Luciano Berlini da San Giuliano, trombettista della dolce vita
10 Giugno 2023 / Enzo Pirroni
La guerra nel 1946 era un ricordo che sbiadiva. Gli italiani avevano ricominciato a sorridere. C’erano ancora, è vero, le tessere annonarie, le AM-lire e sulle sconnesse, malridotte strade, circolavano i camions Dodge, lasciati dalle truppe americane. L’italiano medio era un poveruomo con indosso abiti sdruciti, cappotti rivoltati, con pochi soldi in tasca, con difficoltà a trovare lavoro e alloggio; tuttavia era pieno di speranze e aveva in corpo una irrefrenabile voglia di evasione. C’era una vera e propria richiesta di divertimento quasi a voler esorcizzare le tante paure sofferte e gli infiniti patimenti.
Dilagò, prepotentemente, ovunque, nelle improvvisate balere, nei risorti “circoli”, nelle “Case del popolo”, un fenomeno sociale: il ballo. Tango, polka, valzer, fox-trot, ma soprattutto boogie- woogie. Era il momento dello swing. Nello stesso tempo, a Rimini, un musicista diciannovenne, Luciano Berlini, ritornato nella sua città dopo l’inevitabile periodo di sfollamento, fu casuale spettatore di una improvvisata proiezione cinematografica, effettuata dalle truppe alleate al Borgo San Giuliano.
Era un film musicale. Alla tromba si esibiva un suonatore di Albany: Harry James. Per il giovane Luciano fu una folgorazione. Coinvolgendo un amico, un tale Olten che viveva in Svizzera, Luciano riuscì a procurarsi un prezioso, ed in Italia introvabile volume: “To sound the trumpet”, che altro non era se non il metodo Harry James. Da quel momento la sua vita poté dirsi segnata. Saranno orchestre della zona quelle che vedranno impegnato in questo periodo, il musicista di San Giuliano. In tutti i locali della riviera si apprezzerà il suo modo di suonare ed i complessi più titolati se lo contenderanno. Jack Greci, affermato musicista di Parma, per lungo periodo batterista di Gorni Kramer, lo volle nel 1952, presso di sé. Le porte dei più prestigiosi ed esclusivi locali romani si spalancarono per questo giovane talento, il quale metteva la propria abilità di trombettista a servizio di un repertorio che si era andato progressivamente orientando verso la musica internazionale.
Fu per lui il successo. In orchestre che mantenevano sempre uno standard qualitativo elevato Luciano, poté manifestare tutta la sua bravura in brani quali: Il Carnevale di Venezia, Il Volo del Calabrone, You Made Me Love You, riproposti, spessissimo come numeri d’attrazione. Ci fu poi la lunga militanza nell’orchestra Righi-Saitto (l’orchestra, nel 1953, si era classificata al secondo posto, dietro a quella di Renato Carosone nel Trofeo “Bacchetta” Pezziol. Trofeo questo, che era un po’ il festival italiano di tutti i maggiori complessi musicali).
Era il momento magico per l’Open Gate, il prestigioso night-club dove si esibivano le più celebrate attrazioni del momento. Si era all’alba del miracolo economico. Qui si poteva ammirare Abbe Lane che ammiccante ed inguantata in abiti troppo stretti lanciava una nuova danza; il cha-cha-cha. E mentre i rotocalchi, specializzati in frivolezze, folleggiavano sugli amori della principessa Margaret con il maggiore Townsend, e su quelli di Ranieri di Monaco e di Grace Kelly, Teddy Reno, cantando in un personalissimo “slang” anglo-napoletano, faceva sognare gli innamorati che, stretti, stretti ballavano sulle sussurrate note di “Accarezzame”. Tutti si davano appuntamento in quel fortunato locale romano.
Qui Luciano Berlini suonò per Liz Taylor, Ava Gardner, Renato Rascel, Silvana Pampanini, Dalì, Re Faruk. Fu sempre una corsa. Alberghi, treni, aerei, e poi nuovamente alberghi, altri treni, altri aerei, altre serate. Furono locali prestigiosi come l’Excelsior di Venezia, La Maggiolina di Milano, il Grand Hotel di Berna che videro impegnato Luciano Berlini ed i suoi compagni: Roberto Savelli ( basso), Pasquale Tesoro (chitarra e violino), Armando Rosati (batteria).
Nel frattempo, lo stile si era fatto molto elaborato ed elegante. Dotato di un forte attacco, ben temperato da un fraseggio raffinato, riusciva a produrre un sound suggestivo ed accattivante, ed inoltre, motivazioni solistiche, originali ed autonome, fecero, del riminese, uno dei migliori trombettisti italiani. A tutto questo si aggiungano le doti di cantante e si avrà un quadro esauriente della personalità di codesto musicista, delle sue precipue capacità che lo fecero emergere in tutte quelle circostanze nelle quali si trovò in condizione di poter esibire la sua classe.
Ci furono entusiasmanti stagioni ad Amburgo, a Nizza, a Parigi, a Ginevra, a Teheran; alla corte dello Scià. Fu quello un momento irripetibile per la musica leggera italiana. Era il periodo in cui le varie formazioni venivano utilizzate anche per la musica da ballo quindi, la versatilità fu una qualità indispensabile per quei magici complessi che erano guidati da Buscaglione, Osterwald, Pezzotta, Quirinetta, Carosone, Van Wood, Ceragioli.
Nelle grandi città si viveva “by night”. Era la dolce vita. Via Veneto, confezionava la propria leggenda tra flash di paparazzi, gli occhi tristi di Soraya, lo spogliarello al Rugantino, della sconosciuta ballerina turca Aichè Nanà. Infiammavano le cronache, inoltre, i banditi di via Osoppo ed il delitto Fenaroli.
In questi anni Berlini mise in piedi una orchestra tutta sua ed intraprese altre tournee ed ottenne ulteriori successi. Elegante, come un personaggio dei romanzi di Scott Fitzgerald, Luciano, con la sua fidata tromba “Super Costelletion”, lieve e discreto, ha contribuito a creare romantiche sensazioni, magiche notti d’amore, fino a quando nel 1972, dopo trentun anni di attività ha detto basta.
Fino all’ultimo Berlini è rimasto un signore appagato che guardava il mondo con disincanto. Dipingeva, ed anche nella pittura prediligeva i toni soffusi, le atmosfere preziose e raffinate al pari delle sue note che hanno avuto il potere, come i vezzi di una maga, di ammaliare intere generazioni.
Enzo Pirroni
(Nell’immagine in apertura: Luciano Berlini con Silvana Pampanini)