Molestie sessuali in uffici comunali della Valconca, la Cassazione conferma condanna all’ente
9 Gennaio 2025 / Redazione
La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza pubblica il 21/12/2024, ha confermato la sentenza della corte di Appello di Bologna del 16/10/2023 che condanna un Ente locale della provincia di Rimini, un comune della Valconca, riconoscendo in capo allo stesso la discriminazione di genere a seguito di molestie sessuali subite da una propria dipendente nel 2020 ad opera di un collega di lavoro.
La Cassazione, rigettando il ricorso dell’Ente, ha fatto riferimento anche ai principi della convenzione del Consiglio di Europa che richiama l’impegno degli Stati membri ad assicurare le tutele riconosciute nella convenzione stessa, in particolare sull’eliminazione della violenza e delle molestie nei luogo di lavoro, assicurando ogni misura di protezione alle vittime.
Che cosa era successo? Un collega della vittima le si spogliò davanti per poi offenderla, nel più pubblico dei posti di lavoro, una delle sedi di un comune.
La donna aveva denunciato tutto con una lettera inviata all’amministrazione comunale nell’ottobre del 2020, pochi giorni dopo l’accaduto e nel novembre del 2022 il Tribunale del lavoro di Rimini aveva condannato al pagamento di quindicimila euro di risarcimento il Comune nella cui sede erano avvenute le molestie. Ai tempi il comune aveva quindi fatto ricorso contro la sentenza pronunciata dal giudice civile ma la Corte D’Appello di Bologna ha confermato il verdetto dei giudici riminesi nel pomeriggio di giovedì 12 ottobre: l’ente dovrà risarcire la vittima e reintegrarla.
Non tanto per scendere nei dettagli, quanto per comprendere meglio che cosa accaduto, vale la pena ripercorrere la vicenda. Nell’ottobre del 2020 M.M. e un suo collega con cui quotidianamente divideva spazi e mansioni sul posto di lavoro avevano avuto una discussione. Ma il collega in questione aveva avuto una condotta tale da sfociare nelle molestie. “Si era slacciato i pantaloni denudandosi – aveva denunciato la donna – e ha scandito le parole ‘ora prenderai gli ordini da lui”. Dopo la denuncia l’ente aveva addirittura adottato contro la vittima un procedimento disciplinare ritenendo la sua denuncia non attendibile dopo alcune verifiche interne. La sentenza del giudice del lavoro di Rimini che condannava il comune al pagamento del risarcimento non era stata infatti casuale: all’ente è stata contestata l’assenza di qualsiasi disposizione o supporto garantito a tutela della dipendente.
Di seguito la dichiarazione della consigliera provinciale per le pari opportunità Adriana Ventura. “Questa decisione oggi assume un valore molto importante, stante un momento che storicamente vede un significativo incremento dei fenomeni di violenze e molestie in ambito lavorativo.
Nel 2024 sono state rappresentate all’ufficio della Consigliera di parità tre casi. I dati relativi a tali fenomeni, che accadono nel corso della prestazione lavorativa, vedono in prevalenza vittime le donne.
Questi fenomeni ricorrenti che i dati fotografano impongono di tenere alta l’attenzione e di dotarsi, ciascuno nel proprio ambito, di strumenti in grado di prevenirli e contrastarli.
È noto, infatti, che le condotte improprie possono pregiudicare non solo la sfera individuale della vittima (dignità, autostima, percezione di sé, l’intimità, l’attività lavorativa e la carriera), ma anche la vita di relazione e la comunità di cui si è parte.
È opportuno, dunque, richiamare con forza la responsabilità del datore di lavoro per ciò che attiene il tema della prevenzione e del contrasto alle molestie nei luoghi di lavoro, in quella più ampia cornice che mira al superamento delle disuguaglianze, le cui radici sono nell’art. 2087 del Codice Civile. Questa norma mette in capo al datore di lavoro l’obbligo di tutela dell’integrità fisica e della personalità morale dei lavoratori e delle lavoratrici, garantendo agli stessi la salute e il benessere psicofisico.
Questa sentenza rappresenta quindi un vero e proprio monito.
Grande soddisfazione, dunque, per il buon esito che è stato raggiunto a conclusione di una vicenda che ha percorso tutti e tre i gradi di giudizio, un esito voluto con pervicace costanza dalle avvocate Tatiana Biagioni e Anna Danesi, con studio a Milano, che hanno assistito la lavoratrice e la Consigliera di Parità della Provincia di Rimini, che ha seguito il caso fin dall’inizio.”