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Le rime che Anna Maria Pozzi ha scritto negli anni raccolte in un libro


Le zirudele della maestra di Coriano


18 Dicembre 2023 / Redazione

Anna Maria Pozzi
“Zirudele”
La Piazza

Anna Maria Pozzi è stata un’ottima insegnante della scuole elementari di Coriano per oltre trent’anni, a fianco per molto tempo di un grande direttore didattico come Nino Montanari. Instancabile propositrice di progetti ed iniziative con i suoi studenti (“Nasce un poeta sorride il pianeta. Antologia poetica degli alunni classi quinte A e B Scuola Primaria A. Favini di Coriano, anno scolastico 2017/2018” a cura di Anna Maria Pozzi e Giovanna Scarca). E’ andata in pensione a giugno di quest’anno. Ed è in questa occasione che ha voluto lasciare come ricordo a tutti i suoi ragazzi un volume di racconti intitolato “Un’estate da brividi” (edito sempre da La Piazza). Autrice di racconti e filastrocche, inserite anche in testi scolastici, e di romanzi per ragazzi (“Prigionieri in alto mare” edito da Raffaello nel 2002). Negli anni passati ha partecipato a diversi concorsi letterari per l’infanzia, ottenendo diversi riconoscimenti.

Ma con i ragazzi ha realizzato negli anni anche tanti progetti sul nostro dialetto, una sua grande passione. “Quest’amore ho cercato di farlo nascere nei miei alunni di Suola Primaria, scrivendo per loro zirudèle che, con grande entusiasmo, hanno imparato a memoria e recitato sul palco del Teatro “Giustiniano Villa” di San Clemente, durante le serate di premiazione dei vincitori del concorso intitolato al poeta sanclementese”.

Del resto lei ha partecipato più volte al concorso “Premio Giustiniano Villa” di San Clemente, una delle rassegne dialettali più longeve ed importanti della Romagna. Il “Premio Giustiniano Villa” consta di due Sezioni: una per la poesia e una per le zirudèle. La Pozzi ha vinto con una sua zirudèla nella XVIII edizione del 2010 intitolata “Internet”, e suoi componimenti sono stati segnalati dalla Giuria nella XIX (2011) e XXI (2013) edizione del Premio.

La zirudèla è un componimento tipico della nostra regione, in genere, di otto sillabe per verso e con le rime baciate che nelle recite le conferiscono un ritmo molto musicale, spesso umoristico e in rima. Sono pochissime le donne che scrivono zirudèle. E la Pozzi è una di queste.

In questo volume la Pozzi ha raccolto le zirudèle che ha scritto negli anni (comprese quelle con cui ha partecipato al concorso di San Clemente). E lo ha voluto dedicare a nonni e genitori che spesso sono stati i suoi suggeritori per i temi da trattare e che gli anno trasmesso l’amore per il dialetto e per le tradizioni romagnole.

Le zirudèle sono testi lunghi, sono spesso racconti veri e propri. Ed hanno in sé una forte carica contestataria, come il maestro delle zirudèle Giustiniano Villa ci ha insegnato: i suoi contadini protestano, contestano, litigano con il padrone. Le zirudèle della Pozzi evidenziano molti problemi di questa nostra società: “Le zirudèle presenti in questa raccolta le ho scritte negli anni prendendo spunto dai fatti che in qualche modo li hanno caratterizzati”. Ed ecco allora: “la mucillagine”, “internet”, “l’euro”, “al corne” (le corna), “e sprèd” (lo spread), “la badènta” (la badante), “l’umèna tragedia” (l’umana tragedia), “la telefarmacia”, “e vacìno” (il vaccino).
Sono 15 le zirudèle pubblicate, più 9 “zirudèle per i burdel”.

Da questa raccolta estrapoliamo alcune strofe qui e là.

A proposito degli anziani in “La mucillagine” “overa: aç sém ardôt poch bén, se per campè un po mej dop a murém!”  (Ovvero: ci siamo ridotti proprio male, se dobbiamo morire per campare!): “Me a sarò veç ma menga imbambìd, / bisogna stè sveg, che ichè un gnè gnint da rid” (Io sarò vecchio, ma mica rimbambito: bisogna star svegli che qui non c’è niente da ridere.

Sul lavoro giovanile e “tradizioni” poco simpatiche nonno Pietro va in classe a raccontare storie del passato in “La rènga”: “E me Luis, ho ciarchì da spighè mei ch’a putiva / quel che t’una fameja purtrop e sucidìva / quant agl’era una maśa al bòche da sfamè / ma la era ben poca la roba da magnè. // Per fei capì un po’ mej ho racont la storia d’la rènga, / che e per ch’la sia una fòla la n’è mènga: / la rènga i la cumprèva e la custèva, / purtròp quèla la tèra l’an la fèva. // Isè per fèla durì ad piô, / m’un trèv s’un fil i la tachèva so, / sota ste fil la tavla i priparèva / e tôta la fameja la magnéva / striśend sora cla renga un pèz ad pieda e arcuiend ogni mulìga, / isè la bastèva per piò volte e la fèva piô rinsida. / Ho dét che la miseria la era brôta e la fèma la era nira / isè purét i fèva cum i putiva / uj pignìva e cor a mandè i burdèl sota padrôn / mo in putiva fè mej, un gnera rimisiôn” (E io Luigi, ho cercato di spiegare meglio che potevo / quel che in una famiglia purtroppo succedeva / quando erano tante le bocche da sfamare, / ma era ben poca la roba da mangiare. // Per fal loro capire meglio ho raccontato la storia dell’aringa, / che sembra sia una favola, ma favola non è mica: / l’aringa la compravano e costava, / purtroppo quella la terra non la dava. // Così per farla durare di più, / ad un trave con un filo la attaccavo su, / sotto sto filo la tavola preparavano / e tutti in famiglia mangiavano / strisciando sull’aringa un pezzo di piada e raccogliendo le briciole / così bastava per più volte e faceva più riuscita. / Ho detto che la miseria era brutta e la fame nera / e quei poveracci facevano come potevano / gli piangeva il cuore a mandare i bambini sotto padrone / ma non potevano far meglio, non c’era remissione).

E sulla situazione economica da “Lo sprèd”: “Tal sé Luis, t’al sé cus ch’l’è stè sprèd? … / I zcòr dific-le, in vò che t’aj capéśa / i t’vò frighè, che tôt e cala o e crèśa. / Sta parola malidèta ch’la va me cor / u n’è tedesch, né ingles … l’è rumagnòl! / Sprèd, Luis, a l’ho capì: a sém me e te / in bulèta, sprèd dur ormai, perché i c’ha plè!” (Lo sai Luigi, lo sai cos’è sto “sprèd”? … / Parlano difficile, non vogliono che tu ci capisca / ti vogliono fregare, che tutto cali o cresca. / Questa parola maledetta che ti prende al cuore / non è tedesco, né inglese … è romagnolo! / “Sprèd” [disperati], Luigi, l’ho capito: siamo io e te, / in bolletta, senza un soldo, perché ci hanno tolto tutto!).

Per chiudere (da “Dô pas tra i dèt”): “Sta zirudèla la ha un bèl tema, / però ‘La è lônga cumè la fema’ / e da stè a santìla a sarì stôff” (Due passi tra i detti: Questa zirudèla ha un bel tema, però ‘E’ lunga come la fame’ / e di ascoltarla vi sarete stancati).

No, non è così cara maestra Pozzi: anzi, noi ci auguriamo che ora che ha più tempo a disposizione il suo arguto dialetto affronti tanti altri temi. Questi non le mancheranno di sicuro visto i mala tempora che corrono.

Paolo Zaghini