Non sono la persona più adatta a fare l’opinionista di fashion, il mio guardaroba è composto per tre quarti di roba pescata nelle bancarelle outlet e/o vintage del mercato. E me ne vanto, come ogni vera riminese che non rinuncerebbe mai al brivido da cacciatrice che dà ravanare in mucchi di vestiti in cerca della griffe in incognito a prezzo stracciato. Per le scarpe invece ho anch’io qualche pretesa, cresciuta con l’aumentare dell’età: dai quarant’anni in poi i piedi non ti perdonano più nulla, soprattutto le calzature scomode e/o di materiale scadente. E, dopo i denti, i piedi sono la parte anatomica più intransigente e spietata nell’imporre aut-aut che richiedono interventi immediati, quasi sempre contro il senso estetico. Le mie estremità, ad esempio, mi hanno imposto di abiurare i già modesti tacchi che portavo ogni tanto, le scarpe a punta e le suole non ammortizzate.
Scarpe da ginnastica 365 giorni all’anno, dunque? No, perché i miei piedi e i miei occhi sono d’accordo su un solo punto: mai sneakers, se non in contesti sportivi (nel mio caso decisamente improbabili). Non c’è una ragione precisa, ce ne sono di elegantissime e costose, che ti fanno camminare sulle nuvole, che stanno bene anche con gli abiti da sera, ecc. ecc. È che solo addosso agli altri le vedo benissimo, mentre se le indosso io non faccio altro che chiedermi cosa diavolo fanno quei due cosi pacchiani in fondo alle mie gambe. Proverei la stessa sensazione se mi mettessi un elmo medievale o la maglietta di Ozimhen. Non c’entrano niente con me, ecco. Preferisco soluzioni alternative che farebbero inorridire Carla Gozzi e i feticisti del piede: suole cingolate e tacchi massicci d’inverno, e d’estate certi sandalazzi alla caviglia prodotti dal più noto marchio di anfibi.
Prima di scoprirli andavo di Birkenstock, e arriviamo al vero argomento della rubrica. Perché i celebrati ciabattoni dal nome tedesco, da decenni imprescindibili per tutti i piedi di buon senso, quest’anno sono tornati alla ribalta grazie al film Barbie, dove la bambola protagonista sottolinea la sua presa di coscienza sostituendo le scarpine scomodissime con un paio di Birkenstock basiche. E sui social, puntuale, è scoppiata la polemica: per tante donne che facevano coming out confessando di averle e portarle spesso, altrettanti uomini manifestavano orrore e raccapriccio per una calzatura la cui vista, a quanto pare, procura immediate cilecche e disfunzioni erettili anche a giovani vigorosi.
Quel che mi fa più ridere non sono le fisime di signori che si presentano agli appuntamenti scamiciati e in bermuda ma si aspettano che lei sia tirata come Sharon Stone in Basic Istinct (è bello sognare, e comunque ci sono davvero donne che ritengono loro dovere tirarsi da Sharon Stone anche quando escono con uno sciamannato), ma il sincero sdegno di quelle che replicano con prediche o insulti oppure con la storia della volpe e dell’uva.
Come se il giudizio di qualche poveraccio contasse qualcosa rispetto alla libertà di calzarci come ci pare, e soprattutto del diritto dei nostri piedi a spaparanzarsi più spesso possibile su un supporto comodo e sano. Il tacco 12 slancia e ci regala quei centimetri di statura che ci fanno sentire più importanti, ma impongono staticità e movimenti limitati. Un sandalo comodo ci fa fare più strada, con passo più elastico, più in fretta e senza vesciche. Se poi è una ciabatta robusta, all’occorrenza possiamo sfilarcela e darla in testa ai maschi impiccioni. Uhm, sarà per questo che le Birkenstock gli stanno così antipatiche?
Lia Celi