Home___primopianoMa Vannacci non lo sa e quando passa ride tutta la città

Il generale omofobo si sente discendente di Giulio Cesare il bisessuale e di Enea il profugo sul barcone


Ma Vannacci non lo sa e quando passa ride tutta la città


6 Ottobre 2023 / Nando Piccari

Non bastavano le oramai frequenti comparsate a Rimini della Meloni e di Salvini ad offrire un borioso trastullo ai più malmostosi dei loro fan, ci voleva qualcosa di più.

A questo ha provveduto l’editore riminese Adolfo Morganti, noto, oltreché per le sue attitudini professionali, per non essere a tutt’oggi ancora riuscito a rassegnarsi al “sopruso risorgimentale” che ha sottratto la Legazione delle Romagne al dominio del Papa Re.

Di qui l’ammirazione che s’è conquistato da quei pretoni coi sottanoni che irridono il Concilio Vaticano II continuando ad officiare le funzioni religiose in latino, nel mentre rivolgono le terga ai fedeli, per non dar loro un’indebita confidenza.

Bisogna riconoscere che Morganti è stato davvero bravo a mettere per primo gli occhi sulla “gallina dalle uova d’oro” Vannacci. Anche se avrà dovuto turarsi un po’ il naso, per la fatica di riuscire a conferire una “parvenza letteraria” a quella che di primo acchito deve essergli parsa una ciofeca editoriale, almeno stando alle sue parole: «Non credo che il libro di Vannacci passerà alla storia della letteratura. L’ho trovato un libro disastroso (…) una grafica da scuole medie e una totale assenza di editing(*). Da qui la proposta di realizzare un’edizione come Dio comanda».


Sia come sia, alla fine il libro è uscito e allora via di corsa a presentarlo a Rimini, ad una domenicale platea di incazzosi seguaci della rinomata scuola di pensiero “Pane al pane e vino al vino”, i quali rischiano le convulsioni ogniqualvolta si sentano assaliti dal “politicamente corretto” (ma per fortuna a dar loro conforto si è appena aggiunto un novello denigratore del “politicamente corretto”: quell’Antonio Padellaro che anni fa riuscì perfino a farsi credere uno quasi di sinistra).

Matteo Montevecchi

Avendolo Morganti definito un libro «da scuole medie», non poteva esimersi dal chiamare alla presentazione de“Il mondo al contrario” anche il “pilloncino semper ridens” Matteo Montevecchi, che con molta diligenza s’è poi esibito nella solita recita del suo temino pallosino intitolato questa volta «Alziamo la testa», da cui sono tratti questi gustosi passaggi: «Abbiamo visto questa cappa mediatica con il green pass, dove ogni opinione contraria alle misure liberticide era tacciata di essere complottista, contro “la scienza” o etichettata come no vax. Mettiamo fine a quel complesso di inferiorità culturale che spesso colpisce quel mondo conservatore che rischia di cadere nel pensiero debole».

Il libro di Vannacci ci guida alla conoscenza di una realtà altrimenti non facile da cogliere: quella secondo cui esiste più di un modo per servire la Patria. Certo, ogni militare lo fa rendendo onore alla divisa e, nella malaugurata occorrenza, impegnandosi a combattere in sua difesa.

Ma all’interno delle Forze Armate della Repubblica Italiana ce n’è almeno uno – il Generale Vannacci, appunto – che non si accontenta soltanto di vigilarne i sacri confini, ma sente pure il bisogno di erigersi a difesa del “vocabolario patriottico”. Per questo maledice «la lobby gay internazionale che ha vietato termini che fino a pochi anni fa erano nei nostri dizionari: pederasta, invertito, frocio, ricchione, buliccio, femminiello, bardassa, caghineri, cupio, buggerone, checca, omofilo, uranista, culattone, che sono ormai termini da tribunale».

Come si dice dalle nostre parti, Vannacci è uno “che vuole poca acqua nel vino”. Per cui non sa capacitarsi di tutte quelle rimostranze solo perché un “sciur padrùn de Milan” «non ha voluto affittare un appartamento a due omosessuali. Se l’appartamento è privato i proprietari saranno liberi di farne ciò che vogliono e di locarlo a chi intendono loro?»

E se qualcuno “gliela fa tanto lunga” stia ben attento, perché anche quando gira disarmato il generale non ammaina certo la sua bellicosità: «Rivendico a gran voce il diritto all’odio e al disprezzo e a poterli manifestare liberamente….».

Enea, il capostipite dei migranti

Giulio Cesare, “l’ambivalente”

Il libro non l’ho comprato (a casa la carta igienica non manca…), pertanto ne conosco solo gli stralci di cui hanno scritto un po’ tutti.

Fra questi colpisce l’impeto di modestia che fa dire a Vannacci di sentirsi erede di un bel drappello di personaggi storici, dei quali «credo scorra il sangue nelle mie vene».

Ora passi per Romolo, Leonardo, Michelangelo, Giordano Bruno, Mazzini e Garibaldi, ma com’è possibile che Morganti, che le cose le sa, non abbia impedito che nel testo da lui ripulito comparissero due baggianate a ricoprire di ridicolo l’autore?

La prima: quando Vannacci tratta di immigrazione fa sembrare Salvini un volontario della Caritas e Giorgia Meloni la sorella di Madre Teresa di Calcutta. Non suscita dunque ilarità che nel libro si dichiari orgoglioso di paragonarsi a Enea, che poveretto passò buona parte della vita in giro per i mari sui barconi, fino a rimanerci durante una tempesta?

La seconda fa addirittura scompisciare dal ridere. Dopo tanto demonizzare gli omosessuali, lui sceglie come maschione di riferimento Giulio Cesare, noto bisessuale definito dai suoi contemporanei: «Moglie di tutti i mariti e marito di tutte le mogli».

Insomma, uno che in ossequio al “dizionario patriottico” di Vannacci non va bene definire gay, ma molto più correttamente “culattone”.

Nando Piccari

(*) correzione prima che l’autore invii in composizione il testo

Post scriptum

Pare che le effusioni letterarie di Vannacci verso Giulio Cesare, unite all’approvazione del diniego ad affittare ai due milanesi perché gay, stiano procurando grande preoccupazione agli esponenti del Comitato “Giulio Cesare dov’era, com’era, sicuro che c’era”.

Vuoi vedere – mormora qualcuno – che quel generale lì ha fornito un involontario assist a chi in Comune non vuol saperne di riportare la statua mussoliniana nella non più Piazza Giulio Cesare?”.

Temono cioè che alla loro reiterata richiesta l’Amministrazione, parafrasando quel concetto esaltato da Vannacci nel suo libro, risponda all’incirca così: “La piazza è comunale, per cui il Comune uno che andava con gli uomini non ce lo vuole”.