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Le storie di San Patrignano, splendide nella loro tragicità


16 Marzo 2020 / Paolo Zaghini

“Sottovoci. Storie di San Patrignano“, Presentazione di Marco Missiroli – Mondadori.

E’ un libro splendido nella sua tragicità. Qui vengono raccontate 38 storie di giovani donne e uomini travolti e sconvolti nella loro vita dalla droga. Un libro che dovrebbe essere fatto leggere ai ragazzi: non si tratta di fare loro paternali inutili, quanto invece farli ragionare cosa significhi veramente l’uso della droga per distruggersi la vita. E poi, per alcuni, non per tutti, un miraggio, una oasi: l’ingresso in una comunità. Nel caso specifico San Patrignano.

San Patrignano: “1.300 storie di abisso e di luce, di fragilità e forza, di cadute e di mani che li aiutano a rialzarsi. Di occhi, di sguardi, di sorrisi e di pianti. Trovarsi all’inferno è molto più semplice di quanto immaginiamo, perché è difficile essere uomini, donne, adolescenti, figli, padri e madri. Queste storie sono di tutti perché a tutti è capitato di aver bisogno di un abbraccio e non avere il coraggio di chiederlo”

Il libro, sapientemente scritto, è privo di paternità letteraria. Ma chi lo ha scritto lo sa fare decisamente bene. L’unica indicazione che c’è è quella del prefatore: il riminese Marco Missiroli. Non sappiamo se i testi siano suoi o se sua sia la loro revisione, ma le storie sono sicuramente state raccolte fra i ragazzi della Comunità.

“…San Patrignano e la sua Comunità è una grancassa che tenta da sempre l’acustica dei buoni destini. Le storie che leggerete qui lo testimoniano. C’è un sottotitolo, in uno dei racconti, che è ‘con parole mie’ e dice tutto. Significa che chi è entrato a San Patrignano, chi ha fatto il viaggio in San Patrignano, chi è ancora lì o ne è uscito, ha la forza di musicare per come si è ritrovato. ‘Con parole mie’ è il manifesto di una compiutezza – e del suo sforzo – e dà giustizia alle ragazze e ai ragazzi, alle donne e agli uomini che hanno varcato il cancello della comunità e che hanno tracciato la loro linea: è un tempo passato, un tempo presente e un tempo futuro. E’ un tempo sospeso che vale la pena suonare e narrare” (dalla prefazione di Marco Missiroli).

Il libro ha solo una piccola presentazione iniziale: “Dal 1978 a oggi, San Patrignano ha accolto oltre 25.000 persone, offrendo loro una casa, assistenza sanitaria e legale, studio, formazione professionale, e tutti quegli strumenti utili a esprimersi e a raccontarsi per ritrovare fiducia in sé stessi e riscoprire talenti e passioni, abbandonati chissà dove per inseguire chissà cosa. Si parla a San Patrignano, ci si racconta. Si usano parole mai dette e si ha il coraggio di ritornare a ricordi lasciati nascosti. Perché c’è sempre chi ascolta, senza giudicare mai. Raccontarsi aiuta a San Patrignano e aiuta chi potrebbe perdersi da un momento all’altro. Parlo di giovanissimi che incontriamo ogni giorno attraverso il progetto di prevenzione WeFree. Oltre 50 mila studenti di tutta Italia, ai quali raccontiamo delle storie: quelle dei ragazzi di San Patrignano. Giovani come loro che hanno deciso di mettersi in gioco, per lasciare nella mente e nel cuore di chi li ascolta un’emozione. Sono storie forti, intense, che lanciano messaggi chiari e diretti agli adolescenti alla ricerca della propria identità e del proprio posto nel mondo tra emozioni nuove e indecifrabili, il bisogno di essere accettati e ascoltati, la voglia di crescere e la paura che ciò accada. Sono storie di vita, come quelle raccolte in questo libro che i ragazzi di San Patrignano hanno scelto di fare conoscere, sperando che, leggendole, qualcuno non commetta i loro stessi errori” (Silvia Mengoli, responsabile Progetto di prevenzione di San Patrignano).

Il percorso terapeutico a San Patrignano dura circa 4 anni. Chi entra in comunità per i primi due anni non può vedere i genitori, salvo scrivere lettere, non può usare cellulare, computer, tablet, fumare e da pochi mesi neppure bere un bicchiere di vino a tavola, abolito per rispetto dei numerosi ex alcolisti entrati. In tanti lavorano, in molti qui riprendono gli studi abbandonati in passato.

Nel 2017 sono stati 509, di cui 33 sotto i 18 anni (15 ragazze tra cui due di 14 anni e 18 ragazzi) i nuovi ingressi registrati a San Patrignano (41 in più rispetto all’anno precedente), compresi gli arrivi nella struttura di preaccoglienza a Botticcella. Tra i nuovi minori registrati, uno su due ha consumato droga per la prima volta entro i 14 anni, a 18 anni uno su 4 cocaina o eroina.

Il 26% di loro ha almeno un genitore con un passato di dipendenza e per lo più sono padri (ex tossicodipendenti o ex alcolizzati); molti gli ingressi di ragazzi che raccontano di avere genitori separati. Sempre secondo l’osservatorio di San Patrignano, la droga più utilizzata da 9 ragazzi su 10 è la cocaina, in aumento (usata da 463 persone rispetto alle 395 del 2015); segue la cannabis, assunta dall’87% (444 persone contro 385). Il 57% circa dei nuovi arrivati ha fatto uso di eroina (293). Seguono ecstasy (270), ketamina (144), anfetamina (81) e allucinogeni (152). In termini di dipendenza primaria, la ‘neve bianca’ è balzata in testa (55%), mentre nel 2015 al primo posto figurava l’eroina (44%), ora seconda al 32%.

Pochi dati per descrivere l’odierno mondo della droga in Italia. Sulla stampa se ne parla sempre meno, l’allarme sociale si è decisamente allentato rispetto ad altri periodi, ma le morti per overdose non sono cessate, l’abbruttimento di tanti giovani persiste e devasta, oltre che loro, le famiglie. Spesso in un silenzio assordante.

“Mia madre è in piedi, vicino al tavolo. E’ pallida, sembra una statua di cera, mi guarda con occhi duri ma nello stesso tempo pieni di disperazione. Indossa la mia giacca. Io dormivo e il cane lo ha fatto uscire lei. Prima di uscire ha preso una giacca. La prima che ha trovato, l’ultima a essere stata appesa. La mia. Le è bastato mettere le mani in tasca perché il mondo le crollasse addosso definitivamente (…). Siringhe, lacci, fazzoletti sporchi, bustine di cellophane stonano sul tavolo accanto alla caffettiera , alle tazze (…). Non riesco a dire niente (…). Mia madre dice poche parole ma pesanti come un macigno: adesso basta, o ti fai curare o te ne vai per sempre e con me, ti giuro, hai chiuso. Era seria come non lo era mai stata e in quel momento io ho sentito avvolgermi un’ondata di tristezza e solitudine ma anche, stranamente, di speranza, inaspettata e incontenibile. ‘Ho bisogno di aiuto mamma!!!’. Da quel momento ho avuto solo lacrime. Davanti a tutto quello che mi veniva detto, raccomandato, consigliato non ho potuto far altro che arrendermi all’evidenza singhiozzando come un bambino sopraffatto dalle ragioni inattaccabili di un adulto. E sono entrato in Comunità. A San Patrignano” (dal racconto “Tutto in quella giacca”).

“Dovevo farmi. Stavo impazzendo. Ragazzi ma cosa cavolo è successo? Sono ancora in tempo per cambiare tutto ho solo 16 anni, scuola, ragazze, basket, è tutto lì. Se il mio problema è il passato, troverò una soluzione. Ma ora… veloce, immediata, calda, accogliente, un poco dolorosa, ma cosa nella vita viene regalato!? Arriva alla testa, non smette, continua a salire, non so dove, ho finito i centimetri, i muscoli cominciano a essere difficili da gestire, lenti. Aspetto, non so se sarà mortale lo spero (…). Il tempo passava amaro. Finalmente. Sta arrivando qualcuno. Svanisce tutto. E’ lo stesso volo ma ricado giù. Come una piuma di ferro” (dal racconto “Come una piuma di ferro”).

Paolo Zaghini