HomeCulturaL’epopea ritrovata del futuro riminese Luigi Bonizzato nell’inferno della guerra


L’epopea ritrovata del futuro riminese Luigi Bonizzato nell’inferno della guerra


27 Maggio 2019 / Paolo Zaghini

Alberto Di Gilio: “I dimenticati di Caporetto. La prigionia. Un diario inedito. Una pagina rimossa dalla Grande Guerra” – Rossato.

Qualche mese fa, segnalando il volume curato da Marco Valeriani Il soldato “Catullo”, evidenziavo il fatto che ben poco nel corso del quadriennio del centenario della Prima Guerra Mondiale era stato pubblicato per quanto riguarda il riminese. E consideravo dunque questa ricorrenza un’occasione perduta. Ora, a partita finita, esce invece questo straordinario volume curato da Alberto Di Gilio, ricercatore storico e profondo conoscitore delle vicende della grande Guerra, con il diario inedito di Luigi Bonizzato (nato a Tivoli il 2 gennaio 1898 e morto a Rimini il 3 aprile 1962).

Luigi Bonizzato, figlio di un macchinista delle ferrovie, visse la sua giovinezza a Verona prima, e a Bologna poi. Studente, nel febbraio 1917 venne chiamato alle armi e frequentò all’Accademia Militare di Torino il corso di aspirante ufficiale di complemento e il 10 settembre di quell’anno fu nominato aspirante sottotenente di complemento dell’Arma del Genio.

Inviato al fronte visse la disfatta di Caporetto, la cattura da parte degli austriaci il 31 ottobre 1917 e l’invio al campo di prigionia polacco di Crossen (il 22 novembre 2017).

I figli di Luigi (Giuliano nato nel 1935, Marino nel 1938 e Franca nel 1950) dopo la sua morte trovarono in un vecchio baule di famiglia lettere, immagini, foto e documenti vari e quattro quaderni sottili contenenti il suo diario degli anni di guerra.

Nei quaderni 1, 2 e 3 Luigi racconta, in tempo reale, la sua ritirata e cattura durante la disfatta di Caporetto e il suo tormentato viaggio sino al campo di prigionia di Crossen. “Qui per le condizioni disumane riservate ai soldati e agli aspiranti ufficiali, Luigi verosimilmente si ammalò in maniera grave e smise pertanto di scrivere, sino a quando, grazie alla decisione del Governo italiano (riconosciuta anche da quello tedesco) di equiparare gli aspiranti agli ufficiali, venne trasferito (nel gennaio 1918) da Crossen a Cellelager”.

Nel quaderno 4 Luigi poi racconta la sua prigionia nel lager tedesco di Cellelager, il più grande campo allestito per gli ufficiali italiani.

A novembre 1918 la guerra terminò, ma Luigi riuscì a rientrare in Italia solo nel gennaio 1919 e continuò ad essere militare sino al 1920.

Tornato a Verona, Luigi si laureò in Ingegneria Civile nel 1922 all’Università di Padova. Nel 1929 vinse un concorso presso l’azienda telefonica TIMO, divenendo poi il vice-direttore della sede di Bologna. Nel 1934 sposò Vittorina Calamai (1904-1999). Militare anche nella Seconda Guerra Mondiale (raggiunse il grado di Maggiore del Genio). La famiglia Bonizzato abitò a Bologna sino al 1946 per trasferirsi poi a Rimini.

Divenne Direttore della Romagna della TIMO sino alla pensione nel 1960. Luigi Bonizzato ebbe una vita di intense relazioni sociali e culturali a Rimini: presidente della Rimini Calcio (1956-1958), scrittore di poesie dialettali in veronese per cui ottenne numerosi premi, pittore di buon livello, dirigente socialdemocratico della Sezione di Rimini, animatore degli impegni culturali per i dipendenti TIMO, consigliere dell’Ente Provinciale del Turismo di Forlì.

Ma al di là della biografia di Luigi, ci interessa quello che Lui scrisse nel suo diario. Di Gilio inquadra il racconto di Luigi. Tutto iniziò il 24 ottobre 1917 quando gli austro-tedeschi sfondarono il fronte italiano sull’Isonzo. “Ciò che incise maggiormente sull’esito della battaglia fu la disorganizzazione con cui venne diretto l’intero esercito italiano. I Comandi intermedi vennero colti di sorpresa e in mancanza di ordini dall’alto o si diedero alla fuga, lasciando soli i propri soldati, o al contrario rimasero coraggiosamente sul posto con i propri uomini, ma inutilmente: il risultato fu la strada spalancata per l’avversario. In un modo o nell’altro la maggior parte fuggì, ed un’autentica fiumana di soldati italiani, impaurita e non governata, si riversò lungo le strade principali per scendere a fondovalle, verso Caporetto: fu la rotta”.

Fra il 1915 e il 1918 i soldati italiani fatti prigionieri furono circa 600 mila, la metà dei quali catturati durante la battaglia di Caporetto, per poi essere trascinata negli innumerevoli campi di detenzione disseminati nei territori d’Europa. Il racconto della prigionia di questi uomini è una delle pagine più nere della storia italiana.

“Le Nazioni in guerra, ad eccezione dell’Italia, si preoccuparono fin dall’inizio, attraverso i Governi, dei propri prigionieri (…) L’Italia fu assente in tutti gli accordi” internazionali a favore dei prigionieri, “per volere preciso del Comando Supremo che considerava i prigionieri solo dei disertori che si erano sottratti ai combattimenti”.

I morti italiani in prigionia furono centomila. Scrive la storica Giuliana Procacci: “La morte di massa dei soldati prigionieri fu provocata, e addirittura in larga parte voluta, dal governo italiano e, soprattutto dal Comando Supremo. Cosicchè l’Italia trasformò il problema dei prigionieri di guerra, che tutti i governi belligeranti dovettero affrontare con urgenza, in un vero e proprio caso di sterminio collettivo …”.

Diamo ora la parola a Luigi Bonizzato, con qualche brano tratto dal suo diario.

San Martino 27/10/1917
“Passiamo tutta la mattina in attesa di ordini. Qualche granata nemica batte il paese: alcune case saltano in aria. Passano i feriti e le barelle con le vittime. Salutiamo!

30/10/1917
“Un reparto di ciclisti ha dato l’allarme. I tedeschi ci inseguono a poca distanza. E’ stato un attimo. I conducenti si sono gettai ai finimenti, hanno staccati i cavalli e i muli e si sono precipitati nei campi al galoppo; gli artiglieri hanno abbandonati i loro pezzi fuggendo come pazzi in tutte le direzioni: la maggior parte degli altri soldati si sono liberati da ogni peso incomodo e sono scomparsi. Inutile ogni richiamo, inutile ogni comando, ogni autorità. Il panico ha invaso ogni animo ed ha impedito alla mente di ragionare”.

31/10/1917
“Prigioniero. Quando mi sono trovato circondato dai tedeschi quasi senza accorgermene, mi ha preso un accesso di disperazione, per un istante è brillato nella mia mente l’idea del suicidio”.

5/11/1917
Si cammina, si cammina ininterrottamente, e nessuno si cura di darci da mangiare. La fame comincia a farsi sentire tremenda, lacerante! E’ una tortura penosa. Ma in quale parte dell’universo, presso quale popolo o tribù per quanto barbara e bestiale, si tratta in questa guisa l’umanità”.

Campo di prigionia di Crossen 22/11/1917
“Appena usciti dalla stazione, una tormenta di acqua ghiacciata e tagliente ci avvolge nell’oscurità della notte (…). Stamane l’alba ci svegliò (…) che scena pietosa! Eravamo irriconoscibili; un mucchio di pezzenti più bestie che uomini, sporchi ed arruffati con certi visi smunti ed emaciati da far compassione”.

Il volume, presentato in anteprima a Rimini lo scorso 4 maggio, è pubblicato da Gino Rossato Editore che, da oltre trent’anni, è diventato un punto di riferimento per quel che concerne la storia militare: della Seconda Guerra Mondiale ma soprattutto della Grande Guerra. Gli interventi del curatore Di Gilio e del musicista e storico Carlo Perucchetti sono stati straordinari per efficacia e per il quadro complessivo ricostruito, anche grazie a tantissime immagini presentate.

Paolo Zaghini