L’argomento cannabis non è strettamente pasquale, a meno che non vogliamo intendere in senso lato le «erbe» che oggi vengono servite tradizionalmente come contorno dell’agnello. Ma in questo santo giorno vorrei spendere un pensiero solidale per la 53enne riminese che ieri mattina, sabato santo, è stata processata per direttissima perché nel garage teneva una piccola piantagione di marijuana. A inchiodare ulteriormente l’«insospettabile» signora (l’aggettivo è dei cronisti locali, per i quali chi ha a che fare con le droghe leggere dev’essere per forza un fricchettone con i rasta che canticchia Legalize it o un nordafricano dall’aria patibolare), un manuale sulla coltivazione della cannabis, rinvenuto nel suo appartamento.
Mi spiace per i parrucconi, ma mi tocca snocciolare tutto il repertorio degli argomenti antiproibizionisti: molti paesi civili hanno già legalizzato l’uso ricreativo della cannabis ma come consumo restano indietro rispetto all’Italia, terzo paese più cannaiolo d’Europa malgrado i divieti e gli anatemi, che non servono e non sono mai serviti a nulla se non a riempire le carceri e intasare la già farraginosa macchina della nostra giustizia.
Oltretutto è arcinoto che la marijuana, oltre a essere meno nociva e a fare meno morti di alcool e tabacco, è indicata nella terapia del dolore in molti casi in cui gli analgesici non fanno effetto. I pazienti italiani che secondo il ministero della Salute hanno bisogno di terapie a base di cannabis sono 50mila, e per soddisfarli correttamente ci vorrebbero 30mila tonnellate di cannabis. Ma le farmacie che la vendono a scopo terapeutico sono solo 400 su 20mila, e nel 2021 ne hanno venduti meno di 1300 chili, meno di quanto stabilito dal ministero. In Italia la carenza di cannabis terapeutica è drammatica e continuerà ad esserlo finché norme ottuse continueranno a rendere impossibile importarla o coltivarla legalmente. Non sappiamo se la 53enne o qualche suo congiunto soffra di una patologia che richiede cure a base di cannabis (l’artrite reumatoide, ad esempio) ma non mi viene in mente un altro motivo più plausibile per cui un’«insospettabile» 53enne decide di coltivarla nel proprio garage.
Aggiungo una nota legata alla storia locale che dovrebbe renderci più comprensivi verso le droghe leggere per uso personale: il turismo balneare riminese deve i suoi primi successi al fisiologo Paolo Mantegazza, direttore igienico dei Bagni di Rimini fra il 1869 e il 1879, fiero e orgoglioso fumatore di droga (foglie di coca, nella fattispecie, di cui faceva uso «sapiente e abbondante»). A Mantegazza le autorità hanno intitolato un viale, alla signora 53enne (che si guadagnerebbe sicuramente il suo plauso) la nostra polizia locale ha regalato la Pasqua più amara della sua vita: è giusto?
A rendere ancora più amara tutta la vicenda, il fatto che la signora sia stata denunciata dai vicini di casa, insospettiti, pare, dall’intenso odore di cannabis. La versatile pianta, in fase di fioritura, emette infatti sostanze chiamate terpeni dall’odore particolarmente pungente e compromettente per il coltivatore furtivo. La signora riminese non aveva avuto l’accortezza, suggerita dagli esperti, di installare appositi aspiratori con filtri al carbone attivo o seminando in prossimità della cannabis piante aromatiche come lavanda, basilico o camomilla. Però una domanda sorge spontanea: come hanno fatto i virtuosi vicini a riconoscere così infallibilmente l’aroma della foglia proibita? Vengono in mente ipotesi una più maliziosa dell’altra. Ma è Pasqua e bisogna astenersi dalla malizia. Auguri a tutti.
Lia Celi