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Il libro di Oreste Delucca "Monete Pesi e Misure a Rimini nel Medioevo"


Ma a Rimini quanti bolognini costava una casa di 18 piedi con orto di 2 tavole?


30 Ottobre 2023 / Paolo Zaghini

Oreste Delucca:
“Monete Pesi e Misure a Rimini nel Medioevo”
Luisè

Ancor oggi registriamo la babilonia prodotta dall’utilizzo di monete, pesi e misure diversi nei paesi del mondo, nonostante la globalizzazione livellatrice di tante differenze.

Oreste Delucca in questa sua nuova pubblicazione prova a raccontarci, mettendo a frutto cinquant’anni di appunti presi nel corso della consultazione di archivi pubblici e privati, l’evoluzione delle unità di misura usate a Rimini fra il Mille e il millecinquecento. E nel fare ciò ci mette, in apertura, in guardia da facili semplificazioni: “Per affrontare in maniera corretta l’argomento occorre riflettere innanzitutto sui caratteri che hanno contraddistinto l’economia e i rapporti sociali dopo la caduta dell’Impero Romano, con il dissolvimento dell’organizzazione amministrativa, giudiziaria e militare, lo sfaldarsi dell’unità territoriale, l’interruzione dei collegamenti e delle grandi correnti commerciali, la pesante contrazione delle attività mercantili e della stessa produzione agricola (in un quadro di forte caduta demografica). Le economie tendono a chiudersi nel localismo, gli scambi scendono a livelli modesti, la moneta si fa più rara, mentre riprendono spazio le forme primordiali del baratto. Il tutto in un contesto caratterizzato da perniciosa insicurezza, da guerre devastanti che si innestano in un circuito perverso fatto di pestilenze, fame e miseria, con l’ulteriore aggravante di un marcato peggioramento climatico verificatosi a partire dal Quinto secolo”.

Una delle conseguenze di questo quadro catastrofico è il rinchiudersi della popolazione in piccole comunità, separate una dall’altra, con poche occasioni di contatto fra loro. La più importante sede di aggregazione diventano le pievi che, alla specifica funzione ecclesiale, finiscono per assolvere anche mansioni laiche supplendo al vuoto lasciato dall’apparato amministrativo pubblico ormai dissolto. L’edificio plebale viene utilizzato per le assemblee della popolazione circostante, sul sagrato si tengono mercati e manifestazioni, ma soprattutto alle sue pareti sono poste le unità di misura assunte a base del commercio locale.
Ed ecco dunque comparire i nomi (il più delle volte tratti dal passato romano) per le misure lineari il dito, l’oncia, il palmo, il piede (o pertica); per le misure di superficie il moggio, il fondo; per le misure di capacità dei liquidi l’anfora, per quelli aridi (i cereali) il modio; per i pesi la libbra, il rubbio; per i laterizi i coppi, il mattone, le tavelle.

Confusione assoluta per la monetazione medievale che Delucca riassume in questi tre momenti: “Dopo la caduta dell’Impero Romano vi fu una prima fase dominata essenzialmente dalla moneta aurea di influenza orientale, col prevalere del Tremisse (un terzo del Solido); seguì la fase carolingia in cui fu dominante la moneta argentea, rappresentata esclusivamente dal Denaro (un duecento quarantesimo della Lira); il terzo momento, nel pieno e basso Medioevo, fu caratterizzato dal riuso di moneta aurea, accompagnata però da monete d’argento e di misura. L’oro serviva per le maggiori transazioni; l’argento per quelle di media entità; il metallo vile per le spesucce quotidiane”.

La gerarchia monetale, valsa per gran parte dei secoli medievali, era: 1 Lira = 20 Soldi = 240 Denari. “La Lira era moneta di conto, virtuale, non coniata; era composta da 20 Soldi argentei che costituivano il nerbo della compagine monetaria, soppiantati poi dai Bolognini. All’ultimo stadio il Denaro di rame o mistura, pari alla dodicesima parte del Soldo: era così scarsamente valutato che, sul finire del Trecento, venne tolto dalla circolazione”. In sua vece, all’inizio del Quattrocento, si iniziò a coniare il Quattrino.

Annota Delucca: “Se all’esigenza di conoscere nei loro caratteri intrinseci ed estrinseci, oltre che nel loro valore di scambio, le tante monete in circolazione, aggiungiamo l’esigenza di conoscere i valori delle merci provenienti dalle località più disparate, ci rendiamo conto che i compiti di banchieri e mercanti si presentava terribilmente complesso”.

A mò di esempio Delucca cita un atto notarile del 1434 di acquisto di una casa da parte di tal Giovanni di Francesco, calzolaio della contrada S. Bartolo: una casa larga 18 piedi semissali e 26 di profondità. Dotata di pozzo ed orto retrostante ampio 2 tavole. Il prezzo di acquisto era di 45 ducati che Giovanni pagava cedendo al venditore un terreno arativo in località Macanno ampio 3 tornature e stimato 29 lire; cedendo inoltre 5 staia di grano stimate 14 lire e assolvendo il residuo debito tramite denaro contante, per metà consegnato in bolognini e per metà in quattrini. Tante le domande che sorgono leggendo questo atto: la casa era grande o piccola? Il piede semissale cosa diavolo era? L’orto quanto era ampio, la tavola a quale superficie corrispondeva? E lo staio che misura era? E come si faceva a determinare il debito residuo da pagare in contante? “In sostanza la descrizione meramente formale del negozio giuridico non era sufficiente a farne comprendere la reale sostanza”.

Non vogliamo lasciare la curiosità dei nostri lettori in sospeso: il piede è l’unità base delle misure lineari; altrettanto basilare è il suo multiplo, la pertica, fondamentale nella determinazione delle superfici agrarie. Nel corso dei secoli ogni comunità, ancorchè piccola, maturava normative e consuetudini diverse: da un unico piede si passò ad innumerevoli quantità di piedi, uno diverso dall’altro. Nel corso del Quattrocento si impose un nuovo standard numerico unificante: il vecchio piede venne a quel punto indicato come piede semissale, mentre il nuovo veniva chiamato piede del comune perché faceva bella mostra di sé nella tavola marmorea esposta sotto il voltone del palazzo comunale.

Ma le domande sopra riportate sono tutte quelle che assillano quanti hanno a che fare con i documenti del passato senza conoscere le svariate misure in uso, le differenti monete e i rapporti che intercorrono fra loro e più in generale ogni unità che raffiguri le dimensioni, i pesi, le capacità, i prezzi, i valori tempo per tempo vigenti in una determinata società.

“Questo volumetto – afferma Delucca – si propone di offrire, su tali aspetti, una serie di informazioni riferite alla città di Rimini e suo territorio nei secoli del medioevo”. Dunque un manuale informativo ed interpretativo dei documenti medievali, con ampi rinvii ai documenti archivistici usati da Delucca. Ancora un ottimo lavoro nato dall’unione della passione per la ricerca archivistica abbinata alla capacità narrativa ed interpretativa di quanto riportato negli stessi. Un altro prezioso tassello disegnato da Delucca della nostra storia medievale.

Ad inizio ottobre è deceduta la moglie di Oreste, Anna Maria Dell’Omo. Ad Oreste, collaboratore da sempre della nostra testata, giungano le condoglianze di tutta la redazione di Chiamamicitta.it.

Paolo Zaghini