La Romagna sarà capace di far da se?
13 Febbraio 2017 / Paolo Zaghini
Mario Russomanno: “Potere romagnolo. Uomini e politica. Idee, obiettivi e contraddizioni di chi guida il cambiamento” – Minerva.
Mario Russomanno, nato a Rimini nel 1954 e residente a Meldola, è laureato in giurisprudenza, è giornalista della carta stampata e televisivo, è autore di diversi volumi su vari temi, è docente universitario, è manager, è stato amministratore pubblico della sua Città di residenza e probabilmente non ho trovato tutto sulle sue varie attività. Ma la sua notorietà maggiore gli deriva dal condurre ormai da oltre 15 anni, a tarda serata, la trasmissione “Salotto Blu” su VideoRegione, che trasmette da Forlì ma che arriva in tutta la Romagna.
Dal suo salotto è passata, e continua a passare, tutta la classe politica (di ogni colore) della Romagna: quella delle pubbliche amministrazioni locali, i parlamentari, i consiglieri regionali, i dirigenti delle aziende pubbliche, della sanità ma anche il gotha dell’imprenditoria privata, della cooperazione, del movimento sindacale, nonché intellettuali, docenti universitari, dirigenti scolastici. E a tutti lui pone domande ed esige risposte.
Nei comunicati stampa dei numerosi incontri che sta facendo nelle città romagnole per promuovere il libro viene detto: “Russomanno intraprende un viaggio suggestivo, denso di retroscena e spunti di attualità, all’interno di ospedali e campus universitari, associazioni d’impresa e banche. Ma soprattutto entra dentro le stanze di quel Partito Democratico, che all’autore appare ‘articolato e onnivoro, quasi condannato a governare in solitudine cambiamenti epocali’. Nel viaggio il testo incontra tutti quelli che ‘contano’ davvero, in politica e in economia, da Imola a Riccione, raccontati da un autore abituato ad incontrarli a Salotto blu. Con linguaggio immediato, ‘Potere romagnolo’ rende di facile comprensione problemi complessi e liturgie politiche. Russomanno conosce, del resto, i fondamentali della materia“.
Non male come autopromozione, ma è vero che l’Autore, abituato al linguaggio veloce, sintetico del mezzo televisivo è riuscito a produrre un testo comprensibile sui problemi della sempre più complicata e catacombica politica locale, dove (soprattutto oggi) spesso è difficile comprendere chi e dove si prendano le decisioni che riguardano tutti noi. Soprattutto dentro questa crisi economica che sembra non avere mai una fine.
“E’indispensabile che, a cominciare dalle città e dalle amministrazioni pubbliche, si trovi unità d’intenti, si definiscano progetti comuni per le infrastrutture, le iniziative sociali, culturali e turistiche. Per garantire opportunità ai giovani e non disperdere la propria identità. La politica dice che ci sta lavorando, ho provato a capire se è vero. E se Bologna e la Regione remano a favore o contro. Raccontando come andarono davvero le cose in passato, soprattutto cercando di individuare cosa serve adesso”.
Due sono i leit-motiv del testo: il primo è che “le carte le ha in mano tutte il PD. Il punto è come se le gioca. E un partito ‘grosso’, attraversato da tensioni positive e negative, da contraddizioni, speranze, incertezze, passioni, pragmatismi, sospetti, intelligenze, scontri”. E occorre sapere che il libro è stato chiuso poche settimane prima dello svolgimento del referendum costituzionale del 4 dicembre. Il secondo: il potere è bolognese, soprattutto dopo il 1970 con l’avvento della programmazione regionale. E la Romagna è divisa, “non pensa a se stessa come un unicum, né come un’entità in grado di realizzare iniziative comuni”.
Anche se poi è costretto a dire che “in quegli anni sono concepite le due grandi realizzazioni che costituiscono esempio di collaborazioni virtuose: l’acquedotto di Ridracoli, oggi Romagna Acque, e il decentramento dell’Ateneo bolognese. Iniziative di respiro. Tutt’ora di importanza strategica per la Romagna. Non ci piove”.
Ma, oggi, i timori, soprattutto sull’Università decentrata, stanno aumentando: Lanfranco Gualtieri, ravennate, uomo della Fondazione Cassa dei Risparmi e della società ravennate per l’Università (Flaminia) a Salotto Blu ha recentemente dichiarato: “è inaccettabile che Bologna pretenda di prendere in mano le redini del decentramento universitario. In questi anni, noi romagnoli abbiamo realizzato cose davvero buone in tutte le città, le aule sono frequentatissime, le docenze di alto livello. Enti pubblici e privati hanno fatto ingenti investimenti per costruire economie che stanno fiorendo attorno alle sedi didattiche. I nostri campus sono strutture di prim’ordine”. Commenta Russomanno: “In sostanza, Bologna, che aveva aperto il rubinetto, si sente nelle condizioni di poterlo richiudere”.
I temi principali trattati nelle pagine del volume sono la possibile Regione Romagna (problema quasi superato se l’area vasta della Romagna decolla), l’Auslona (ovvero la gestione della sanità pubblica in Romagna unificata già nata), la crisi delle banche locali (soprattutto a Forlì e a Rimini, molto meno a Ravenna), la conflittualità sindacale, CGIL compresa, con il PD, con gli Enti locali governati da questo partito, con le aziende cooperative (“E’ inevitabilmente sui tavoli del PD che, oggi, si scaricano le tensioni (…). Le ricette per affrontare le sfide della modernità non sono sempre le stesse in casa Dem. Anzi”). E poi c’è la “paura” per l’arrivo dell’area metropolitana di Bologna che rischia di incorporare (o meglio accaparrarsi) progettualità, risorse, uomini della Regione Emilia-Romagna: “la parola magica che utilizza oggi la politica per definire il ruolo futuro di Bologna è hub regionale”. Cioè essere collegamento per tutte le realtà regionali. Ma Bologna ha questa capacità? I dubbi, da parte dei romagnoli, oggi sono tanti.
Rinnovamento è la parola magica. “Perché si realizzi occorre che l’iniziativa sia fatta propria da chi guida i territori. Quindi dal Partito Democratico. Che, del resto, non è composto da persone che vivono sulla Luna. Negli ultimi anni, infatti questo tema è entrato prepotentemente nella loro agenda”. E Russomanno indica questa linea nella individuazione dei nuovi Sindaci PD delle maggiori tre città romagnole nelle ultime tornate elettorali: Balzani e poi Drei a Forlì, De Pascale a Ravenna, Gnassi a Rimini.
“Certo i sindaci romagnoli non hanno compito facile nel superare antichi steccati. A cominciare da Rimini, città irrequieta, egocentrica e refrattaria alle regole”. Ma è qui che “nella città che non dorme mai, il Sindaco, Gnassi, è un leader che ha metabolizzato l’idea di una Romagna solidale”. Il Sindaco ravennate De Pascale a Salotto Blu ha recentemente dichiarato: “Gnassi è un visionario nel senso migliore, sa immaginare il futuro. E Rimini deve rappresentare un biglietto da visita di attrattività internazionale per l’intera Romagna così come Ravenna ne rappresenta al meglio la cultura. Bando a complessi e rivendicazioni. Dobbiamo lavorare assieme, cominciando con il mettere a punto un piano infrastrutturale della Romagna”. Affermazioni sino a qualche anno fa inimmaginabili.
La conclusione di Russomanno è la seguente: “La partita della creazione del sistema Romagna è avviato, non ci piove. Quel che non sappiamo è a chi spetti battere il calcio d’inizio. E neppure chi debba fare il regista, chi il mediano, chi il rifinitore. Inquieta un po’ rendersi conto che neppure i leader del PD, che la partita la vogliono giocare e vincere, hanno chiarissimo in testa la successione temporale e logica, degli eventi. Sanno che bisogna fare e perché. Non è poco, di qualsiasi intrapresa umana si parli. Ma non basta. Serve darsi urgentemente un’agenda e una organizzazione. Come direbbe un capo scout, o chi guida le Feste dell’Unità, occorre guardarsi negli occhi e stabilire chi fa cosa e quando. Succederà. Perché il PD non può tirarsi indietro, su questa partita gioca la propria credibilità. Di fronte a ulteriori ritardi e contraddizioni, potrebbe deflagrare”.
Chi vivrà vedrà.
Paolo Zaghini