Non credo occorra scomodare Hegel, o il “materialismo dialettico” di Marx, per ribadire una quasi banalità: la politica con la “P” maiuscola non può che alimentarsi di scelte e decisioni che costituiscano il momento culminante di un processo dialettico. Vale a dire “la sintesi”, ossia il punto d’incontro più alto possibile fra divergenti presupposti di partenza. Una sintesi che spesso assume il necessario carattere di “mediazione”: parola “nobile”, che solo l’urlata stupidità dell’anti-politica può ridurre, sempre e comunque, a sinonimo di compromesso deteriore, o “inciucio”.
Messa così, il gruppo dirigente del PD sta fornendo in queste ore un esempio di politica con la “p” che…più minuscola di così non si potrebbe; perché le ragioni del confronto interno lasciano il posto ad una disputa caricaturale, che se riguardasse solo i maschi si potrebbe definire “la gara a chi ce l’ha più lungo”. Naturalmente non ci vuole molto a capire come alla base dei tanti contrasti vi siano in realtà corpose divergenze politiche da tempo sedimentate, in qualche caso “corroborate” da antipatie e rancori latenti.
Per questo vorrei che gli oppositori di Renzi, al posto della stucchevole sceneggiata sulle date di congresso ed elezioni, avessero l’onestà intellettuale di dirgli in faccia: “Caro Segretario, non ti perdoneremo mai il fatto che per sostenere le nostre convinzioni sul referendum del 4 dicembre ci siamo sentiti costretti ad affiancarci perfino a fascisti e grillini, cosa di cui ci vergogneremo per tutta la vita”.
Così come mi sarebbe piaciuto che Renzi se ne fosse uscito col dire in Direzione: “Sapete che c’è? Non me ne frega niente di anticipare congresso ed elezioni. Adesso però ci chiudiamo in una stanza a discutere di tutto, per benino e per il tempo che occorre, visto che abbiamo un arretrato di confronti fra di noi che dura da anni. E sia chiaro che ci alzeremo solo quando avremo capito fino in fondo cosa ci unisce e cosa ci divide, per aprire poi su questo il congresso”.
Sì, perché quelli che stanno scappando dal PD, se non vogliono prendere in giro prima di tutto loro stessi, devono riconoscere che il caos non nasce oggi, ma arriva da lontano: fin dalla nascita del PD stesso, avvenuta in tutta fretta e per decretazione dall’alto, nella convinzione che al necessario “processo politico” di sua costruzione si sarebbe potuto provvedere in seguito, cammin facendo.
Di qui l’iniziale investitura di Veltroni, che più di ogni altro presentava le caratteristiche del “costruttore a posteriori”. Il quale, però, è stato ben presto defenestrato da chi, convinto di far meglio, avrebbe in seguito messo in piedi un sistema di norme, modalità organizzative e prassi gestionali di cui si sarebbe avvalso “l’utilizzatore finale” Renzi, per conquistare e gestire il partito secondo regole che non ha creato lui.
Quanti hanno avuto un ruolo di rilievo nel progettare e via via “tirare su” un PD che presenta gli odierni limiti e difetti, non possono pertanto essere così sleali dall’abbandonarlo nel momento in cui andrebbe profondamente riformato.
Questo vale più di tutti per Bersani, al quale continuerò ciononostante a volere bene. Non riguarda invece D’Alema, che fin dai tempi del PCI non si è mai sporcato le mani per costruire alcunché, ma…ha solo “usufruito”.
Gli va però dato atto di avere per un attimo smentito la sua nomea di portatore sano di alterigia, compiendo un insolito e sorprendente gesto di umiltà: avere scelto di esordire nella sua nuova veste di vendicativo “pontefice massimo” della riuscita scissione anti-PD non già in qualche teatro o salotto della Capitale, ma in un albergo della nostra Misano. Dove lui, anziché agli assist televisivi dell’ormai grillina Bianca Berlinguer o della sintattico-lesa Lucia Annunziata o della petulante Concita De Gregorio, il 10 marzo avrà invece la bonarietà di sottoporsi all’intervista di un giornalista bravo ma pur sempre di provincia, qual è il mio amico Giovanni Cioria.
È probabile che D’Alema abbia scelto Misano perché lusingato dal sapere che fra il suo pubblico troverà Giovanni Benaglia, uno dei più raffinati pensatori della “sinistra riminese al quadrato”, dal quale abbiamo appena apprezzato l’ennesima lezioncina di alta politica impartitaci su “Chiamamicittà”.
Il suo pensiero evidenzia l’evoluzione di chi, dopo essersi per decenni diviso fra salotti cittadini e PCI-PDS-DS (con loro “derivati societari”), ora alterna simpatie grilline a comparsate proletar-chic. Così ha ierlaltro sentenziato: «Il Partito Democratico non è una forza di sinistra. Almeno non nell’accezione che qui ho esposto». La quale si rifà al celebre assunto di Confucio: «Dài un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita».
Se non avessimo capito la metafora, Giovanni ce la traduce poi in benagliese: la falsa sinistra targata PD «ti regala il pesce», mentre nella sinistra-sinistra, che fa fino chiamare “antagonista”, ciascuno lotta per essere «nelle condizioni di avere una canna da pesca».
Sarà, ma mi sa tanto che a qualcuno basterebbe avere una canna, anche se non da pesca.
Nando Piccari