La storia di Faustina, quando le bombe inesplose uccidevano i bambini di Rimini
4 Dicembre 2022 / Paolo Zaghini
Maurizio Maria Taormina: “Faustina. Quando la guerra era in casa nostra” – Libri dell’Arco.
Taormina ha scritto un bellissimo e delicato racconto su una vicenda tragica accaduta nell’entroterra riminese subito dopo la guerra: l’esplosione di una bomba assassina rimasta in un campo che uccide una bambina, Faustina, di dieci anni.
Ricorda nella sua introduzione la storica Patrizia Dogliani: “Pur terminato il conflitto in gran parte della Romagna nell’autunno-inverno 1944, le operazioni dei rastrellatori iniziarono in Emilia-Romagna solo a guerra terminata, nel maggio 1945, troppo tardi per sottrarre bambini come Faustina ai primi incidenti”.
Leggiamo ancor oggi sui giornali che vengono ritrovate ovunque in Romagna ordigni bellici della Seconda Guerra Mondiale e che gli artificieri dell’Esercito devono intervenire per far brillare queste bombe.
Sempre la Dogliani sugli sminatori: “Dal novembre 1944 all’ottobre 1948 hanno lavorato in Italia circa 4.500 uomini, che hanno avuto 663 caduti, 168 mutilati e quasi 700 feriti disinnescando circa 10 milioni di ordigni”. La bonifica del Riminese, dalle spiagge alle colline dell’entroterra dove gli scontri sulla Linea Gotica fra eserciti contrapposti furono violenti, durarono anni. Ne parla a lungo Silvano Lisi nel suo libro “Il partigiano ‘Bardan’” edito dall’Istituto Storico della Resistenza di Rimini nel 2004. Lisi fu uno degli sminatori riminesi e fu anche il promotore della realizzazione del monumento agli sminatori nel Parco Briolini a San Giuliano Mare. Furono 8 su 23 gli sminatori del gruppo riminese che pagarono con la vita l’adempimento di quel gravoso compito di bonifica dei tanti campi lasciati minati dopo il passaggio del fronte, ma che portò alla rimozione nel solo territorio riminese di oltre 100.000 ordigni.
Faustina aveva dieci anni e ha vissuto, da quel lontano 13 ottobre 1944, solo nei ricordi dei familiari superstiti. Il racconto di Taormina ci restituisce gli ultimi giorni di Faustina appena tornata dallo sfollamento nelle gallerie di San Marino con tanta voglia di normalità e, soprattutto, di ‘vivere’ lontana da una guerra ancora vicina e presente.
Siamo a Monte Tauro, frazione di Coriano. Pia e Pietro, assieme ai loro figli Ines, Faustina e Quinto, attraversano il Marano insieme a tanti altri sfollati nella vicina Repubblica per tornare verso le loro case, che non sanno se ci saranno ancora. Attraversano il Marano domenica 1 ottobre 1944 sul carro tirato da una coppia di buoi, Rò e Bunì. “La casa c’era, almeno così sembrava, ma tutto intorno ci stava un esercito di tende, cannoni, carri, cavalli e tanti uomini che sembravano agitarsi più del normale”. Pia e Pietro “si guardarono e muti si dissero chi erano, chi aveva preso posto nella loro casa? Forse e padroun aveva dato via casa, terra e tutto quanto senza dire nulla mentre loro erano via a ripararsi dalle bombe? Ma si poteva fare tutto ciò?”.
Molto bello il colloquio con il sergente inglese, che non parlava italiano, e Pia e Pietro che non capivano nulla delle cose che gli venivano dette in inglese. Ma ad un certo punto, grazie a Faustina, più sveglia e pronta dei genitori, riuscirono ad intendersi. A quel punto il sergente domandò a Pietro: “You Pi-e-tro aren’t fascist, are you?”. Di rimando Pietro “Me fassista? Lasa ‘ndè. L’è sempri mej un deda in tu n’occ. Per me Mussolini l’è cume’ un chelz in te quajun”.
La famiglia si integra in quei giorni nel caos provocato dai militari inglesi. “Faustina era tornata regina del suo regno, padrona del suo tempo. Il pomeriggio a pascolare le bestie e poi a fare i compiti accucciata con Quinto e Bobi sul focolare tiepido. E prima del Rosario le verdure da pulire, spazzolare i germogli delle patate, rammendare le poche vesti già pezzate di pezzi d’abito e fili di chissà quando, poi il Rosario ai Vespri”. “Faustina era contenta, aveva ritrovato la sua casa, il suo cane, Monte Tauro. Tutto quello che era il suo regno”.
E poi il 13 ottobre il ritorno degli altri due fratelli di Faustina, Vincenzo e Gualtiero, militari. La casa è in festa. Si organizza un pranzo. La mamma vuole che Faustina faccia un salto “da Savino e dirgli che ci serve una pezza ad tela per cusì una camisa” per i figli tornati che “hanno perso tutto con questa guerra, camise, calzun”.
“Faustina corre, sgambetta verso l’uscio. Sa lei cosa fare. E’ la regina di Monte Tauro, conosce ogni sasso e filo d’erba del suo regno”.
Pia preparava felice il pasto per la famiglia riunita, la guerra li aveva risparmiati, “forse si poteva tornare al tempo di un tempo”.
Ma poi “fu come un lampo, forte, tanto da illuminare la stanza come dieci lumi accesi, da schiarire perfino il sole fuori. Poi arrivò il botto, e con il botto un solo grido”. “Nessuno parlava, ma tutti avevano capito”.
Caricata Faustina sulla jeep del sergente, si corse all’Ospedale di Morciano di Romagna. Ma per la bambina non c’era più nulla da fare. Il verbale di morte, ritrovato da Taormina, dice: “Ha trovato una bomba incendiaria nel campo e l’ha fatta esplodere, era piena di liquido incendiario. Decesso il 14.10.1944”.
Faustina voleva andare a vedere il mare, ma “Faustina non andò mai al mare. La sua vita di bambina finì il giorno dopo quella tragica esplosione. Aveva raccolto una micidiale bomba al fosforo, che aveva investito l’intero corpo. L’aveva raccolta, perché poteva apparire un gioco, forse una’penna’ o una ‘farfalla’”. Così come purtroppo continua ad avvenire in Afghanistan, in Africa, in Medio Oriente, in tante altre guerre che continuano a imperversare nel mondo. Bambini che muoiono uccisi da giochi di guerra pensati e costruiti dall’umana follia.
Dal libro è stato tratto uno spettacolo teatrale allestito da Damiana Bertozzi e Pierpaolo Paolizzi, già più volte presentato al pubblico in questi mesi. Esso è stato adottato dall’Associazione Nazionale Vittime di Guerra come percorso di educazione alla pace rivolto ai giovani.
Paolo Zaghini