HomeCulturaLa stampa a ruggine, nata nella notte dei tempi e ancora viva: ecco dove


La stampa a ruggine, nata nella notte dei tempi e ancora viva: ecco dove


18 Ottobre 2020 / Paolo Zaghini

Gino Valeriani – Gilberto Arcangeli – Valter Ciabochi: “Tele color ruggine dalla filatura alla tessitura” – Digitalprint.

Quando penso alle tele color ruggine, inevitabilmente il mio pensiero va alle meravigliose creazioni della Antica Stamperia Artigiana Marchi di Santarcangelo di Romagna, dove l’antico mangano è in funzione dalla metà del ‘600, grazie al quale la tela viene pressata, lisciata e stirata e poi “stampata”.

I libri che Gino Valeriani, da solo o con altri collaboratori, continua a produrre ci raccontano di tanti aspetti del mondo contadino e artigianale della Vallata del Conca. E con questo volume ancora una volta ci porta a scoprire come anche questa attività fosse praticata in quel territorio. Di come la canapa e il lino fossero coltivati nella nostra regione E “se il lavoro dei campi spettava principalmente agli uomini i lavori di filatura e tessitura erano prettamente femminili. Con questi la donna concorreva all’economia familiare e al suo sostentamento”.

“Con la rocca e il fuso le donne filavano la canapa per formare il filo, impiegato successivamente per la tessitura. Produzione di tali attività erano lenzuola, coperte e tutto il corredo per giovani spose”. “Mentre in tutte le famiglie rurali della Romagna si coltivava la canapa, solo in alcune si compiva la sua lavorazione al telaio (tessitura); fattore importante e quasi essenziale per la tessitura era la industriosità femminile, senza la quale difficilmente poteva aver luogo”.

Oreste Delucca, in un piccolo saggio all’interno del libro, va “Alla ricerca delle origini”, ovvero di quando si è iniziato a “stampare” le tele. Ma precisa subito: “Le tradizioni non hanno una data di nascita precisa”. “Così è anche per le tele stampate a ruggine, la cui ‘invenzione’ non ha né un padre, né un luogo, né un momento accertato e accertabile”.

Le coperte per buoi rappresentano le più antiche testimonianze della stampa a ruggine. E Delucca, da buon esploratore degli archivi, annota: “Sappiamo che la presenza di coperte da buoi è documentata negli inventari delle case contadine fin dal Quattrocento”. Questo perché una norma dello Statuto Comunale di Rimini, redatto nel 1334 e vigente in tutto il territorio, imponeva alle mogli rimaste vedove di fare compilare l’inventario dei beni mobili di casa entro 5 giorni dalla morte del marito.

Poi Delucca prosegue: “Le tele, realizzate prevalentemente dalle donne di casa, erano in genere piuttosto grezze, sia quelle di lana, che di lino, o addirittura di canapa (…). Per ovviare in qualche misura all’inconveniente, si cercava talvolta di spianare e stirare fortemente i tessuti, ricorrendo ad una macchina apposita: il màngano”. “La maggiore compattezza ed omogeneità acquisita dai tessuti mediante il màngano, esalta poi il risultato della tintura”. La manganatura ha il potere di produrre anche una analoga valorizzazione della stampa a ruggine, che guadagna in consistenza, uniformità e perfezione.

Nel primo ‘500 la tintura a ruggine è saldamente attestata, quantunque le forme siano differenti da quelle che prevalgono oggi. Spesso è il filo di refe a subire la tintura a ruggine, per essere poi strumento di una decorazione molto vicina al ricamo. Qualche volta è la bandella o la frangia a subire una totale ovvero parziale immersione nella ruggine. In questi anni siamo di fronte alle prime fasi evolutive di questa tecnica tipica della Romagna.

Lello Milantoni, in un vecchio articolo del 1983 (“Decorare ad arte tele stampate a ruggine”) scrive: “La tela stampata aveva come destinazione non case abbienti, bensì modeste, e i motivi impressi sulla canapa che servirà da tovaglia o da tenda, o da copriletto, rappresentano un surrogato povero di tessuti ricchi, magari ricamati oppure stampati con metodi ben più preziosi”.

Valeriani è andato alla riscoperta dei fabbricanti di tessuti dei comuni di Montescudo e Monte Colombo: Giuseppe Magnanelli (1879-1972), Silvino Selva (1874-1939). Nel 1920 i due danno vita ad una società per la fabbricazione di tessuti. Lavorano nella fabbrica 15 operai, in prevalenza donne. Nel 1935 la fabbrica chiude per dissapori fra i due soci. Nel 1938 Dino Selva riapre a Montescudo una piccola fabbrica di tele nei sotterranei della casa di famiglia che cessa l’attività con la sua morte.

Ma c’è anche la tintoria di “Maden” (Amato Casadei, 1873-1951) che opera negli anni ’30.
Oggi l’antica arte degli stampatori non si è estinta a Montescudo-Monte Colombo grazie al lavoro di Lea Ticchi e del marito Valter Ciabochi che a Croce continuano a produrre stoffe stampate. Valeriani riporta una lettera che Tonino Guerra scrisse a Ciabochi: “Caro Valter purtroppo i giorni passano veloci uno dopo l’altro e li cancelliamo, cancelliamo paesaggi, usanze, tutto scompare. Invece abbiamo bisogno di avere il passato alle spalle, il futuro è fatto di passato. Secondo me gli artigiani che realizzano i nostri disegni sugli stampi sono quelli che tengono il passato vicino alle spalle. Ho grande ammirazione per loro e vorrei che fossero aiutati, lodati, stimati, perché sono artisti e non fanno parte di una categoria B. Sono uomini che conoscono segreti, lavorano con entusiasmo e li vogliono tramandare. L’artigiano ha sempre un filo di seta per quelli che verranno dopo di lui, ecco perché ammiro queste stamperie senza dubbio magiche”.

Paolo Zaghini