Home___primopianoMacchè bonus, per fare più figli bisognerebbe avere meno paure

Ma la classe dirigente di estrema destra proprio sulla paura del nuovo e del diverso ha costruito la sua ascesa


Macchè bonus, per fare più figli bisognerebbe avere meno paure


15 Settembre 2024 / Lia Celi

«Tesoro, ho una notizia: fra nove mesi avremo una detrazione fiscale»: sarà questo il nuovo modo di annunciare al partner l’arrivo di un bebè, se si concretizzerà lo slogan del ministro dell’Economia Giorgetti, «più figli, meno tasse». Obiettivo, incentivare la natalità, che in Italia decresce di anno in anno, per ragioni statistiche – il calo demografico è iniziato trent’anni fa, quindi ci sono meno italiane in età fertile – ed economiche: la sicurezza occupazionale e abitativa per gli under-35 è quello che è.

Posto che ogni bambino che nasce è una festa, mi sembra difficile che gli sgravi di Giorgetti trasformino in una primavera l’inverno demografico, visto che ne godranno solo le persone che hanno già una certa stabilità. Ma l’insistenza sulla «natalità» mi dà sui nervi, così come certi indicatori vagamente zootecnici: il tasso di fecondità, per esempio, cioè il numero di figli per donna (il nostro è il più basso d’Europa, ex aequo con la Spagna).

I nostri governanti continuano a dirci che i figli si fanno in due, che ogni bambino ha bisogno di una mamma e di un papà, ma alla fine la responsabilità di generare è addossata tutta alle donne, inchiodate all’eterno ruolo di fattrici. Che all’interno di una coppia anche gli uomini abbiano voce in capitolo riguardo alla riproduzione, che il loro «sì» o «no» rispetto all’avere un figlio, o più di uno, abbia il suo peso, sembra impensabile.

Ma un genitore normale trova fastidioso anche il concetto di «natalità», come se il problema più importante fosse mettere al mondo i figli, riempire le culle e i registri dell’anagrafe, e non allevarli, educarli, provvedere alla loro salute e al loro benessere per almeno diciotto anni. Un bambino resta nella culla per un anno, poi ci vogliono asili nido e scuole dell’infanzia, e poi scuole primarie, medie e superiori, non cadenti e possibilmente con orari compatibili con il mondo reale e con calendari non più modellati sul ciclo del grano (un tempo i figli di contadini in giugno dovevano aiutare la famiglia nella mietitura). Scuole che non impongono ogni anno ai genitori una spesa in libri sempre più esorbitante (per il 2024-23 sfiora i 600 euro per alunno, la più alta d’Europa), una vera beffa visto che il 60 per cento di quei tomi, spesso scritti con i piedi, rimarrà intonsa e gli insegnanti si serviranno di schede.

È così semplice. Siamo animali. E nemmeno gli animali si riproducono meccanicamente. Nel loro habitat naturale scelgono sempre le condizioni più favorevoli per mettere al mondo i loro cuccioli e farli crescere in sicurezza. La paura è incompatibile con la riproduzione. Gli italiani giovani, cioè fertili, hanno troppi timori per il loro futuro e per quello del pianeta, per un progetto a lungo termine come la genitorialità. Grazie tante per gli sgravi fiscali, ma la ricetta più efficace sarebbe «meno paura, più figli». Difficile che la realizzi una classe dirigente di estrema destra, che sulla paura del nuovo e del diverso ha costruito la sua ascesa.

Lia Celi