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La violenza che abbiamo sotto gli occhi e non guardiamo


15 Gennaio 2017 / Lia Celi

«Via Bidente, alla periferia di Rimini, non lontano dall’autostrada»: le indicazioni topografiche di giornali e tivù sono sempre molto sommarie.

A chi non abita nella città del delitto non importa più di tanto il quartiere o la via dov’è avvenuto, bastano pennellate generiche: «in centro» (anzi, «pieno centro», che fa più effetto, perché in tutti noi c’è un residuo dell’uomo medievale convinto che nelle mura della città si sia più al sicuro), «in periferia» (termine che evoca sempre case brutte con dentro gente infelice e squattrinata che si odia, anche se tecnicamente anche un sobborgo lussuosissimo tipo Beverly Hills è periferia), «in campagna» (e qui si va nel giallo agropastorale o nel truculento sottogenere «rapine in villa»).

Sono altri i dettagli di cui ha fame il pubblico: sangue, dolore, efferatezze, zozzerie, vuole cronaca nera, mica Google Maps. Ma chi in quelle vie è cresciuto, o vive o lavora, e le ha impresse nella mente quanto le facce dei familiari e degli amici, come nell’«Addio monti» di Manzoni, quelle indicazioni suonano come una lingua estranea, e perfino le immagini televisive sembrano venire da un altro posto, freddo e lontano.

Ma sì, la zona delle vie con i nomi dei fiumi, quello è il condominio dove abita un nostro vecchio compagno di scuola, lì vicino c’è lo studio del nostro dentista, poco lontano un supermercato dove ci fermiamo al volo tornando a casa dal lavoro: tutto un tessuto di esperienze caldo, noto, rassicurante, che all’improvviso viene strappato, lacerato da un odio premeditato e selvaggio.

Mi verrebbe da dire «sfigurato», se non fosse irriguardoso paragonare queste innocue impressioni al dramma che ha vissuto e vive nella sua carne Gessica Notaro, e che è iniziato proprio in via Bidente, quando l’ex fidanzato ha tentato di distruggerle la vita lanciandole in viso una bottiglietta di liquido per sturare i lavandini.

Ce l’abbiamo tutti in casa, l’arma del delitto, in un ripiano dello sgabuzzino, servizievole e sempre pronta a risolvere un piccolo problema domestico. L’etichetta davanti è rassicurante e colorata, solo dietro, in basso, c’è un piccolo teschio che avverte che quel liquido può uccidere o provocare gravi ustioni.

E la violenza di genere è proprio così: ce l’abbiamo sotto gli occhi, i segnali di pericolo ci sono, ma finché non arrivano l’ambulanza e i giornalisti noi ci ostiniamo a vedere soltanto l’etichetta davanti.

Lia Celi