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Il libro a cura di Alessandro Giovanardi "Medioevo nascosto. Ricerche e studi su Santarcangelo di Romagna tra XIV e XV secolo"


Le pitture e la casamatta ritrovata che raccontano Santarcangelo


5 Agosto 2024 / Paolo Zaghini

“Medioevo nascosto. Ricerche e studi su Santarcangelo di Romagna tra XIV e XV secolo”
A cura di Alessandro Giovanardi
Vallecchi

Libro difficile, per addetti ai lavori. Comunque uno strumento certamente utile per conoscere una Santarcangelo di Romagna meno nota, nel passaggio tra Basso Medioevo e primo Rinascimento.

Il libro consta di due saggi: il primo a cura di Alessandro Giovanardi, “La Passione e la Gloria”, entra nei dettagli di due capolavori trecenteschi che precedono e accompagnano l’Umanesimo malatestiano; il secondo a cura di Maria Giovanna Giuccioli, “La Casamatta e la Porta di San Michele”, dedicato alla “Casamatta” di Piazza Balacchi, davanti alla Collegiata, “straordinaria scoperta della Santarcangelo sotterranea, tornata proprio quest’anno alla piena visibilità e fruibilità, grazie a un prezioso lavoro di restauro e di valorizzazione culturale e didattica” (dalla Presentazione del Sindaco Alice Parma e dell’Assessore alla cultura Pamela Fussi).

Il ritrovamento della Casamatta, dove c’era la porta di San Michele Arcangelo, ci aiuta a comprendere lo sviluppo delle cinte murarie santarcangiolesi. Scrive a questo proposito Giovanardi: “La ‘macchina da guerra di difesa dei nostri antenati’, così è definita da Maria Giovanna Giuccioli in questo volume, è figlia di un ampio progetto di costruzione e rinnovamento delle fortificazioni delle città e dei borghi appartenenti al dominio di Sigismondo Pandolfo Malatesta, Signore di Rimini, con cui si prolunga la civiltà cortese, dominata dallo stile gotico, proprio mentre si vedono i primi raggi di un’alba rinascimentale mai del tutto compiuta”.

Scrive la Giuccioli: “L’elemento fondamentale della fortificazione di un borgo o di una grande città era costituito dalle mura di cinta, che racchiudevano il tessuto urbano. Non era pensabile una città senza mura (…). Il ruolo delle mura di cinta ha avuto una importanza fondamentale in ogni tessuto della civiltà occidentale ed evolverà in funzione delle armi e dei sistemi di combattimento fino ai giorni nostri”.

La porta San Michele di Santarcangelo era l’accesso principale alla fortificazione e aveva ovviamente la funzione di dogana per entrare nel fortilizio, e come tale era dotata di tutti i presidi militari. “La porta San Michele fu costruita su un avamposto della cinta muraria al limite del fossato: gli scavi hanno messo in luce la casamatta di base sulla quale era stata edificata la porta”.
Intendesi per casamatta una opera difensiva a protezione delle artiglierie.

Sigismondo sottopose ad una frenetica attività edilizia tutti i suoi castelli fra il 1442 e il 1460 a causa della continua pressione esercitata sui possedimenti malatestiani dal duca Federico da Montefeltro.

Fu il cannone a sconvolgere la fortificazione medievale: serviva più spessore che altezza nelle rocche e nelle mura, si costruirono casematte per posizionare i differenti livelli di artiglieria. E il Marini nella sua storia di Santarcangelo del 1844 riporta la notizia che “nel 1358 a Santarcangelo vi era un ‘maestro fonditore’ di bombarde con micce esplosive. Si tratta della più antica testimonianza italiana dell’uso di bombarde per un assedio”.

Nel suo linguaggio aulico Giovanardi ci dice che “Santarcangelo ritrova, come in un disegno nascosto che riaffiora, la sua suggestiva forma urbis, scandita tra visibile e invisibile, in un dialogo funzionale tra l’altezza originaria della sua duplice cinta difensiva, il Castello, i luoghi sacri e il formicaio di percorsi architettonici segreti che si formano attraverso i secoli e scompaiono allo sguardo. In questa dialettica s’inserisce come elemento di sutura e modello, il frutto di questa rilevante scoperta archeologica, figlia dell’ingegneria civile e militare malatestiana e di quella appena posteriore”.

Nel primo saggio invece Giovanardi ci porta alla scoperta di due splendide testimonianze pittoriche del Trecento a Santarcangelo di Romagna. Si tratta della croce, “attribuita, seppur in modo problematico”, a Pietro da Rimini, il maestro pittore più noto della Scuola riminese, e del politico firmato e datato dal veneziano Jacobello di Bonomo nel 1385. La prima, proveniente dall’antica Pieve di San Michele Arcangelo, è custodita in Collegiata; il secondo, appartenente alla demolita chiesa di San Francesco, ora è esposto al Museo Storico Archeologico della città (MUSAS).

“La croce di Pietro, il politico di Jacobello non possono essere considerate ‘opere d’arte’ in senso moderno, bensì manufatti destinati ad assolvere il compito di sostenere le funzioni liturgiche, di completare i riti religiosi”.

La croce di Pietro da Rimini è uno dei più bei crocifissi della pittura riminese del Trecento. Probabilmente databile entro gli anni Venti del XIV secolo.

Il secondo dipinto raccontatoci da Giovanardi è il monumentale polittico di Jacobello (nell’immagine in apertura), veneziano, che firmò e datò nel 1385. “La grande opera a tempera e oro su tavola, è composta da ben sedici icone distinte, racchiuse da una sontuosa cornice intagliata e dorata”. Si tratta di un manufatto non solo di strepitosa fattura, ma l’unico sottoscritto dal pittore veneto, pietra di paragone imprescindibile per la formazione del suo catalogo, esiguo ma prestigioso, di opere ora disseminate per l’Italia e l’Europa.
Il libro contiene ottime riproduzioni fotografiche delle due opere trattate da Giovanardi.

Paolo Zaghini