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E la Torre dell’Orologio non c’è più


20 Settembre 2016 / Oreste Delucca

“La Concordia”, unico periodico locale presente a Rimini in quel tempo, dedicò ovviamente il giusto spazio alla cronaca del terremoto avvenuto nella notte fra il 17 e il 18 marzo 1875:

“D’un tratto la città fu tutta in piedi; lo spettacolo che offriva in quella notte era veramente qualcosa d’imponente. In mezzo al brulichio di tanta gente (la maggioranza era costituita dalle donne e dai fanciulli) non avresti sentito che ripetere queste frasi: Oh che paura! Si ripeterà la scossa? Per cura dell’autorità politica vennero fatti riaccendere tutti i fanali a gas sì della città che dei borghi, furono dati ordini precisi perché ognuno che abbisognasse di qualche soccorso potesse rivolgersi con sicurezza tanto ai carabinieri che alle guardie di Pubblica Sicurezza, non che ai soldati di linea qui stanziati. Vittime non si hanno per buona fortuna a deplorare; però alcune persone rimasero contuse pel dirroccamento di pareti o soffitti. Nel nostro ospedale in quella notte vi furono medicate sette persone per contusioni riportate in genere al capo, causa la caduta di calcinaccio dai muri rotti o abbattuti”.

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Testata del periodico “La Concordia” del 28 marzo 1875

Al salvataggio dei due figli di Francesco Casalini (già accennato in precedenza), il giornale aggiunge anche quello relativo alla figlia ed alle nipoti della levatrice Bianchi che furono prontamente dissepolte dalle macerie grazie all’intervento delle guardie Calogero Chiodo e Alessandro Soardi.

Appena fattosi dì, l’Ispettore di Polizia Urbana fece ispezionare le contrade per fare rimuovere le tegole, i cornicioni e i camini che minacciavano rovina. Alle ore 8 e trenta si riunì la Giunta insieme alle Commissioni di Polizia Urbana ed Edilizia, con molti ingegneri; si formarono subito numerose squadre incaricate di visitare tutte le case per verificarne l’abitabilità e quantificare i danni arrecati.

I quali danni vennero approssimativamente calcolati in lire 42.000 nel rione Pataro, 38.000 nel rione Cittadella, 31.000 nel rione Clodio e 20.000 nel rione Montecavallo. Un totale quindi di lire 131.000, da portarsi a lire 156.000 per fare fronte ad ulteriori interventi minori nella città. Altre lire 20.000 da conteggiare per la campagna, che non fu toccata in maniera significativa, eccezion fatta per Bellaria, la località più colpita, ove si calcolarono danni per 2.800 lire. Relativamente ai fabbricati comunali, le spese per le riparazioni, a lavoro eseguito, superarono le 5.500 lire.

Nel centro urbano i danneggiamenti più cospicui si verificarono nella residenza comunale, nella Caserma S. Marino (ossia Castelfidardo, oggi piazza Gramsci) e nei palazzi Gioia, Gambalunga, Cima e Martinelli. Le chiese colpite furono: il Tempio malatestiano e le parrocchiali S. Maria in Corte, S. Simone, S. Giuliano, Teatini, Colonnella. A subire i maggiori danni fu la torre dell’orologio di piazza Giulio Cesare, come si dirà fra breve.

Le case divenute assolutamente inabitabili furono 7 ed i 67 abitanti interessati vennero ospitati in tre caserme cittadine. Altre 22 case subirono danni tali che il Comune intimò ai proprietari di effettuare le dovute riparazioni a tutela della sicurezza e salute pubblica; ma moltissime altre subirono guasti.

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La spesa sostenuta dal Comune per i danni del terremoto ai fabbricati comunali

Nel fare un bilancio del sisma, il citato periodico “La Concordia” anche in tale circostanza non rinunciò alla sua vena palesemente anticlericale: “Chi dopo tutto col terremoto c’han guadagnato furono i preti, i quali si videro le loro botteghe più frequentate dell’ordinario e un vecchio santo che giaceva polveroso ed inoperoso fu tirato fuori con immensa soddisfazione delle beghine e dei mangiamoccoli. San’Emidio è il santo a cui alludiamo; da tempo non era più avvezzo a tante invocazioni e preci come ora, né aveva visto ardere in suo nome tanta cera. Lui beato!”.

Sul piano scientifico, va detto che il professor Alessandro Serpieri, analizzando gli effetti del terremoto, poté verificare la direzione dei moti: le oscillazioni più ampie e gagliarde andavano dal monte al mare, ossia dall’Appennino all’Adriatico e viceversa, in quanto caddero i muri che erano paralleli al lido e non quelli perpendicolari alla costa; si fermarono i pendoli che avevano la mostra rivolta al monte o al mare e non gli altri; in più palazzi e chiese i tegoli al colmo dei tetti paralleli al lido caddero verso monte o verso mare e così i cornicioni; le teste delle travi uscirono dai muri rivolti verso monte o verso mare mentre poco soffrirono i soffitti con le travature parallele al lido.

Questi effetti, nella misura in cui fossero riscontrati comuni anche agli altri terremoti riminesi, potrebbero essere ancora un elemento da tenere in considerazione – da parte dell’Amministrazione pubblica e da parte degli architetti progettisti – nel programmare l’urbanistica e l’edilizia cittadina?

Per completare il quadro, va rilevato che, nel pieno del sisma, si aggiunse però un moto vorticoso: assai singolare fu lo spostamento avvenuto nella torre dell’orologio di piazza Giulio Cesare (oggi Tre Martiri), dove i quattro pilastri sottostanti la cupola subirono una rotazione, tanto che quella parte venne demolita per garantire la pubblica incolumità e fu ricostruita solo molti anni più tardi.

Oreste Delucca

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 La torre dell’orologio in piazza Giulio Cesare (ora Tre Martiri): nel 1790, nel 1930 e oggi


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