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Ma la Romagna sappia custodire il suo tesoro di acque


24 Settembre 2018 / Paolo Zaghini

“Acque in Romagna. Storia e cultura dei sistemi idrografici tra XV e XX secolo”, Prefazione di Tonino Bernabè – Romagna Arte e Storia / Panozzo Editore.

Per vari motivi sono molto sensibile ai temi dell’acqua. E questo volume speciale realizzato da Romagna Arte e Storia è di notevole interesse per approfondire la conoscenza di questo tema relativo alla Romagna, ieri e oggi.

Ed il volume è uscito proprio quando anche Papa Francesco, l’1 settembre, in occasione della Giornata mondiale del creato, ha voluto attirare l’attenzione del mondo sui drammatici problemi legati all’acqua.

Il messaggio inizia con una drammatica constatazione: “non abbiamo saputo custodire il creato con responsabilità”. E prosegue: “desidero richiamare l’attenzione sulla questione dell’acqua, elemento tanto semplice e prezioso, a cui purtroppo poter accedere è per molti difficile se non impossibile. Eppure l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità”.

Le statistiche dicono che ancor oggi oltre 650 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile. Il che significa nel pianeta una persona su undici beve acqua sporca e che il 52% delle malattie ha nell’acqua la loro causa principale.

L’acqua ha rappresentato (e rappresenta) tuttora una risorsa fondamentale nella vita umana: una risorsa imprescindibile come alimento, come sussidio all’agricoltura (irrigazione), come forza motrice, come via di comunicazione, come fonte di loisir (i bagni di mare, almeno dal Novecento). E nel contempo ha rappresentato (e rappresenta tuttora) un elemento da temere e combattere come veicolo di malattie, come creatrice di flagelli (inondazioni e, all’opposto, siccità), come occupatrice di spazi altrimenti coltivabili e utili all’uomo (paludi).

Tanti aspetti dunque, tutti strettamente legati al tema acqua. La lunga e bella intervista (“Le acque nella storia dell’Italia padana”) che apre il volume curato da Romagna Arte e Storia realizzata da Dante Bolognesi a Franco Cazzola approfondisce ed esamina tutti questi temi. Del resto Cazzola, docente di storia economica dal 1974 al 2011 all’Università di Bologna, ha dedicato la maggior parte delle sue ricerche alla storia dell’agricoltura, della società rurale e delle trasformazioni territoriali e ambientali indotte dalle bonifiche e dalla scienza idraulica italiana dal Rinascimento all’età contemporanea.

Cazzola fornisce il quadro generale della situazione in Romagna e altri sette saggi approfondiscono il tema. Per Rimini Oreste Delucca tratta la questione delle acque nel Medioevo, scavando da par suo nelle carte d’archivio. “Vi è un elemento che accomunava tutte le città, nel passato: l’esser sorte nei pressi di un fiume, o di un lago, comunque in vicinanza dell’acqua”. “Rimini in età medievale era compresa tra i due fiumi più importanti della zona: il Marecchia e l’Ausa che, scendendo dalle colline, in vista del mare si avvicinavano fra loro e stringevano come in una tenaglia il suolo dove i Romani – nel 268 avanti Cristo – avevamo fondato la prima testa di ponte proiettata alla conquista della Pianura Padana”.

Alberto Malfitano invece tratta “Gli acquedotti del Regime. Infrastrutture e propaganda nella Romagna del ventennio” . Malfitano prosegue gli studi avviati per la realizzazione del volume “Il governo dell’acqua. Romagna Acque – Società delle Fonti dalle origini a oggi (1966-2016)” (Il Mulino, 2016), andando ad approfondire gli interventi del regime fascista sugli impianti acquedottistici in Romagna. All’inaugurazione l’1 agosto 1931 dell’acquedotto di Ravenna interveniva Benito Mussolini.

Del suo intervento Malfitano dice: “L’altro elemento forte del discorso mussoliniano era l’idea di un’epoca fascista come termine di una lunga storia. Dai romani in avanti, solo il regime aveva saputo risolvere un problema millenario. Come la redenzione politica, anche quella igienico-sanitaria, strettamente connessa alla disponibilità dell’acqua, era giunta – a suo dire – dopo millenni, solo con il Regime. Una storia di privazioni e malattie endemiche, legate alla penuria di acqua potabile, doveva terminare lì”. Ma sia per Ravenna che per Cesena le soluzioni adottate si rivelarono nel corso del tempo insufficienti.

Ricorda Tonino Bernabè, presidente di Romagna Acque, sponsor della pubblicazione, che “le terre [di Romagna] erano affette da una sete che era ancora forte anche alla fine del secondo conflitto mondiale e che costituiva un elemento critico dell’economia, dello sviluppo e del benessere dei territori romagnoli”.

La soluzione ad un problema tanto critico si iniziò ad intravedere alla fine degli anni ’60 quando i comuni della Romagna diedero vita al Consorzio Acque per la realizzazione della diga di Ridracoli. “L’acquedotto di Romagna fu ufficialmente inaugurato nella primavera 1988. Complessivamente l’intero progetto costò circa 570 miliardi di vecchie lire, l’investimento più grande che l’area romagnola avesse mai prodotto per una infrastruttura. Infrastruttura pensata, voluta e costruita per dare acqua ad un territorio, la Romagna, in cui l’emergenza idrica nel corso dei decenni, dalla fine della guerra in poi, era diventata sempre più assillante per i pubblici amministratori e per le loro popolazioni”. “I risultati raggiunti da Romagna Acque sono la felice realizzazione di una grande visione che ha saputo trasformarsi in progetto e da progetto in opera grazie ad una linea guida mai abbandonata: ‘Lavorare insieme’”.

Tutto vero, ma forse una citazione almeno a chi ha contribuito in maniera determinante alla realizzazione di questa opera me la sarei aspettata. Il proseguimento della damnatio memoriae verso il Presidente Giorgio Zanniboni (1935-2011) mi sembra sempre più ingiusta e forse sarebbe necessario uno sforzo comune per superarla.

Paolo Zaghini