Ma fra i due chi rischia è il cov non il Cav
5 Settembre 2020 / Lia Celi
Mi preoccupa il fatto di non riuscire a preoccuparmi per la salute di Silvio Berlusconi, risultato positivo al Covid – per ora è questa l’unica certezza, il resto è una ridda di diagnosi mutanti: asintomatico, ma con sintomi che però sono già spariti ma forse no, è stato ricoverato al San Raffaele per accertamenti, no, per un principio di polmonite bilaterale, ma continua a partecipare alla campagna elettorale.
La non preoccupazione mi preoccupa non perché sia segno di cuore duro, ma di cervello tenero, direi infantile. Non sono tranquilla perché penso “chissenefrega, se ne ammalano tanti”, o, peggio, perché mi fa velo il rancore politico, ma perché sotto sotto sono fermamente convinta che il Cavaliere, pur anziano e acciaccato, ci sotterrerà tutti.
Vuoi perché nel corso del tempo l’archiatra berlusconiano, il dottor Zangrillo, deve aver sostituito tanti pezzi del suo corpo che la sua affermazione “Silvio è tecnicamente immortale” potrebbe non essere un’iperbole, vuoi perché, anche senza interventi biotecnologici, quell’uomo è di una fibra psicofisica solidissima.
Nel corso della sua lunga vita ha superato brutte malattie e interventi chirurgici di ogni genere, dal trapianto di capelli agli aggiustamenti di organi vitali, tour-de-force giudiziari che stroncherebbero un normale essere umano, un sessantennio di debosce che non si vedevano dal Basso Impero; divorzi miliardari più estenuanti dei matrimoni, un Duomo di Milano in peltro sulla faccia e un cavalletto da fotografo in testa e, last but not least (specie di questi tempi), un body-shaming mediatico praticamente ininterrotto sulla statura, sulla calvizie, sulla senilità, attuato dal Gotha della satira e del giornalismo (Guzzanti, Luttazzi, Crozza, Travaglio). Tutto questo dirigendo un impero finanziario e, per almeno un ventennio, anche un Paese.
E’ difficile non finire per pensarla come Zangrillo, o perlomeno per convincersi che non sarà l’ultimo virus venuto ad aver ragione di Silvio Berlusconi e che fra i due il più a rischio è il Cov e non il Cav. Che, seduto sulla riva del fiume (con l’immenso patrimonio immobiliare che si ritrova, avrà sicuramente anche un fiume tutto suo), ha visto passare il cadavere dell’antiberlusconismo e si è visto candidare al Quirinale, al Nobel e a un seggio di senatore a vita anche da gente che dieci anni fa l’avrebbe mandato volentieri al gabbio.
Un Padre della Patria, insomma. O forse il suo figlio più esemplare, nei suoi enormi difetti, nei suoi indubbi pregi, nelle sue nequizie sostenute da una dote molto italiana ma sempre più rara: la gioia di vivere, nel senso più basico della parola. Le sue tivù hanno indubbiamente rimbecillito un paese cui una storia pesante e una politica seriosa avevano negato per troppo tempo il lusso della leggerezza, e che si è gettato sui palinsesti Fininvest come un bambino nel reparto dolciumi del discount.
E ora ci ritroviamo leader politici quaranta-cinquantenni che da ragazzi hanno debuttato come concorrenti dei suoi quiz e si commuovono pensando a Bim Bum Bam come quelli di una volta si commuovevano pensando alla Resistenza. E che sono stati i primi a fare al leader di Forza Italia gli auguri di pronta guarigione. Glieli facciamo anche noi, naturalmente. Lunga, lunghissima vita a Silvio Berlusconi. Finché c’è lui possiamo credere di non essere ancora cresciuti del tutto.
Lia Celi