L’amore vince tutto anche in questo San Valentino dimezzato
13 Febbraio 2021 / Lia Celi
Non ho mai ringraziato tanto il cielo di non essere giovane come da quando è scoppiata la pandemia. E me ne rendo conto soprattutto oggi che è san Valentino, una festa ora azzoppata, sterilizzata, distanziata, in cui tutti gli innamorati devono forzatamente rispolverare Dante, non perché è l’anno dantesco, ma perché gli tocca vagheggiarsi da lontano, accontentarsi di un saluto, struggersi per contatti impossibili, come doveva fare il sommo poeta con la sua Beatrice.
Siamo tutti stilnovisti, nell’anno del coronavirus. Okay, stilnovisti con PornHub, risorsa cui Dante, Cavalcanti e Guinizzelli non potevano certo ricorrere, ma comunque inchiodati ad amori impossibili, non perché non corrisposti o proibiti dalle leggi o dalla morale, ma perché impastoiati da dpcm che hanno sostituito la mappa delle zone erogene con quella delle zone gialle e arancioni.
Tutti stilnovisti e tutti adolescenti, con l’orario del coprifuoco alle 22 (che in tempi normali è improponibile già agli over-14, specie qui a Rimini) e soprattutto tutti endogami, cioè costretti a circoscrivere il territorio dove intrecciare una nuova relazione al comune, alla provincia o alla regione, a seconda del colore della propria zona.
E mi domando come avrei fatto se un’emergenza pandemica si fosse presentata quando avevo vent’anni e stavo vivendo una clamorosa love story con un bel ragazzo di Bologna, mio compagno d’università, con tutta l’esuberanza del cuore e dei sensi tipica della gioventù.
Solo a pensarci mi sento un cerchio alla testa. Ero così presa dalla passione che non sarei riuscita a dedicare un solo neurone ad altri argomenti che non fossero a) architettare piani acrobatici per vedere il mio moroso a costo di violare le regole, travestirmi, falsificare documenti e mentire spudoratamente; b) rosicare se il moroso non si dava altrettanto da fare per inventare modi per incontrarci o non si mostrava troppo ansioso di infrangere la legge per amor mio, deducendone ovviamente che non mi amava abbastanza, e quindi, c) tormentarmi immaginando che, non potendo vedere me, lui mi stava allegramente rimpiazzando con un’altra fidanzata residente nella sua zona e più facile da frequentare.
Anche perché all’epoca non esistevano i cellulari e non ci si poteva monitorare reciprocamente h24; a colmare la lontananza c’erano solo telefonate dal fisso di casa, con relative ramanzine di genitori riguardo alle bollette e incazzature con eventuali fratelli che pure loro avevano bisogno del telefono.
Se fossi una ventenne innamorata oggi potrei contare su Skype, WhatsApp eccetera, e forse, se fossi anche emancipata come le millennials, non avrei molte remore a consolarmi con il porno. Ma se assomigliassi alla ventenne che ero, i surrogati ben presto mi renderebbero ancora più nervosa anziché calmarmi. Diventerei intrattabile e mi butterei sui dolci e sulla cioccolata.
Risultato, a fine pandemia il fidanzato mi troverebbe bisbetica e sovrappeso, e lo sarebbe pure lui, a meno che l’eventuale fidanzata bolognese non gli avesse permesso di mantenere forma fisica e buonumore. Insomma, sono felice di essere una tranquilla signora di mezza età che a San Valentino può dedicarsi a consolare i suoi figli adolescenti per questo San Valentino dimezzato. E a ricordare agli innamorati che l’amore vince tutto. Un po’ come il vaccino Pfizer.
Lia Celi