Per dirla con una “quasi metafora”, io ci ho lasciato un pezzo di cuore a Montefiore, lo sento ancora il mio paese e mi ispira una gran nostalgia. Pertanto mi rattrista sapere che in questi giorni vi sia apparso lo stupido e vergognoso manifesto qui riprodotto.
Poiché le suore hanno dunque lasciato il convento di loro proprietà, che costituiva pure un punto di accoglienza delle anziane del luogo, l’Associazione Giovanni XXIII ha avviato una trattativa per avere quell’edificio in locazione, con l’intento di destinarlo a Centro CEC (Comunità Educante con i Carcerati).
Sollecitata da alcuni cittadini, l’Amministrazione Comunale ha così indetto una pubblica assemblea, chiedendo che anche la Papa Giovanni XXIII vi prendesse parte.
In quell’occasione, com’era prevedibile, non sono mancate riflessioni, critiche e perplessità di una parte degli intervenuti. Qualcuno auspicava che anche il futuro utilizzo dell’ex convento possa essere rivolto all’assistenza agli anziani; qualcun altro esprimeva disagio e timore all’idea di una futura coabitazione, sia pure virtuale, con quel tipo di ospiti; non è mancato chi se l’è cavata con la solita pilatesca manfrina: “Bene, bravi, una lodevole iniziativa…purché lontana da casa mia”.
All’indomani il Sindaco ha trasmesso alla stampa la sintesi della serata, con pacatezza e dando conto delle critiche emerse, insieme all’auspicio che l’Associazione fondata da Don Oreste ne tenga doverosamente conto. Ricevendo in risposta dalla Papa Giovanni XXIII la disponibilità a proseguire il confronto e l’assicurazione di non voler sfidare la cittadinanza.
Logica e senso civico avrebbero voluto che a quel punto tutti si sentissero garantiti dalla serietà del Sindaco, sostenendolo nella ricerca di una soluzione alternativa, che come in passato fosse rivolta ai bisogni della popolazione anziana.
Ma così non è stato. Al Primo Cittadino è anzi arrivata l’offesa di un sottinteso slogan – “Fatti in là, che adesso ci pensiamo noi” – coniato da una congrega di sapientoni, promotori del giullaresco Comitato che, a seconda di come gli gira, può chiamarsi indifferentemente “Montefiore Libera” o “Paese Libero”.
A seguire, l’immancabile raccolta di firme e quel vergognoso poster col paese dietro le sbarre, che mostra tutta la frustrazione, la presunzione e la rozzezza degli ideatori. Come pure la poca intelligenza di chi, facendo la figura del celebre “Tafazzi”, pretende di salvaguardare con quel volgare fotomontaggio la vocazione turistica del paese, senza capire che il vedere quell’oscenità sarà invece per molti un sicuro disincentivo a venire a Montefiore.
Ma chissà che non nasca un gemellaggio fra micro-sovranisti montefioresi e miramaresi. Infatti anche questi ultimi, sulla scia di una precedente incursione su Miramare del duo leghista Morrone-Raffaelli, sono al momento impegnati in un concitato “vade retro” ingiunto a dieci pericolosi profughi invasori, destinati a risiedere in un albergo il cui proprietario prima l’ha affittato all’agenzia che lì ce li ha portati e oggi sbraita pure lui contro… quelli che oramai sono suoi clienti.
«La nostra zona purtroppo è già fin troppo degradata. Siamo dimenticati», lamenta uno dei capi della resistenza miramarese. E come se non bastassero «spacciatori, prostitute, balordi e persone di malaffare», è angosciato dal veder ora arrivare alla chetichella «una decina di profughi, uomini e donne di origine africana» (altra cosa se fossero di razza ariana?) che, ci vuol poco a pronosticarlo, verranno «arruolati dai delinquenti che potrebbero utilizzarli per i loro loschi traffici come manovalanza a basso costo».
Sì, perché ha ragione l’esimio forzitaliota Casalboni a rimpiangere i bei tempi andati, quando il malaffare non era come oggi in mano alla microcriminalità diffusa, ma «esistevano i boss della malavita e molti abitavano a Rimini. Uno degli interessi del boss era la tranquillità, a Rimini non doveva mai succedere nulla di grave… e così fu per tanti anni… non ci furono fatti di cronaca nera o delitti efferati».
Ecco spiegato perché nelle comiche statistiche di “Italia Oggi” e “Il Sole 24 Ore” i Comuni in cui spadroneggiano mafia, ndrangheta e camorra figurano sempre come isole felici, mentre Rimini risulta una città da coprifuoco.
Questo perché se lì uno denuncia all’autorità il furto della sua auto, rischia anche di trovare bruciata quella del figlio. Se invece si rivolge al boss, ci pensa lui a fargliela riavere e a dare il fatto suo al ladruncolo che ha osato minare la tranquillità di cui la malavita degli affari ha bisogno.
Sia come sia, a Rimini «la situazione della sicurezza e della criminalità sta diventando un problema quasi irrecuperabile», forse anche per «l’incapacità politica dell’amministrazione e la sua gestione lassista e stracciona», come sostiene Rufo Spina, che nonostante faccia di tutto per liberarsene, acquista sempre di più la sembianza di un Gioenzo Renzi di seconda mano.
Eh sì, bisogna ammetterlo: a Rimini il crimine ha perfino subìto una caduta deontologica e di stile, come evidenzia il leghista Loreno Marchei, commentando con un incipit di arditezza lessicale l’atroce assassinio del povero Galileo Landicho: «Una vita ammazzata non deve accadere a prescindere. Soprattutto alle 19.30 di domenica, davanti alla stazione ferroviaria della capitale del turismo».
Ma che diamine, se uno, come dice Montalbano, deve proprio fare un’ammazzatina, si scelga un’altra location, non la capitale del turismo. O almeno eviti di farlo di domenica davanti alla stazione e magari aspetti che si faccia notte del tutto.
Nando Piccari
Post Scriptum
Al Bambinello piacerebbe avere vicino Salvini
A Santarcangelo la Pro Loco ha dunque organizzato un bel Presepe “alla napoletana”, dove insieme alle statuine tradizionali ve ne compaiono pure alcune di personaggi d’attualità, locali e nazionali, recentemente scomparsi. Fra questi Gino Strada, i cui meriti solo uno stolto può rifiutarsi di riconoscere.
La cosa ha però mandato in crisi un legaiolo locale, tale Marco Fiori, il quale non sa darsi pace per quella statuina del fondatore di Emergency, che a suo dire trasforma il Presepe «in una versione stella rossa partigiana e sinistroide».
Avanzo una sommessa proposta agli organizzatori: per tranquillizzarlo, inseriscano nel presepe anche la statuina di Salvini, che oltretutto susciterebbe il divertito interesse dei bambini. Il loro sarebbe infatti tutto un chiedere: “Mamma, ma perché in questo presepe ci sono due asinelli?”