c’erano secoli di storie, e se qualcuno le raccontava, l’anima della città avrebbe continuato a pulsare”.
Dall’altra parte Amelia: “Mi chiamano Amelia. Quando hanno bombardato Rimini non avevo avuto cuore di lasciare la mia casa e la città”. “Non voglio far finta di essere stata una letterata, che non lo ero”. Con l’amica Corinna, ormai anziane entrambe, ripercorrono la loro vita. Soprattutto i loro amori infelici. “Noi non sapevamo niente dei nostri corpi, ce ne vergognavamo, ci spiavamo per capire se eravamo fatte uguali”. “Nessuna delle due si era sposata . “Avevamo sognato l’amore che dura per sempre, ma un giorno prima ci siamo dette che forse c’eravamo sbagliate”.
Ma Amelia ha amato. “Mi ero innamorata di lui, e nulla avrebbe potuto impedirlo, perché volevo ardentemente essere felice, ed era stato il mio corpo a sceglierlo”. Tutto era iniziato nel carnevale del 1914. “Esordivamo al Teatro Germinal con una farsa: non stavo nella pelle per l’emozione (…). Recitare mi piaceva; mi emozionava vedere il pubblico commuoversi e turbarsi. Sul palcoscenico diventavo un’altra”. Si sentiva bella. Scendendo dal palcoscenico lui le si presentò innanzi: “Lui era molto più alto di me, la pelle ambrata e gli occhi che gli ridevano più della bocca”. Con lui “mi sentivo in imbarazzo, perché non sapevo come comportarmi”. E poi: “Annusavo il suo odore, che mi arrivava come un richiamo ancestrale per aprirgli il mio corpo”. Ma il dopo è stato doloroso: “Guardavo le sue spalle come se un muro fra noi ogni volta si alzasse, e l’ho osservato cancellarmi ogni ora, ogni giorno un poco. Non ho avuto la forza di mettermi in salvo”. “Non si può dare niente di meglio di ciò che si è, e il suo amore era come lui: superficiale ed egoista. Non era buono, aveva solo imparato le buone maniere”. “Mi ero promessa di essere felice: non ci sono riuscita, ma ci ho provato”.
Sono i ricordi di quasi trent’anni prima. Ed ora è arrivata la guerra: “I bombardamenti lasciano un odore di bruciato, di cui per ore non ci si riesce a liberare. Si può immaginare una città perdere il suo colore, stagliarsi grigia contro il cielo e cadere inerte come una balena piaggiata? Quel giorno Rimini l’ho vista così. Mi ha fatto pietà”.
“Per le strade abbandonate giravano solo i soldati tedeschi. Ci minacciavano, ci insultavano e si prendevano tutto. Gli animali, le biciclette, il mangiare, i vestiti, qualsiasi cosa”. “I mesi fra la fine della primavera e l’estate sono stati i più duri. I soldati tedeschi si erano incattiviti per le continue sconfitte, e le incursioni aeree degli Alleati si erano moltiplicate. Uscivo solo per prendere l’acqua e andare in campagna in cerca di qualcosa da mangiare”.
La Corinna era sparita. Quando riesce a ritrovarla “sono stata io a stringerla. L’ho accarezzata e asciugato le lacrime coi polpastrelli”. Ma ora è diversa: fuma e indossa i calzoni. Corinna però le dice: “Muoviamoci Amelia, continuiamo a parlare per strada. Sono diventata comunista e aiuto i partigiani; faccio la staffetta, ma è l’unica cosa che posso dirti, per non metterti in pericolo”. Però poi aggiunge: “Potrebbero essere le nostre figlie Amelia, hanno solo vent’anni, ma mi hanno insegnato che noi non siamo meno degli uomini (…). Cercare di cambiare il mondo insieme agli altri è una cosa entusiasmante. Anche noi possiamo farlo Amelia, noi che abbiamo sempre e solo ubbidito!”.
“Era il ventun settembre 1944, l’ho scritto sul mio diario, perché Luigi mi ha detto che eravamo liberi. Erano arrivati gli Alleati, dopo che ci avevano guardati dall’alto saltare in aria pezzo per pezzo. Dalla parte di Santarcangelo arrivavano ancora le cannonate dei tedeschi. Per le strade circolavano soltanto i soldati. Io non li distinguevo, parlavano lingue strane e non li capivo”.
Ma il dopo liberazione ebbe un costo alto: “Un po’ alla volta i riminesi sono tornati, con carri e carrettini, e hanno trovato una città aperta a ogni sopruso, a ogni losco affare. Mancava tutto. E c’era sempre il rischio del diffondersi di epidemie. Ci hanno irrorati di DDT. Come si fa con gli insetti”.
Amelia pochi mesi dopo, il 23 gennaio 1945, morirà di tifo.
Attraverso il racconto di tre donne Oriana Maroni è riuscita a descriverci l’orrore dei bombardamenti, della distruzione della città e del trauma profondo che tutto ciò ha lasciato sui suoi abitanti. Ma ha intrecciato questa terribile storia con i sentimenti, le storie d’amore delle due protagoniste e con la volontà di liberazione personale che la Resistenza ha dato alle donne italiane. Un romanzo sì, ma con la Storia, con la S maiuscola, protagonista nelle pagine di Oriana Maroni.
Paolo Zaghini
(Nell’immagine in apertura: gli alunni e le maestre dell’Asilo Baldini nel 1923)